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LA PRODUTTIVITA' E I TAGLI E POI ANCORA I TAGLI. IL CITTADINO E LA TRUFFA DELL'EURO-AUSTERITY EFFICIENTISTA

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1. Il vero senso del termine "produttività" nelle logiche di intervento "austero-lo vuole l'europa".

Allora viste le vostre acute e "massicce" risposte all'appello sulla dichiarazione di Bonanni, in termini di "dove sta l'errore?", mi avventuro a precisare un aspetto da voi toccato o comunque sfiorato a più riprese.
Il problema della produttività ha una radice mooolto profonda nel "vincolo esterno". E lo vedremo anche in questo caso. 
Sull'argomento, traiamo appunto da goofy alcune premesse definitorie (così quelli che non si sono letti o non ricordano più il post "istruzioni per l'uso", o come diavolo si chiama ora, si rinfrescano i concetti).
Citiamo:
"...in economia il termine “produttività” ha tante accezioni...la produttività della quale si parla nel dibattito corrente è precisamente la produttività media del lavoro, definita come valore aggiunto per addetto, cioè:


L’idea è quella di misurare quale sia il “rendimento” medio, in termini di produzione, dell’input di lavoro, con l’idea di per sé condivisibile che più è e meglio è."
 
Come considerare la produttività, correttamente intesa, del lavoro nella pubblica amministrazione (pubblico impiego, non gli addetti a società pubbliche) ce lo dice Flavio:
"Innanzitutto partiamo dalla definizione.
Produttività = valore aggiunto/occupati totali.
Bene, sfiderei Bonanni a dirmi come fa, in base al rapporto poc'anzi indicato, a trovarmi un infermiere, o un medico, o un impiegato pubblico, un carabiniere o poliziotto "produttivo". Un lavoratore pubblico è più "produttivo" se fa mille cose in una? Oppure aumenta il valore aggiunto se fa le stesse cose con meno stipendio?
Forse Bonanni intende la produttività nel senso di voler - in base alla locuzione "valore aggiunto" appunto - dare dei servizi migliori nel binomio tempistiche/soddisfazione cittadino. Ma...se tagliamo la spesa pubblica (al netto degli interessi sempre ben al di sotto del 48,5% con punta del 40% nell'anno 2000), facciamo esattamente il contrario"
Che poi aggiunge:
"Vista in quest'ottica quindi, di migliorarne i servizi non se ne parla: bloccando turnover, assunzioni e spesa per miglioramento ed acquisizione materiali (benzina per auto polizia, materiale medico per gli ospedali) ecc...di certo non soddisfiamo il cittadino. Indi per cui la soluzione è il caro e vecchio salario decurtato via flessibilizzazione orario di lavoro...come già accennato da Gianluca Menti..." (ragazzi vi amo! E non sono gay...anche se, per carità era solo per precisare: ognuno è liberissimo di avere l'identità sessuale che lo fa sentire meglio).
Quindi Flavio opportunamente precisa:
"la produttività a cui Bonanni fa evidentemente riferimento (ma lo sa?) non è quella "specifica" del rapporto sopra-menzionato, bensì in realtà il CLUP, dato da redditi da lavoro dipendente/occupati dipendenti (redditi medi da lavoro) / valore aggiunto/occupati totali (produttività media del lavoro). Cioè ad esempio, se nei primi due dati caliamo il reddito (già in atto con blocco rinnovo contratti P.A. ecc.) vediamo che i CLUP comunque calano, dando alla P.A. la parvenza di migliore "produttività del sistema". E certo: siamo alla pari della proposta fatta ai dipendenti nazionali da più parti Confindustria di regalare alle aziende "un'ora di lavoro" così, per sport...la linea è quella e, come scrisse qualcuno: "Se accettiamo questo metodo, non ci sono limiti a quello che ci potrà essere imposto".
Precisamente parliamo, dunque, di ridurre il costo del lavoro, che è poi il senso (invertito) con cui si parla sempre di "produttività" quando la governance politico-europeista si mette in testa (mumble mumble...se ne escono sempre con questa idea fissa, eccitante! Efficientista! Fa "figo" che vuole "modernizzare" o come piace a Monti "efficientare").
Per capirci meglio ricorriamo ancora a goofy (facile, accessibile, democratico e antifascista...nel senso più attuale e contingente):
“costo del lavoro per unità di prodotto” (CLUP, in inglese ULC: Unit Labour Cost).
Come è costruito? Come rapporto fra i redditi unitari da lavoro dipendente (il costo del lavoro per addetto) e la produttività media (il prodotto per addetto):

Se la produttività aumenta, il CLUP a parità di altre condizioni (cioè se il reddito medio da lavoro dipendente rimane fisso) diminuisce: lo stesso costo del lavoro per addetto si ripartisce su un numero più ampio di prodotti. Nelle condizioni di mercato oligopolistico (pochi produttori) oggi prevalenti, il prezzo del prodotto viene determinato come margine sui costi medi variabili (principio del costo pieno). Quindi, in linea di principio, quando la produttività aumenta e il CLUP diminuisce diminuiscono anche i prezzi (alla produzione): l’impresa diventa più competitiva.
Va da sé che questo ragionamento è semplicistico. Ad esempio, esso presuppone che la riduzione del costo del lavoro venga traslata interamente sui prezzi, ma questo potrebbe anche non accadere: semplicemente, il produttore potrebbe lasciare inalterato il prezzo, cioè aumentare il proprio margine di profitto. L’idea che mercati con tre o quattro (o anche dieci o venti) big player mondiali possano funzionare come funziona la concorrenza perfetta nei libri di scuola è un po’ rozza. I produttori possono mettersi d’accordo, e lo fanno (è sui giornali ogni giorno), per cui, come dire, il legame fra aumento della produttività e diminuzione del prezzo finale non è così meccanico. Diciamo però che a grandi linee il meccanismo funziona, e che quindi in effetti la dinamica della produttività si ripercuote nel lungo periodo su quella dei prezzi.

2. Lo Stato finisce per perseguire la rendita di monopolio scaricandola sui cittadini di cui dovrebbe perseguire il benessere.

Intanto queste precisazioni, così chiare, ci permettono di aggiungere un ulteriore tassello: la p.a., per definizione, non è in concorrenza con nessuno (neppure con altri sistemi paesi, come ci insegna Krugman, citato e linkato nel post su la "corruzione e il dr Petiot").
Quello che si vorrebbe con l'etichetta della "produttività", piuttosto, è che "teoricamente" lo stesso livello del servizio-funzione (es. facile-facile: rilascio di certificazioni o di autorizzazione edilizia):
a) sia eseguito da un minor numero di impiegati. E la chiamano "mobilità/revisione degli organici;
b) ovvero dallo stesso numero di addetti obbligati a compiere quelle operazioni per un orario più esteso. E la chiamano flessibilità di orario;
c) ovvero da impiegati che si trovino a dover fare alcune operazioni agguntive che prima non erano di loro spettanza (in base al profilo in cui erano inquadrati all'atto di assunzione). E la chiamano flessibilità di mansioni;
d) dalla combinazione di due o tutte queste tre possibilità (cioè diminuisco gli addetti, ne aumento gli orari, e ne estendo le mansioni in aggiunta a quelle già svolte per originario contratto di lavoro). E la chiamavano Trinità (m'è venuto fuori così, couldn't help myself...)

Sia come sia: garantisce tutto ciò un maggior livello di servizio e quindi contribuisce a creare una infrastruttura di servizio (pubblico) ausiliaria del sistema produttivo e della utenza in generale (anche i comuni cittadini) in modo tale da abbassare il costo di accesso a tale servizio?
Dipende.
Ho detto "teoricamente" sul mantenimento dello stesso livello/satisfattività di servizio, perchè occorre aggiungere un ulteriore elemento: non tutte le prestazioni "pubblicistiche", cioè le erogazioni di servizi e funzioni in cui l'amministrazione agisce come "autorità nell'interesse pubblico", sono gratuite. Anzi, quasi nessuna (provate a chiedere una certificazione oppure una autorizzazione senza pagare i "bolli" e i "diritti").
Il discorso di Bonanni correttamente inteso (ma lui, a quanto pare, non lo sa), implicherebbe che, adottando gli strumenti di aumento della produttività-riduzione del costo del lavoro sopra elencati (lett. a)-d) ), al fine di rendere (pro-utenti) più soddisfacente il sistema, questi bolli, tasse (in senso proprio), diritti e corrispettivi vari (su cui non sapete quanto ci si affanna a qualificarli), dovrebbero diminuire o scomparire.
I famosi "lacci e lacciuoli e balzelli" di craxiana memoria (quanto tempo che se ne parla, eh?).
Ma noi invece vediamo che ad ogni "manovra"questi balzelli semmai li aumentano (adesso si piccano persino di dire che quando tassano non si deve chiamare "sempre" manovra: lo decidono loro se la "manovra" è tale oppure è...che so un "sacchiappone" o anche un "ungulato", termine già utilizzato da Villaggio in senso facilmente "metonimico"= gioco di parole grossier ed evidente, in questo caso).

Ma il fenomeno, ormai lo abbiamo capito, è dovuto al fatto che lo Stato si comporta da monopolista in senso imprenditoriale (e non soltanto in senso descrittivo della sua natura pubblica-legale): goofy ci ha parlato degli oligopoli e della improbabile compressione delle loro "rendite" in caso di abbassamento del CLUP. Qui lo Stato, se decide di massimizzare la rendita, non deve appunto accordarsi (fare cartello) con nessuno.
Ed è ancora peggio che se fosse un monopolista privato perchè lo Stato dispone pure del potere di legiferare e di imporre autoritativamente il suo volere (con esecuzioni forzate "speciali" privilegiate sui beni dei cittadini, come ben sapete).
Potrebbe non farlo (il monopolista in senso stretto), potrebbe perseguire il benessere dei cittadini, come gli incomberebbe in base a tante norme costituzionali, ma invece ce lo ritroviamo che è un "ente avulso", oggettivamente ed economicamente non più "esponenziale" della comunità (nazionale o locale, tanto non cambia il risultato).
E perchè è un "ente avulso" (alienato?) ai cittadini...che dovrebbe rappresentare nei loro interessi?
Perchè "lo vuole l'europa": prima dovevamo "entrare in europa", cioè rispettare i "parametri di Maastricht" e quindi giù balzelli e tagli (ad investimenti, acquisti e personale della p.a.), poi dobbiamo "difendere l'euro" e pare che ciò si possa fare solo col "pareggio di bilancio" (e giù balzelli e tagli).
Dunque scordiamoci, finchè ci sarà l'obiettivo del pareggio di bilancio, o anche solo della riduzione dell'indebitamento (cioè del deficit pubblico) che un qualche vantaggio di questo tipo possa lontanamente associarsi alle suddette riforme della produttività del lavoro pubblico.

3. Com'è veramente andata con la "flessibilità" del lavoro privato.

Ma abbiamo fatto tante premesse per trarre anche altre conseguenze, che ci facciano capire perchè "dare dei servizi migliori nel binomio tempistiche/soddisfazione cittadino" (grazie Flavio),sia un esito molto improbabile di queste misure di...produttività. Vediamo perchè.
Ci serviamo di un altro interessante lavoro, svolto da Saltari e Travaglini, che formulano e dimostrano ampiamente (non è controintuitiva sicchè gli "economisti-espertologi" del "più europa" non la capiscono) che:
"1. Le riforme che hanno aumentato la flessibilità del mercato del lavoro hanno accresciuto l’occupazione, ma hanno anche condotto a un rallentamento della produttività del lavoro e dell’efficienza produttiva (TFP);
2. La maggiore flessibilità ha prodotto due effetti:
- Un più basso tasso di accumulazione, minor ritmo di crescita del rapporto capitale-lavoro
-  Lo spostamento verso settori a minor contenuto tecnologico."
Riassumendo i loro passaggi (già schematizzati e dimostrati coi dati e grafici cui vi rinvio) per quanto ci interessa:
"Nel passato il tasso di crescita dell’occupazione era basso mentre era alto quello della produttività del lavoro; negli ultimi 15 anni la crescita dell’occupazione si è fatta vigorosa mentre si è quasi azzerata la crescita della produttività
Le cause di ciò, secondo lo studio, paiono essere note:
1. Fattori macro: Scarsa adozione delle nuove tecnologie (ICT); Bassa internazionalizzazione
2. Fattori micro: Specializzazione settoriale; Dimensione imprese;
3. Fattori istituzionali: Assetti proprietari delle imprese; Mancate riforme."
Siamo di fronte a una spiegazione "mainstream" e crolla tutta la nostra dimostrazione? Non proprio.
Perchè aggiungono che "tuttavia":
"1.Il rallentamento della produttività e della TFP (efficienza, ndr) è fenomeno relativamente recente;
 2. Inizia alla metà degli anni 90 e diviene acuto in questo decennio quando i tassi di crescita di produttività e TFP si azzerano o divengono negativi.
I fattori prima indicati sono in larga misura preesistenti:
1.Specializzazione produttiva e nanismo industriale preesistente
2.Basso grado di concorrenza
3.Basso grado di internazionalizzazione
4.Assetti proprietari delle imprese
Ma non hanno impedito una crescita della produttività del lavoro negli anni 70 e 80.
Invece, i cambiamenti del quadro istituzionale che regola il mercato del lavoro sono da considerare alla base del calo della produttività. 
Vantaggi e svantaggi. L’ingresso sul mercato del lavoro di nuove forze ha consentito una crescita occupazionale. Ma anche l’emergere di forme di lavoro precario. Maggiore volatilità dell’occupazione, più rischi di disoccupazione nelle fasi di recessioneRiforme del mercato lavoro e flessibilità hanno provocato:
   Effetti diretti

Riduzione del prezzo relativo lavoro-capitale
Maggiore occupazione, ma anche:
Spostamento verso tecniche a maggiore intensità di lavoro

Effetti indiretti
Investimenti in settori tradizionali piuttosto che ICT
Minore crescita della TFP
L’aumento dell’occupazione è avvenuto attraverso forme contrattuali temporanee. Soprattutto, ai nuovi posti di lavoro non è corrisposto un parallelo sviluppo della produttività e delle retribuzioni.
Un risultato che dipende in modo determinante dal modo in cui la flessibilità  del mercato del lavoro è stata utilizzata per l’accumulazione di capitale e il progresso tecnologico.
Cosa è avvenuto
Maggiore flessibilità: le imprese verso l’occupazione a bassa specializzazione, cioè a maggiore intensità di lavoro. La maggiore occupazione è stata indirizzata verso produzioni ad alta intensità di lavoro, a cui è corrisposta una minore produttività e un minore progresso tecnologico. Nessun incentivo all’adozione delle nuove tecnologie e delle nuove forme di organizzazione della produzione (ICT).
Conclusioni
Le riforme verso la flessibilità non accompagnate da riforme nel mercato dei beni possono generare un’allocazione delle risorse peggiore di quella da cui si parte.
Nelle ultime righe del lavoro, fra gli shock che caratterizzano e provocano ulteriormente questo quadro, e che circoscrivono però al periodo decorrente dal 1999 (senza analizzarne la correlazione con gli atri fattori di crisi della produttività prima indicati) aggiungono, come lapidario ed eloquente pro-memoria:
L’Euro. Politica monetaria. La perdita della sovranità monetaria. BCE e entrata in vigore dell’euro dal 1999.
Rinuncia al Tasso di cambio: svalutazioni competitive (sorvoliamo...)

4. Il mito della produttività come forma di deflazione salariale in una pubblica amministrazione strtturata sul "saldo primario di bilancio pubblico.

Applichiamo tutto questo alla suddetta "Trinità" delle misure di "flessibilizzazione" del lavoro implicitamente auspicate da Bonanni (ovviamente, in quanto esponenziale di una intera cultura del lavoro: solo che non dovrebbe essere propria del sindacato), aggiungiamoci il precariato diffusosi sempre più nel lavoro pubblico, (siamo a 260.000 unità!) e avremo il quadro comparativo completo per ricondurre tutte le condizioni e le conclusioni dello studio in questione al pubblico impiego, in tutti gli elementi critici segnalati.
Notare che nell'articolo sul precariato "linkato", un dirigente della Cgil, dichiara: "una politica sbagliata, fatta da una parte di blocco delle assunzioni e dall'altra di tagli lineari, ha prodotto precariato senza diritti. Ed e' questa la risposta alla domanda che il ministro dovrebbe farsi, e cioe' per quale motivo si e' formato tutto questo precariato?"
Sì ma le parole "euro-Maastricht-austerità-pareggio di bilancio" non gli escono mai? Perchè se non gli escono, non è che possano fare molto altro che non sia lamentarsi, ossia "fare ammuina" solo per differenziarsi da...Bonanni.
Infatti:
- la flessibilità così intesa non può che comportare il suevidenziato fenomeno di alterazione del rapporto capitale (investimenti)/lavoro, a tutto scapito del maggior impiego del secondo, sempre più dequalificato per necessità economica dello schema propugnato, e quindi non solo si avrà una minor produttività, ma anche un peggioramento e, nella migliore delle ipotesi, una "stagnazione" della qualità delle erogazioni pubbliche (funzioni e servizi);
- l'accumulo di capitale (nel caso, risparmio pubblico), che non si trasferisce in investimento pubblico, insito inevitabilmente nel contemporaneo "irrinunciabile" (lo vuole l'europa) perseguimento di un forte avanzo primario pubblico, non può che contribuire ad una minor produttività;
-sostenere che il problema, addirittura, non sia in una "insufficienza di risorse" significa rinunziare "in assunto" ad investire in nuove tecnologie di processo, le uniche che potrebbero portare al risultato che, solo nelle eclatanti quanto incoerenti dichiarazioni di "riforma", vengono perseguite;
- la "colpa" e il costo di una politica ventennale di tagli di spesa pubblica e di mancati investimenti viene fatta ricadere sui pubblici dipendenti, cioè sui lavoratori, ma, come al solito, si tratta soltanto di una modalità, camuffata e propagandisticamente spendibile, di tagli alla spesa pubblica per pagare, poi, in sostanza, gli interessi sul debito contratto, a partire dai primi anni '80, per..pagare i crescenti interessi corrisposti al sistema finanziario "creditore" (nel caso dello Stato). 
Dunque la flessibilità, che non ha, in tali termini, nulla a che fare con la produttività, significa soltanto mancati adeguamenti salariali per maggiori prestazioni, per favorire un modello organizzativo ad alto impiego di lavoro ma inefficiente e scarsamente produttivo.
Questi mancati adeguamenti salariali non faranno altro che risolversi in una ulteriore deflazione salariale reale, che si aggiunge a quella derivante dalle misure già adottate secondo gli inequivocabili rilievi già svolti in proposito dalla Corte dei conti.
Il tutto poi, oltre a non avere nulla a che fare con un vero impulso all'aumento di produttività, finirà per amplificare effetti depressivi sulla domanda aggregata superiori ai vantaggi (mancati adeguamenti contrattuali) formalmente perseguiti, senza che si possano realizzare, come abbiamo visto, nemmeno minori costi diretti per gli "utenti" (i balzelli), che non solo non saranno alleggeriti, trattandosi in definitiva di forme di imposizione fiscale o para-tributaria, ma saranno molto probabilmente aumentati.









 


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