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TARGET 2: ALCUNI CHIARIMENTI SU CREDITO IN SENSO GIURIDICO, RULE OF LAW (E "NON" COSTITUZIONALIZZAZIONE DEI TRATTATI)

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Come pagare i debiti e vivere felici (Gianpaolo Luzzi, Franco Angeli, 2014)
 
1. Se il sistema (denominato Target-2) di contabilizzazione interstatale della moneta che circola all'interno dell'eurozona, - in quanto intermediata dai pagamenti reciproci eseguiti dalle varie banche centrali facenti capo, all'interno del SEBC, alla BCE quale unico istituto emittente "primario" -, funziona come un "bilancio", (relativo appunto alla distribuzione della moneta emessa in monopolio legale dalla BCE), il suo saldo complessivo, necessariamente riferito al centro di imputazione "titolare", cioè alla BCE,  "deve" essere pari a 0 (e in effetti lo è).

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2. In ogni modo, in linea di principio, le passività delle banche centrali non sono da considerare alla stregua di debiti esigibili di "diritto comune" (cioè secondo la disciplina del diritto civile) da parte di terzi "creditori": ciò in quanto sussistendo la "garanzia di validazione", da parte dello Stato - o di un'entità politica di altro tipo che si reclama "sovrana"-, del corso legale della moneta emessa dalla "propria" banca centrale,l'illimitato potere di emissione facente capo (per pacifico meccanismo fisiologico della moneta fiat) alla BC stessa (appunto"tesoriere del sovrano") rende sempre, per definizione, saldabili quelle "passività". 
E questo, senza che il soggetto che riceve la prestazione in denaro nulla possa opporre circa il modo in cui la banca centrale si è procurata la provvista (cioè creando essa stessa il denaro nell'ambito dei suoi poteri "sovrani" di emissione).

"C’è molta confusione sulle implicazioni fiscali del programma di acquisto di bond – noto anche come OMT, Outright Monetary Transactions – che la BCE ha annunciato lo scorso anno.

  • La confusione ha origine principalmente dall’applicazione dei principi di solvibilità delle società private (banche incluse) alle banche centrali.
  • Il livello di confusione è così alto che il presidente della Bundesbank si è rivolto alla Corte Costituzionale Tedesca sostenendo che il programma OMT della BCE esporrebbe i cittadini tedeschi al rischio di dover pagare tasse per coprire potenziali perdite generate dalla BCE. 
    ...Al contrario delle società private, i debiti delle banche centrali non rappresentano un diritto sugli asset delle banche centrali. Questo era vero durante il periodo del “gold standard”, quando le banche centrali promettevano di convertire le proprie obbligazioni in oro a un prezzo fissato. Analogamente, in un sistema a cambi fissi, le banche centrali promettono di convertire le proprie obbligazioni in moneta estera a un prezzo fisso. 
    ...Per essere chiari:

    • La banca centrale (che non può fallire) non ha bisogno di alcun sostegno fiscale dal governo (che invece può fallire).
    • L’unico sostegno di cui la banca centrale necessita da parte del governo è che mantenga il monopolio sull’emissione di moneta in tutto il territorio su cui ha giurisdizione."
3. Questo insieme di chiari principi (non accedendo ai quali, appunto, si fa "grande confusione"), riguarda perciò l'eventuale passività della BCE verso la Bundesbank, nel caso un paese in saldo passivo nel sistema Target 2, uscisse dalla moneta unica (e, come vedremo, l'altrettanto eventuale azione di "regresso" della BCE verso il paese uscente che avesse registrato una passività Target-2).
Se la passività è sempre saldabile con la "provvista" costituita dal potere di emissione, garantito e illimitato, dell'istituto centrale legalmente "emittente, non v'è ragione effettiva perché, su questa fisiologica attività solutoria, l'istituto emittente debba rivalersi sulla banca centrale del paese uscente, chiedendole l'apprestamento di un altro tipo di provvista (in euro) che tale BC non ha il potere di creare.
Si creerebbe infatti una locupletazione, duplicativa e sine titulo, rispetto al potere di saldo illimitato delle proprie passività in capo alla specifica banca centrale "BCE": questa fingerebbe di non avere il potere di emissione/saldo (di qualunque passività) e richiederebbe la provvista da essa solo creabile una seconda volta a chi non ha il potere di crearla (in euro).
Insomma, la BCE si comporterebbe come se l'euro fosse una moneta "gold standard", al di fuori di qualsiasi disciplina giuridica che autorizzasse tale conclusione.

3.1. Una passività di banca centrale fa dunque capo a un soggetto emittente in quanto tale e non costituisce "debito" se non come potenziale e (del tutto) astratta garanzia escutibile nei confronti dello Stato o, appunto, di un'altra entità sovrana, che ha il potere ORIGINARIO di emettere quella moneta.
In pratica, rapportandosi al sistema BCE-SEBC e Target-2, ciò vuol dire che eventuali rapporti di credito verso la Banca centrale - ma sempre vantati da terzi necessariamente estraneialla entità emittente, qualificazione di cui c'è da dubitare rispetto alla Bundesbank per la valuta "euro", in quanto organo interno del SEBC sono semmai crediti esigili verso l'UE-Eurogruppo, entità atipica di derivazione dai trattati, rafforzata nella sua soggettività autonoma dalla UE dal fiscal compact e dalla previsione dell'art.3, comma 4, del TUE.

3.2. Ma rispetto all'Eurogruppo-(suo)organo BCE-SEBC (l'organo è lo strumento di azione e di imputazione di effetti che caratterizza l'attività giuridica delle persone giuridiche, ed è perciò parte integrante della loro soggettività), abbiamo visto che il saldo target-2 complessivamente considerato è pari a 0
Quindi anche i singoli Stati, in quanto associati e quotisti della BCE, non hanno nessuna perdita da condividere rispetto a tale saldo 0 (per definizione). 
Almeno finché non ci sia una "uscita".

4. Ma anche ciò che si verificherebbe in questo caso, nulla ha a che vedere - secondo questa corretta configurazione dei rapporti tra entità politica sovrana e suo istituto emittente (emittente, appunto, la "passività convenzionale" costituita dalla moneta)-, con il pretendere che si verifichi il sorgere di un debito dei singoli Stati uscenti.
Ed infatti, quand'anche il saldo target-2 non fosse più zero madivenisse un saldo attivoesigibile per la "solita" Bundesbank, parte del SEBC, verso la BCE e successivamente, in via di regresso verso la BC "uscente", a favore della BCE che avesse fornito a Bunsedbank la provvista corrispondente al suo attivo, ne consegue un effetto giuridico evidente sulla titolarità di questo debito(ove appunto fosse configurabile giuridicamente senza una vera e propria indebita locupletazione).
Dunque: se, superando quanto abbiamo finora precisato, una passività imputata a una singola BC del SEBC,  non valesse più come mero "attivo" della BCE a fini di contabilità interna (al sistema di emissione territorialmente distribuita dell'euro), e divenisse invece un obbligo pecuniario di dare a carico della ex  articolazione interna del SEBC (cioè la BC dello Stato "uscente"),lo Stato "uscente" rimarrebbe comunque estraneo a qualunque rapporto di dare/avere sorto all'interno dell'organo SEBC  (e garantito esclusivamente dall'entità politica Eurogruppo) e non ci sarebbe alcun titolo giuridicamente previsto per trasferirlo in capo ad esso.

4.1. La Banca centrale uscente si farebbe carico della "passività" costituita dalla emissione della nuova moneta (a seguito della €xit), ma lo Stato ridivenuto titolare a titolo originario del potere di emissione delegato a tale BC, dovrebbe solo garantire il corso legale della nuova moneta.
Mai lo Stato "uscente", privato anzi della sua sovranità monetaria, ha avuto un obbligo di garantire le passività della BCE dalla quale è stato espressamente estraniato (v.art.123 TFUE, su tutti).
Alla BC "uscente", a sua volta, era contabilmente imputata la passività Target-2 non in quanto tesoriere di tale Stato (funzione che era cessata a seguito dell'adesione alla moneta unica), ma IN QUANTO ORGANO INTERNO DEL SEBC (cioè delegato a livello periferico a svolgere funzioni che la BCE potrebbe in astratto svolgere direttamente da sé).

4.2. Durante il tempo in cui si è formato il passivo Target-2, e relativamente alle sue funzioni "secondarie" di emissione della  moneta "euro", la banca centrale "nazionale" (in precedenza all'entrata nell'eurozona), - in virtù del rigido principio di indipendenza sancito dallo stesso Trattato FUE (art.131: ma proprio all'interno della disciplina pattizia di BCE e SEBC)-, NON era più organo dello Stato nazionale, ma articolazione organica interna al SEBC
L'indipendenza "pura" della BC (art.123 TFUE), requisito di ammissione alla stessa eurozona (art.140 TFUE), non può essere invocata sempre e solo a sfavore dello Stato, prima per reclamare la fine della sua sovranità monetaria e poi per fare l'opposto, cioè reimputando allo Stato (!) le funzioni, esecutive della disciplina dell'eurozona, che avessero dato luogo ad una passività comunque facente capo al potere di emissione esclusivo della BCE.

5. La conseguenza di una diversa interpretazione del sistema normativo sancito dai trattati, nella misura in cui sono rinvenibili disposizioni espresse e non interpretazioni basate su "intuitus mentis", sarebbe infatti del tutto paradossale.
Dovremmo affermare, senza che a ciò corrisponda alcuna norma invocabile, e quindi in violazione della "Rule of Law", (che pure il diritto europeo pretende di rispettare, pur con notevoli anomalie e contraddizioni, v.qui, e infra in appendice)- che, in assenza di emissione di titoli del debito pubblico o di equivalente garanzia, lo Stato italiano, via ministero del tesoro, abbia già contratto un debito effettivamente esigibile senza aver mai espresso una tale volontà di obbligarsi verso un qualunque soggetto terzo e, appunto, in assenza di qualunque previsione dei trattati che lo obblighi a ciò.
In altri termini, accettando che l'uscita faccia maturare come credito esigibile della BCE l'attivo corrispondente alla passività della Banca d'Italia, si sosterrebbe che già adesso lo Stato italiano avrebbe un debito pubblico pari a ulteriori circa 360 miliardi, sicchè, a condizioni certe quanto all'an ma incerte quanto al quando, il rapporto debito/PIL sarebbe pari a circa il 150%.

5.1. Ma questa enormità non è sostenibile: e non è sostenuta, al momento attuale, - proprio per l'assenza di qualunque previsione espressa (e ragionevole) che deroghi alla normale fisiologia della "passività" costituita dalla (mera) emissione di moneta da parte dell'ente che ha un inesauribile potere di emissione-, neppure dalle istituzioni UE.
A rigore l'opinione informale di Draghi è una mera posizione personale non costitutiva e neppure accertativa, dato che non ha alcuna competenza, nè egli come presidente, nè la stessa BCE, a regolare, accertare e "riscuotere" debito verso gli Stati, meno che mai se (divenuti) estranei alla moneta unica (la competenza, in via di principio spetterebbe alla Commissione, ma sempre ove vi sia una previsione espressa che gliela attribuisca nel caso considerato).

6. Ma supponiamo che la BCE, a seguito di un €xit di uno Stato con passività Target-2, assumesse formalmente questa posizione (con un atto formale di ingiunzione o messa in mora dello Stato uscente, magari, in modo più legalitario, avallata da conforme determinazione della Commissione cui la BCE si fosse eventualmente rivolta): ci sarebbero, da parte dello Stato cui venisse accollato, in violazione della Rule of Law, un debito pubblico corrispondente alla passività T-2, una consistente serie di eccezioni sollevabili nei sensi finora precisati.

6.1. La controversia, però, attinendo tutta a poteri e fatti giuridici (costitutivi del preteso credito) ascrivibili al diritto dei trattati europei, sarebbe di competenza solo e sempre della Corte europea.
Non sarebbe infatti configurabile in alcun modo un debito di diritto comune (da fonte volontaria c.d. "negoziale" e quindi "iure privatorum), imputabile ad alcun contratto tra soggetti privati-commerciali.

7. Ne discende la (naturale) conseguenza che non sarebbe neppure in astratto configurabile l'applicazione della lex fori relativa alle "controversie aventi ad oggetto un rapporto contrattuale", disciplinato "sulla base del Regolamento CE n. 44/01 del Consiglio, il quale, - dopo aver stabilito all'art. 2, punto 1, che «le persone domiciliate nel territorio di un determinato Stato membro sono convenute, a prescindere dalla loro nazionalità, davanti ai giudici di tale Stato membro», in tal modo individuando, quale foro generale, quello del convenuto-, prevede, all'art. 5, punto 1, un foro speciale alternativo, poiché «la persona domiciliata nel territorio di uno Stato membro può essere convenuta» anche «davanti al giudice del luogo in cui l'obbligazione dedotta in giudizio è stata o dev'essere eseguita» (lett. a), precisandosi ancora (lett. b) che, ai fini dell'applicazione di tale disposizione, e salvo diversa convenzione, «il luogo di esecuzione dell'obbligazione dedotta in giudizio è, nel caso della compravendita di beni, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i beni sono stati o avrebbero dovuto essere consegnati in base al contratto, nel caso della prestazione di servizi, il luogo, situato in uno Stato membro, in cui i servizi sono stati o avrebbero dovuto essere prestati in base al contratto".

7. Nulla di tutto questo è configurabile nei rapporti tra Stati o, al più, tra banche centrali, in quanto, pur con una certa difficoltà all'interno dei visti principi del diritto europeo, queste siano assumibili con "organi" dello Stato. 
Questi rapporti sono tutt'altro che "contrattuali" (o "volontari-negoziali") e, invece, indubbiamente regolati dal diritto pattizio "pubblico", cioè dalla disciplina interstatale (nel senso che soggetti contraenti sono e rimangono gli Stati) dei trattati europei.

Le competenze della Corte di giustizia dell'Unione europea


La presente nota sintetica esamina le competenze della Corte di giustizia dell'Unione europea, che comprende tre organi giurisdizionali — la Corte di giustizia stessa, il Tribunale e il Tribunale della funzione pubblica— e offre vari mezzi di ricorso, come stabilito all'articolo 19 del trattato sull'Unione europea (TUE), agli articoli da 251 a 281 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), all'articolo 136 del trattato Euratom e al protocollo n. 3 allegato ai trattati sullo statuto della Corte di giustizia dell'Unione europea, quale modificato dal regolamento (UE, Euratom) n. 741/2012 del Parlamento europeo e del Consiglio dell'11 agosto 2012.

La Corte di giustizia...

a.Ricorsi diretti contro gli Stati membri o un'istituzione, un organo o un organismo dell'Unione europea

La Corte si pronuncia sui ricorsi contro gli Stati o le istituzioni per inadempimento degli obblighi previsti dal diritto dell'Unione.
1.Ricorsi per inadempimento contro uno Stato membro
Tali azioni sono proposte:
  • dalla Commissione, dopo un procedimento precontenzioso (articolo 258 TFUE): la Commissione emette un parere motivato, dopo aver posto lo Stato in condizioni di presentare le sue osservazioni (1.3.8);
  • oppure da uno Stato membro contro un altro Stato membro, dopo aver sottoposto la questione alla Commissione (articolo 259 TFUE).
Ruolo della Corte:
  • accertare che lo Stato membro non ha adempiuto ai propri obblighi; in tal caso lo Stato in questione è tenuto a porre fine all'inadempimento immediatamente;
  • qualora, dopo essere stata nuovamente adita dalla Commissione, la Corte constati che lo Stato membro interessato non si è conformato alla sua sentenza, può imporgli il pagamento di una sanzione finanziaria (una somma forfettaria fissa e/o il pagamento periodico di una penalità), il cui importo è stabilito dalla Corte sulla base di una proposta della Commissione (articolo 260 TFUE).
2.Ricorsi di annullamento o per carenza contro le istituzioni dell'Unione
Oggetto: i casi in cui il ricorrente chiede l'annullamento di un atto presumibilmente contrario al diritto dell'UE (annullamento: articolo 263 del TFUE) oppure i casi di violazione del diritto dell'UE nei quali un'istituzione, un organo o un organismo si sia astenuto dal pronunciarsi (articolo 265 del TFUE).
Procedimento: i ricorsi possono essere proposti dagli Stati membri, dalle istituzioni stesse o da qualsiasi persona fisica o giuridica, qualora il ricorso concerna un atto (in particolare un regolamento, una direttiva o una decisione) adottato da un'istituzione, un organo o un organismo dell'UE e che la riguardi.
Ruolo della Corte: la Corte dichiara nullo e non avvenuto l'atto impugnato o accerta l'avvenuta astensione, e in tal caso l'istituzione inadempiente è tenuta a prendere i provvedimenti che l'esecuzione della sentenza della Corte comporta (articolo 266 TFUE).
Speriamo di aver chiarito alcuni punti fondamentali della questione.
Ma non crediamo che verranno compresi...

9. APPENDICE: 
Ma, sempre per comprendere meglio, vale la pena di rammentare alcuni elementi di scenario, politico prima ancora che giuridico, che caratterizzano la giurisdizione della Corte europea e il rispetto della Rule of Law in sede €uropea, e proprio in relazione alla ricorrenza del trattato di Roma ed alla sua presunta "diversità" rispetto al quadro attuale dei trattati. 
Certo, il quadro che stiamo per descrivere rende molto incerto e, ancora una volta, manifestamentecontrario ai principi costituzionali fondamentali, il riconoscimento di una giurisdizione "privilegiata" in capo alla CGUE in casi dove sia in gioco la diretta espressione della sovranità democratica di un singolo Stato
E certamente tale è il caso della riappropriazione della sovranità monetaria nei suoi legami con la legittimazione costituzionale di tale Stato di perseguire i fini essenziali della propria azione conforme a Costituzione:
"...il fine della costruzione europea (l'instaurazione dell'ordine sovranazionale dei mercati) si separa geneticamente dalla democraticità dei mezzi e, come vedremo, dalla stessa Rule of Law, espressione equivalente a quella di "Stato di diritto", che è quello in cui gli organi di governo sono sottoposti anch'essi a regole precostituite e anticipatamente individuabili, la cui violazione è deducibile dinanzi a un giudice: questo perché la sfera di attribuzioni delle nascenti istituzioni europee è programmata, mediante tale metodologia, per andare ben oltre le previsioni espresse di ogni "generazione" di trattati (persino dei più recenti):
...In argomento traiamo un spunto storico, particolarmente attuale (anzi: perennemente attuale) dal "Manifesto" dei laburisti inglesi, del 1950, (riportato dal Arturo dei post da cui traiamo spunto, ove è stato alterato leggermente l’ordine degli argomenti per esigenze espositive), documento che ci consente di riagganciarci all’argomento principale: 

“I popoli devono essere interpellati (...?)


Tutte le forme di unione finora discusse comportano un trasferimento di poteri dai popoli dei singoli Stati europei a una qualche nuova organizzazione. Ciò comporterebbe una significativa modifica costituzionale in ogni paese. Una tale modifica può essere realizzata solo se il popolo di ogni paese lo decide dopo una matura riflessione in cui tutte le implicazioni del cambiamento siano state presentate. È dunque dovere di ogni gruppo che desidera tali cambiamenti guadagnare il popolo di ogni paese alle proprie convinzioni. In particolare, ogni partiti politico che sostiene il cambiamento è chiaramente obbligato a inserire una proposta di questa portata nel proprio programma elettorale.


Si sono già creati pericolosi equivoci. In ambienti in cui queste idee sono popolari, importanti politici si sono vagamente espressi sulla loro disponibilità a nuove forme costituzionali. Eppure gli stessi politici hanno chiaramente evitato di presentare queste proposte al giudizio dei loro elettori.


[…]


Cambiamenti costituzionali che limitino o modifichino il potere democratico dei popoli sovrani dell’Europa occidentale dev’essere sottoposto al giudizio di questi popoli. Nessun politico ha il diritto di sostenere tali cambiamenti senza avere la sincerità e il coraggio di sottoporli al verdetto del suo elettorato.”

Quanto alle difficoltà della cooperazione tramite negoziati: “Laddove i progressi sono stati deludenti, la causa non risiede in una qualche inadeguatezza delle istituzioni esistenti, ma in reali conflitti di interessi che non possono semplicemente essere ignorati o soppressi, ma devono essere pazientemente superati attraverso reciproche libere concessioni.



...Ultimo periodo a parte (che restituisce alla politica lo spazio che le è proprio), vale la pena riflettere sul denunciato affacciarsi di un “costituzionalismo” europeo, certo in teoria facilmente praticabile per un paese privo di costituzione rigida.


A ben guardare, sul piano storico, di là di concessioni retoriche, impegni “costituzionali” i politici nazionali non hanno mai inteso sottoscriverne:posto che avessero il potere di assumerne. Quelli italiani ovviamente ne erano privi, a meno di passare dal procedimento di revisione, coi suoi relativi limiti.


Karen Alter, per un libro importante di cui ci sarà occasione di riparlare, ha compiuto parecchie interviste (anonime…) ai protagonisti dei negoziati europei. Gli intervistati le hanno riferito quanto segue: 

L’idea chele corti nazionali applicassero il diritto comunitario contro il diritto nazionale o lo disapplicassero non fu mai discussa dagli esperti legali nei negoziati del Trattato di Roma, tantomeno dai politici” (K. Alter, Establishing the Supremacy of European Law, Oxford University Press, N.Y., 2001, pag. 9). 
...
Per ricapitolare e chiarire il paradosso che ci troviamo davanti: uno degli argomenti dei sostenitori dell’esistenza di una “costituzione” europea (per esempio Pernice) è che “tale presunta costituzione sia stata già legittimata dai cittadini europei. Il miracolo sarebbe avvenuto grazie al fatto che i Trattati sono stati immessi negli ordinamenti degli Stati membri grazie a leggi, nelle quali si sarebbe manifestata la volontà democratica dei cittadini”. (M. Luciani, "Legalità e legittimità nel processo di integrazione europeo" in AAVV, Una Costituzione senza Stato, Il Mulino, Bologna, 2001, pag. 85).
...Anzitutto va segnalata levidente inidoneità funzionale del procedimento di ratifica a fornire una qualsiasi parvenza di copertura in termini di “costituzionalità ai Trattati europei.
Cito in argomento un autore insospettabile di antieuropeismo come Giuliano Amato (Costituzione europea e parlamenti, Nomos, 2002, 1, pag. 15): 
Quando si ratificano i trattati internazionali, in genere si ratificano quelli che disciplinano le relazioni esterne. Quando si ratifica una modifica dei trattati comunitari non si ratifica una decisione che attiene alle relazioni esterne, ma una decisione che attiene al governo degli affari interni. 
Il processo di ratifica così com'è è congegnato è allora del tutto inadatto ad assicurare ai parlamenti il ruolo che ad essi spetta rispetto agli affari interni
Il procedimento di ratifica è tarato sull’essere ed il poter essere un potere intrinsecamente dei governi esercitato sotto il controllo dei parlamenti. Tant’è vero che la legge di ratifica è una legge di approvazione e non è una legge in senso formale.
Ma il vero clou del paradosso, dicevo, consiste nel fatto che “la politica dei piccoli passi nel processo di integrazione comunitaria ha fatto sì che mai nessuno abbia detto espressamente che, con i Trattati che si andavano stipulando, si stava costruendo una nuova costituzione.” (Luciani, op. cit., pagg. 85-6).
 ...Non basta. Dopo il fallimento del progetto di costituzione europea a seguito dei due referendum francese e olandese, il 22 giugno del 2007 la Presidenza del Consiglio Europeose n’è uscito con questa solenne dichiarazione:
L’approccio costituzionale, che consiste nell’abrogare tutti i Trattati e rimpiazzarli con un singolo testo definito “Costituzione” è abbandonato. […] Il TUE e il TFUE non avranno un carattere costituzionale
La terminologia usata nei Trattati rifletterà questo cambiamento: il termine “costituzione” non verrà usato […]. Con riguardo alla supremazia del diritto comunitario, la conferenza intergovernativa adotterà una dichiarazione ricordando l’attuale giurisprudenza della Corte di Giustizia Europea”.
Tale dichiarazione è diventata la numero 17 allegata all’atto finale della conferenza intergovernativa che ha approvato il Trattato di Lisbona firmato il 13 dicembre 2007, ossia: 
La conferenza ricorda che, per giurisprudenza costante della Corte di giustizia dell'Unione europea, i trattati e il diritto adottato dall'Unione sulla base dei trattati prevalgono sul diritto degli Stati membri alle condizioni stabilite dalla summenzionata giurisprudenza.
Inoltre, la conferenza ha deciso di allegare al presente atto finale il parere del Servizio giuridico del Consiglio sul primato, riportato nel documento 11197/07 (JUR 260):
«Parere del Servizio giuridico del Consiglio del 22 giugno 2007:
Dalla giurisprudenza della Corte di giustizia si evince che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale del diritto comunitario stesso. Secondo la Corte, tale principio è insito nella natura specifica della Comunità europea. All'epoca della prima sentenza di questa giurisprudenza consolidata (Costa contro ENEL, 15 luglio 1964, causa 6/64 […] non esisteva alcuna menzione di preminenza nel trattato. La situazione è a tutt'oggi immutata. Il fatto che il principio della preminenza non sarà incluso nel futuro trattato non altera in alcun modo l'esistenza del principio stesso e la giurisprudenza esistente della Corte di giustizia.
[NdQ.3] Col che, ne emerge un non sequitur piuttosto clamoroso e, al tempo stesso, una stranezza, sicuramente antitetica allo Stato di diritto democratico.
Il diritto, - per di più posto al vertice di una gerarchia delle fonti (volutamente) non precisata da alcuna clausola scritta-, sorge da una corte che non è vincolata da norme preesistenti che ne stabiliscano seriamente non solo l'indipendenza e l'imparzialità (rispetto ad un Esecutivo particolaramente privo di legittimazione democratica come quello €uropeo),  ma anche la "soggezione alla legge": cioè non esiste una disciplina ascrivibile alla volontà espressa degli Stati circa il valore e i limiti delle sue decisioni in un quadro legale predeterminato delle norme applicabili (europee); un quadro legale posto, com'è teoricamente dovuto (in base alla stessa lettera dei trattati!), esplicitamente in rapporto al problema del rispetto delle norme costituzionali dei paesi-membri che, pure, ne costituiscono la vera fonte legittimante e il limite (secondo gli stessi enunciati espressi dei trattati: ma non di quelli "impliciti" e non approvati dagli Stati!). 
...Il “miracolo” di cui parla Luciani consisterebbe quindi in una “non costituzione” composta da un insieme di trattati internazionali a cui nessuno, in sede politica – posto avesse i poteri per farlo -, ha mai attribuito un carattere costituzionale,rifiutato peraltro esplicitamente dagli stessi vertici istituzionali europei, ma che, appunto, “miracolosamente” prevale su ogni costituzione degli Stati brutti e cattivi grazie a un “principio di preminenza” “scoperto”, vedremo come, dalla Corte di Giustizia, e che peraltro quasi nessuna giurisprudenza costituzionale dei paesi membri ha accettato, almeno non con l’assolutezza pretesa dai giudici europei.
A questa follia collettiva siamo arrivati oggi in Europa. 
Perché sia stato praticato un simile stravolgimento di consolidate categorie giuridiche, mi pare abbastanza ovvio: visto che la costituzionalizzazione dell’ordine internazionale dei mercati da una qualsiasi assemblea costituente eletta a suffragio universale non c’era verso di farla saltar fuori, figuriamoci da quelle di tutti i paesi europei contemporaneamente, non restava altra via che aggirare la legittimazione democratica senza poterlo confessare apertamente.
...Sul piano ideologico, pare difficile considerare casuale l’evidente consonanza col favore per il diritto di matrice giurisprudenziale teorizzato dalla scuola austriaca, cioè per il frutto di un ordinamento costruito a partire dalle “intuizioni” del giudice.
Come scrive Maria Chiara Pievatolo ("Rule of law e ordine spontaneo. La critica dello Stato di diritto eurocontinentale", in "Bruno Leoni e Friedrich von Hayek in Costa, Zolo (a cura di), Lo Stato di diritto", Feltrinelli, Milano, 2002, pp. 474 e 476): “L'appello di Hayek all’intuizione del giudice, la tesi che è impossibile o deleterio vedere il diritto come un complesso sistematico comprensibile da mente umana e la precaria delimitazione del confine fra diritto e morale fanno capire che questa concezione del rule of law può funzionare, cioè riempirsi di contenuto, solo grazie all’apporto surrettizio, e perciò criticamente incontrollabile, del governo degli uomini.” 
“E perciò allontanare il diritto dallo Stato può allontanarlo solo dal problema dello Stato, ma non dal generale problema del potere e della sua controllabilità, che anzi si ripresenta tanto più drammaticamente quanto meno è reso pubblico e formale, a meno che non si facciano assunzioni naturalistiche sull'armonia della società e sull'omogeneità degli interessi dei singoli.
[NdQ4] E se c'è un ordinamento che non si preoccupa della "omogeneità degli interessi", ma anzi ne accentua la disomogeneità, attraverso il diktat della stabilità monetaria e della "economia sociale di mercato fortemente competitiva", è quello €uropeo: la "armonia della società", poi, in sede €uropea, è addirittura un disvalore, laddove, senza che si comprenda su quali basi normative ciò avvenga, si predicano continue "riforme strutturali" che si riducono alla permanente precarizzazione e flessibilizzazione del mercato del lavoro e allo smantellamento "inevitabile" del welfare di cui Prodi ci ha detto con estrema chiarezza.

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