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Ma se volete essere più "precisi" potrebbe trattarsi di sineddoche: si dice governabilità per indicare "vincolo €sterno"...

1. I comuni cittadini, nonché elettori, hanno bisogno di chiarezza, oggi più che mai. Il clamore variamente suscitato dalla nuova legge elettorale in corso di approvazione, è la dimostrazione di questa manifesta esigenza.
Riteniamo di poter dare un poco di maggior chiarezza andando alle origini (più recenti) della traiettoria che sta conducendo a questa approvazione. Non è un discorso semplice perché i "centri di irradiazione" che dettano il pensiero mainstream infuso all'opinione pubblica hanno costruito un sistema di controllo para-orwelliano estremamente complesso (nelle apparenze). Il tutto, in modo costante, si svolge attraverso la figura logico-retorica dell'elissi (cioè della definizione del "reale" che si esprime in proposizioni in cui viene omesso un concetto fondamentale necessariamente implicito).
2. La miglior comprensione dell'attuale situazione politico-istituzionale si può in buona parte raggiungere dalla verifica di ciò che ebbe veramente a dire la sentenza della Corte costituzionale n.35 del 2017 sulla legge elettorale "Italicum",
Per i veri "cultori" della materia suggerisco di leggere i punti di "diritto" .3.1. e (!!!) 3.3., relativi alla condizione di "rilevanza" delle questioni di costituzionalità sollevate in relazione all'interesse ad agire nei giudizi "a quibus".
2.1. E giacché ci stiamo, nella lettura della sentenza è interessante anche vedere cosa sia stato effettivamente detto sul meccanismo del "ballottaggio" al punto p.9.2. e ve lo riporto. Notare un aspetto che ci torna utile alla comprensione delle "vere" conseguenze della sentenza della Corte, su ciò che avrebbero potuto fare poi, il Parlamento, sulla disciplina elettorale: sostanzialmente, ballottaggio "sì", ma se all'interno di sistema elettorale maggioritario con collegi uninominali di ridotte dimensioni:
"È necessario sottolineare che non è il turno di ballottaggio fra liste in sé, in astratto considerato, a risultare costituzionalmente illegittimo, perché in radice incompatibile con i principi costituzionali evocati. In contrasto con gli artt. 1, secondo comma, 3 e 48, secondo comma, Cost. sono invece le specifiche disposizioni della legge n. 52 del 2015, per il modo in cui hanno concretamente disciplinato tale turno, in relazione all’elezione della Camera dei deputati.
Il turno di voto qui scrutinato – con premio assegnato all’esito di un ballottaggio in un collegio unico nazionale con voto di lista – non può essere accostato alle esperienze, proprie di altri ordinamenti, ove al ballottaggio si ricorre, nell’ambito di sistemi elettorali maggioritari, per l’elezione di singoli rappresentanti in collegi uninominali di ridotte dimensioni. In casi del genere, trattandosi di eleggere un solo rappresentante, il secondo turno è funzionale all’obbiettivo di ridurre la pluralità di candidature, fino ad ottenere la maggioranza per una di esse, ed è dunque finalizzato, oltre che alla elezione di un solo candidato, anche a garantirne l’ampia rappresentatività nel singolo collegio.
...
Merita, infine, precisare che l’affermata illegittimità costituzionale delle disposizioni scrutinate non ha alcuna conseguenza né influenza sulla ben diversa disciplina del secondo turno prevista nei Comuni di maggiori dimensioni, già positivamente esaminata da questa Corte (sentenze n. 275 del 2014 e n. 107 del 1996). Tale disciplina risponde, infatti, ad una logica distinta da quella che ispira la legge n. 52 del 2015. È pur vero che nel sistema elettorale comunale l’elezione di una carica monocratica, quale è il sindaco, alla quale il ballottaggio è primariamente funzionale, influisce in parte anche sulla composizione dell’organo rappresentativo. Ma ciò che più conta è che quel sistema si colloca all’interno di un assetto istituzionale caratterizzato dall’elezione diretta del titolare del potere esecutivo locale,quindi ben diverso dalla forma di governo parlamentare prevista dalla Costituzione a livello nazionale".
3. Ma il punto oggi divenuto più attuale è quello della presunta "prescrizione" della Corte relativa all'esigenza di adottare una legge elettorale omogenea per i due rami del parlamento. Deduzione, da parte di media e politica, che si rivela molto meno vera di quanto non abbiano apertamente sostenuto...
Infatti, sul raccordo delle due leggi elettorali la Corte nega di doversene occupare, con questi eloquenti passaggi in cui l'invito finale, proprio per non essere contraddittorio con le motivazioni dei "punti" appena precedenti, si limita a una generica direttiva che, si badi bene, non riguarda la adozione di sistemi elettorali omogenei (che comunque sarebbe stata, in questo passaggio finale, "meramente auspicata", cioè non oggetto dell'effetto conformativo della sentenza obbligatorio per il legislatore), quanto il più blando "auspicio" di sistemi elettorali che,"pur se differenti, non ostacolino, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee":
Infatti, sul raccordo delle due leggi elettorali la Corte nega di doversene occupare, con questi eloquenti passaggi in cui l'invito finale, proprio per non essere contraddittorio con le motivazioni dei "punti" appena precedenti, si limita a una generica direttiva che, si badi bene, non riguarda la adozione di sistemi elettorali omogenei (che comunque sarebbe stata, in questo passaggio finale, "meramente auspicata", cioè non oggetto dell'effetto conformativo della sentenza obbligatorio per il legislatore), quanto il più blando "auspicio" di sistemi elettorali che,"pur se differenti, non ostacolino, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee":
"14.– Il Tribunale ordinario di Messina sospetta l’illegittimità costituzionale di due disposizioni del d.lgs. n. 533 del 1993, relativo all’elezione del Senato, e in particolare degli artt. 16, comma 1, lettera b), e 17, i quali stabiliscono la percentuale di voti che le coalizioni di liste e le liste non collegate devono conseguire, in ciascuna Regione, per accedere al riparto dei seggi.
Nel proprio percorso argomentativo, particolarmente sintetico, il giudice a quo, dapprima ricorda che le disposizioni relative alle soglie di sbarramento previste dal vigente sistema elettorale del Senato hanno contenuti diversi rispetto a quelli previsti dalla legge elettorale n. 52 del 2015 per l’elezione della Camera, e che tale differenza pregiudicherebbe l’obbiettivo della governabilità, potendosi formare maggioranze non coincidenti nei due rami del Parlamento. Quindi, assume la non manifesta infondatezza della questione, per violazione degli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 49 e 51 Cost., limitandosi a ricordare che la sentenza n. 1 del 2014 di questa Corte, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale della disciplina relativa al premio di maggioranza per il Senato, aveva affermato che quella disciplina comprometteva il funzionamento della forma di governo parlamentare.
14.1.– Così formulata, la questione è inammissibile, per insufficiente motivazione sulla non manifesta infondatezza e oggettiva oscurità del petitum.
Il rimettente solleva questioni di legittimità costituzionale sulle disposizioni che prevedono le soglie di sbarramento per l’elezione del Senato senza confrontare tali soglie con quelle introdotte dalla legge n. 52 del 2015 (che neppure cita), per poi dedurne che la diversità dei due sistemi elettorali pregiudicherebbe la formazione di maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento, in asserita lesione dei parametri costituzionali ricordati.
Non illustra, tuttavia, le ragioni per cui sarebbero le diverse soglie di sbarramento, e non altre, e assai più rilevanti, differenze riscontrabili tra i due sistemi elettorali (ad esempio, un premio di maggioranza previsto solo dalla disciplina elettorale per la Camera), ad impedire, in tesi, la formazione di maggioranze omogenee nei due rami del Parlamento.
Lamenta, inoltre, la lesione di plurimi parametri costituzionali (gli artt. 1, 3, 48, secondo comma, 49 e 51 Cost.), dai contenuti e dai significati all’evidenza diversi, senza distintamente motivare le ragioni per le quali ciascuno sarebbe violato. Per costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis, sentenze n. 120 del 2015, n. 236 del 2011; ordinanze n. 26 del 2012, n. 321 del 2010 e n. 181 del 2009), tuttavia, non basta l’indicazione delle norme da raffrontare, per valutare la compatibilità dell’una rispetto al contenuto precettivo dell’altra, ma è necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e, se del caso, illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione.
La singolarità della prospettazione risiede anche nella circostanza che essa non chiarisce quale delle due diverse discipline, quanto all’entità delle soglie di sbarramento, dovrebbe essere uniformata all’altra; mentre sembra sfuggire al rimettente che l’ipotetico accoglimento della questione sollevata condurrebbe semplicemente alla caducazione delle censurate disposizioni della legge elettorale del Senato, derivandone il permanere di una distinta diversità tra i due sistemi: nessuna soglia di sbarramento a livello regionale nella disciplina del Senato, e il mantenimento di una soglia del 3 per cento, calcolata a livello nazionale, per la Camera".
3.1. Commento "essenziale": sul punto, invece, la Corte, - cui non mancano (come si può vedere dai passaggi precedenti della stessa sentenza e dal solco giurisprudenziale in cui si inserisce) strumenti raffinati di superamento dell'inammissibilità "in prospettazione"-, avrebbe ben potuto fare una sentenza di accoglimento (o anche di reiezione) c.d. interpretativo-manipolativa: ad es (ex multis); avrebbe potuto stabilire che le disposizioni dell'Italicum, oggetto del giudizio, fossero illegittime nella parte in cui prevedono soglie non coincidenti con quelle stabilite nella disciplina del "Porcellum" residuo, cioè quale risultante dalla relativa decisione della stessa Corte n.1/2014.
3.2. Ancora, analoghe considerazioni e meccanismi decisionali, potevano essere richiamati sul punto seguente:
3.1. Commento "essenziale": sul punto, invece, la Corte, - cui non mancano (come si può vedere dai passaggi precedenti della stessa sentenza e dal solco giurisprudenziale in cui si inserisce) strumenti raffinati di superamento dell'inammissibilità "in prospettazione"-, avrebbe ben potuto fare una sentenza di accoglimento (o anche di reiezione) c.d. interpretativo-manipolativa: ad es (ex multis); avrebbe potuto stabilire che le disposizioni dell'Italicum, oggetto del giudizio, fossero illegittime nella parte in cui prevedono soglie non coincidenti con quelle stabilite nella disciplina del "Porcellum" residuo, cioè quale risultante dalla relativa decisione della stessa Corte n.1/2014.
3.2. Ancora, analoghe considerazioni e meccanismi decisionali, potevano essere richiamati sul punto seguente:
15.– Il Tribunale ordinario di Messina solleva, infine, questione di legittimità costituzionale dell’art. 2, comma 35, della legge n. 52 del 2015, in virtù del quale le disposizioni contenute nel medesimo art. 2, cioè quelle che apportano modifiche al d.P.R. n. 361 del 1957, ridisegnando il sistema per l’elezione della Camera dei deputati, si applicano a decorrere dal 1° luglio 2016.
Il giudice a quo ritiene che tale previsione violi gli artt. 1, 3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost., in quanto, «in caso di nuove elezioni a legislazione elettorale del Senato invariata (pur essendo in itinere la riforma costituzionale di questo ramo del Parlamento), si produrrebbe una situazione di palese ingovernabilità, per la coesistenza di due diverse maggioranze».
Il rimettente ha sollevato la questione in epoca antecedente (17 febbraio 2016) all’approvazione in sede parlamentare (avvenuta in data 12 aprile 2016) del disegno di legge di revisione costituzionale finalizzato, tra l’altro, alla trasformazione del Senato della Repubblica e al superamento dell’assetto bicamerale paritario. Alla data dell’ordinanza di rimessione, la nuova legge elettorale per la Camera dei deputati era già entrata in vigore. Il legislatore, ipotizzando una rapida conclusione del procedimento di revisione costituzionale, e al fine di evitare la compresenza di due sistemi elettorali diversi, aveva disposto che tale legge fosse applicabile a decorrere dal 1° luglio 2016.
Il giudice a quo, con prospettazione peraltro molto sintetica, censura proprio la scelta legislativa di differire l’efficacia delle nuove disposizioni al 1° luglio 2016, anziché all’effettiva conclusione del procedimento di revisione costituzionale. Tale scelta è ritenuta lesiva dei parametri costituzionali ricordati, poiché consentirebbe, da quella data, che i due rami del Parlamento siano rinnovati con due sistemi elettorali differenti, sul presupposto che questa difformità possa produrre maggioranze parlamentari non coincidenti.
15.1.– La questione è inammissibile.
Il rimettente si limita a sottoporre a generica ed assertiva critica la diversità tra i due sistemi elettorali, senza indicare quali caratteri differenziati di tali due sistemi determinerebbero «una situazione di palese ingovernabilità, per la coesistenza di due diverse maggioranze».
La mera affermazione di disomogeneità è insufficiente a consentire l’accesso della censura sollevata allo scrutinio di merito e alla identificazione di un petitum accoglibile.
In secondo luogo, i parametri costituzionali la cui lesione è lamentata (ossia gli artt. 1, 3, 48, primo comma, 49, 51, primo comma, e 56, primo comma, Cost.) sono evocati solo numericamente, senza una distinta motivazione delle ragioni per le quali ciascuno sarebbe violato. Vale anche in tal caso il richiamo alla giurisprudenza costituzionale (citata supra, punto 14) che sottolinea come non sia sufficiente l’indicazione delle norme da raffrontare, per valutare la compatibilità dell’una rispetto al contenuto precettivo dell’altra, ma sia necessario motivare il giudizio negativo in tal senso e illustrare i passaggi interpretativi operati al fine di enucleare i rispettivi contenuti di normazione.
Peraltro, non è nemmeno lamentata dal rimettente la lesione delle due disposizioni costituzionali che dovrebbero necessariamente venire in considerazione (cioè gli artt. 94, primo comma, e 70 Cost.) laddove si intenda sostenere che due leggi elettorali «diverse» compromettano, sia il funzionamento della forma di governo parlamentare delineata dalla Costituzione repubblicana, nella quale il Governo deve avere la fiducia delle due Camere, sia l’esercizio della funzione legislativa, attribuita collettivamente a tali due Camere".
3.3. Commento "essenziale": anche in questo caso, data l'evidente irragionevolezza del meccanismo denunciato dal giudice remittente, alla Corte non mancavano gli strumenti di qualificazione del petitum e della "prospettazione" della questione ad essa rimessa, e, adeguandosi a un comune sentire espresso peraltro anche dal Presidente della Repubblica, ben avrebbe potuto scendere nel merito (superando questioni di "momento" della remissione tutto sommato secondarie, sotto il profilo della "rilevanza") e reinterpretare la clausola di differimento dell'entrata in vigore dell'Italicum in senso sostanziale e "ragionevole" (art.3 Cost.), facendone quello che, in fondo, è sempre stata sul piano logico-applicativo: una clausola risolutiva dell'efficacia dell'intera disciplina dell'Italicum in coincidenza con l'evento, certus quando e incertus an, della mancata approvazione al referendum della riforma costituzionale, a cui tale legge elettorale era stata espressamente e univocamente legata dal legislatore.
Questa rilettura, sostanzialmente ragionevole e non certo sgradita alla posizione sostanziale che si deve necessariamente attribuire agli auspici del Presidente della Repubblica, intesi alla luce della mancata approvazione referendaria, nota alla Corte al momento della deliberazione della sentenza, avrebbe impedito in modo assorbente dubbi e conflitti intorno all'adozione della legge elettorale "omogeneizzante", se non altro perché il "Consultellum" (Porcellum emendato dalla Corte), sarebbe risultato l'unica legge elettorale immediatamente applicabile, adottando gli stessi accorgimenti suggeriti dalla stessa Corte nella sentenza n.1/2014.
3.4. Ma probabilmente, su questi punti, ha prevalso la preoccupazione che le forze dell'opposizione spingessero per un immediato ricorso alle urne, anticipando la fine della legislatura.
Ma questa è una preoccupazione extra-constitutionem e, più che altro, oggettivamente eccessiva e addirittura infondata, considerato sia l'interesse prevalente dei parlamentari a rimanere in carica più a lungo possibile (con maturazione del vitalizio inclusa), sia la forza coesiva (e condivisa dalle forze della maggioranza ma anche della prevalente opposizione), - a supporto del governo-, del volere mostrare all'€uropa la capacità italiana di adeguarsi alle direttive fiscali dell'eurozona (preoccupazione che, ad es; non può certo dirsi non condivisa dalle formazioni di Pisapia o Bersani): si tratta della manovrina correttiva imposta dalla Commissione nella primavera del 2017, e, naturalmente, della legge di stabilità per il 2018, che nessuno voleva, e vuole, intestarsi se non come ossequio rituale, TINA al " ce lo chiede l'€uropa".
3.3. Commento "essenziale": anche in questo caso, data l'evidente irragionevolezza del meccanismo denunciato dal giudice remittente, alla Corte non mancavano gli strumenti di qualificazione del petitum e della "prospettazione" della questione ad essa rimessa, e, adeguandosi a un comune sentire espresso peraltro anche dal Presidente della Repubblica, ben avrebbe potuto scendere nel merito (superando questioni di "momento" della remissione tutto sommato secondarie, sotto il profilo della "rilevanza") e reinterpretare la clausola di differimento dell'entrata in vigore dell'Italicum in senso sostanziale e "ragionevole" (art.3 Cost.), facendone quello che, in fondo, è sempre stata sul piano logico-applicativo: una clausola risolutiva dell'efficacia dell'intera disciplina dell'Italicum in coincidenza con l'evento, certus quando e incertus an, della mancata approvazione al referendum della riforma costituzionale, a cui tale legge elettorale era stata espressamente e univocamente legata dal legislatore.
Questa rilettura, sostanzialmente ragionevole e non certo sgradita alla posizione sostanziale che si deve necessariamente attribuire agli auspici del Presidente della Repubblica, intesi alla luce della mancata approvazione referendaria, nota alla Corte al momento della deliberazione della sentenza, avrebbe impedito in modo assorbente dubbi e conflitti intorno all'adozione della legge elettorale "omogeneizzante", se non altro perché il "Consultellum" (Porcellum emendato dalla Corte), sarebbe risultato l'unica legge elettorale immediatamente applicabile, adottando gli stessi accorgimenti suggeriti dalla stessa Corte nella sentenza n.1/2014.
3.4. Ma probabilmente, su questi punti, ha prevalso la preoccupazione che le forze dell'opposizione spingessero per un immediato ricorso alle urne, anticipando la fine della legislatura.
Ma questa è una preoccupazione extra-constitutionem e, più che altro, oggettivamente eccessiva e addirittura infondata, considerato sia l'interesse prevalente dei parlamentari a rimanere in carica più a lungo possibile (con maturazione del vitalizio inclusa), sia la forza coesiva (e condivisa dalle forze della maggioranza ma anche della prevalente opposizione), - a supporto del governo-, del volere mostrare all'€uropa la capacità italiana di adeguarsi alle direttive fiscali dell'eurozona (preoccupazione che, ad es; non può certo dirsi non condivisa dalle formazioni di Pisapia o Bersani): si tratta della manovrina correttiva imposta dalla Commissione nella primavera del 2017, e, naturalmente, della legge di stabilità per il 2018, che nessuno voleva, e vuole, intestarsi se non come ossequio rituale, TINA al " ce lo chiede l'€uropa".
4. Tutto questo, dunque, ci porta al passaggio finale della sentenza della Corte, che mostra, tuttavia, come l'adozione di una legge "omogenea" non fosse stata comunque ritenuta dalla Corte un'esigenza assoluta, - tantomeno se contenuta in un mero "auspicio", il cui contenuto è appunto quello più sfumato delle (mere) "maggioranze parlamentari omogenee":
"15.2.– Fermo restando quanto appena affermato, questa Corte non può esimersi dal sottolineare che l’esito del referendum ex art. 138 Cost. del 4 dicembre 2016 ha confermato un assetto costituzionale basato sulla parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive.
"15.2.– Fermo restando quanto appena affermato, questa Corte non può esimersi dal sottolineare che l’esito del referendum ex art. 138 Cost. del 4 dicembre 2016 ha confermato un assetto costituzionale basato sulla parità di posizione e funzioni delle due Camere elettive.
In tale contesto, la Costituzione, se non impone al legislatore di introdurre, per i due rami del Parlamento, sistemi elettorali identici, tuttavia esige che, al fine di non compromettere il corretto funzionamento della forma di governo parlamentare, i sistemi adottati, pur se differenti, non ostacolino, all’esito delle elezioni, la formazione di maggioranze parlamentari omogenee".
5. Speriamo quindi che il chiarimento appena svolto, sulla base dell'esame della sentenza della Corte, sia sufficiente a far capire meglio le reali premesse politiche della legge elettorale (Rosatellum 2?) attualmente in approvazione: la questione è più lunga da leggere (essendolo, lunga, la sentenza della Corte) di quanto non risulti concettualmente complicata.
Sullo sfondo, come risulta evidentissimo, rimane sempre una questione non esplicitata ma centrale.
Le istituzioni di garanzia e di vertice politico, in pratica il sistema istituzionale complessivo, rimangono sempre ancorate a una prioritaria, se non unica preoccupazione: ribadire gli obblighi derivanti dall'appartenenza della Repubblica all'Unione economica e monetaria europea, per usare un'espressione costantemente richiamata dalle stesse sentenze della Corte (per giustificare altre sentenze "creative").
Dunque, lo scenario politico italiano risulterebbe incomprensibile se non si menziona, o almeno non si comprende, questa priorità assoluta (nuova Grund-Norm di aperta de-costituzionalizzazione ordinamentale).
6. Ed è lo stesso vizio da ellissi, cioè da omissione nel discorso di un concetto fondamentale"che si è obbligati a sottintendere", che caratterizza, e depotenzia, questa analisi dell'Annunziata sull'Huffington Post di cui riporto i passaggi fondamentali. Appaiono descrittivi di una profonda crisi del Parlamento, ma omettendo (qui l'elissi) che questo effetto è già insito nei dichiarati scopi originari, poi rafforzati e portati alle estreme conseguenze, dell'appartenenza all'Unione economica e monetaria europea:
"Legislatura anomala, votata sotto i colpi di una totale rivolta contro il sistema (...?), tra vaffa lanciati come pietre e rottamazioni imbracciate come clava; continuata nel segno dell'evaporazione delle frontiere (fra idee e partiti) e dell'assottigliarsi delle regole; insomma la XVII legislatura della Repubblica italiana che ha avuto inizio venerdì 15 marzo 2013 è di fatto finita oggi, coerentemente con il suo inizio: con un'ennesima lacerazione.
La legge elettorale è stata approvata alla Camera con ricorso alla fiducia, superando il passaggio più difficile. Il voto è avvenuto alla vigilia del decennale del Pd, festeggiato senza (fra gli altri) Romano Prodi, che è stato presidente del Comitato nazionale per il Partito democratico, e poi presidente dell'Assemblea costituente nazionale del partito.
Divina dissonanza, o meravigliosa coincidenza: in fondo la battaglia intorno e dentro il Pd è stata la storia che ha percorso tutta la legislatura, e il suo cambio di pelle è stato davvero il segnale di un cambiamento dei tempi.
L'approvazione di una legge elettorale in queste circostanze prepara una campagna elettorale avvelenata. Ci sono pochi dubbi infatti che, qualunque sia il giudizio che si vuol dare di questa mossa – e il mio è negativo – il ricorso alla fiducia per l'approvazione delle leggi elettorali è un evento eccezionale, avvenuto solo quattro volte nella storia repubblicana. Due di queste quattro sono avvenute in questa legislatura: un altro indicatore, se ce n'era bisogno, che questa è stata una legislatura fra le più instabili.
...
È in questa identità malata del Parlamento, nell'estrema crisi di questa istituzione, che va cercata oggi l'origine e la ragione del passo finale di queste ore.
Intanto, dal 2013, abbiamo contato tre premier non eletti: Letta, Renzi , Gentiloni – più Bersani che ha vinto il voto ma non ha avuto incarico.
...
Non sorprende che per governare una tale confusa identità collettiva, la fiducia sia stata usata in maniera muscolare: 98 volte dai 3 governi.
Invocata per ben il 51% delle leggi dal governo Gentiloni: incluso il voto per il Rosatellum, vi ha fatto ricorso 22 volte. Il precedente esecutivo Renzi ha usato 66 voti di fiducia, cioè per il 26% delle leggi approvate. Letta ha usato la fiducia 10 volte, per il 27% delle leggi passate.
Tutti questi numeri portano a una conclusione ovvia: la fiducia sulla legge elettorale che chiude la porta su questa legislatura è una scelta che è quasi un'abitudine. Frutto degli sconquassi, e delle forzature, degli assalti e della delegittimazione del Parlamento. È una scelta che svela la fragilità che ha percorso l'intero assetto di questo ultimo quinquennio politico – una storia di questo periodo molto diversa dalle retoriche ufficiali.
Ma non solo di questo si tratta. La fretta di approvare la legge nasce da una fragilità ma ha uno scopo chiaro: aggirare questa incertezza per affermare un meccanismo di autodifesa degli assetti di sistema".
Ecco: tutto sta nell'intendersi anzitutto sulle, ormai dimenticate (più precisamente: "passate in cavalleria"), vere ragioni della delegittimazione costituzional-legalitaria di questa Legislatura. Ma, poi, anche prendendosi atto del fatto ormai compiuto (durata intera della stessa Legislatura), tutto sta nell'intendersi sulle vere cause della "identità malata del Parlamento", "malattia" che, se si aderisce a l'€uropeismo "salvifico" (?), deve, per coerenza, essere ritenuta un successo, e, di conseguenza, anche intendersi su quale "sistema" si sia attivato "il meccanismo di autodifesa".
Non certo quello della legalità costituzionale e, come non possiamo più permetterci di NON capire, della sovranità democratica del lavoro. Proprio del "lavoro": art.1, 4, e 35 ss della Costituzione.
5. Speriamo quindi che il chiarimento appena svolto, sulla base dell'esame della sentenza della Corte, sia sufficiente a far capire meglio le reali premesse politiche della legge elettorale (Rosatellum 2?) attualmente in approvazione: la questione è più lunga da leggere (essendolo, lunga, la sentenza della Corte) di quanto non risulti concettualmente complicata.
Sullo sfondo, come risulta evidentissimo, rimane sempre una questione non esplicitata ma centrale.
Le istituzioni di garanzia e di vertice politico, in pratica il sistema istituzionale complessivo, rimangono sempre ancorate a una prioritaria, se non unica preoccupazione: ribadire gli obblighi derivanti dall'appartenenza della Repubblica all'Unione economica e monetaria europea, per usare un'espressione costantemente richiamata dalle stesse sentenze della Corte (per giustificare altre sentenze "creative").
Dunque, lo scenario politico italiano risulterebbe incomprensibile se non si menziona, o almeno non si comprende, questa priorità assoluta (nuova Grund-Norm di aperta de-costituzionalizzazione ordinamentale).
6. Ed è lo stesso vizio da ellissi, cioè da omissione nel discorso di un concetto fondamentale"che si è obbligati a sottintendere", che caratterizza, e depotenzia, questa analisi dell'Annunziata sull'Huffington Post di cui riporto i passaggi fondamentali. Appaiono descrittivi di una profonda crisi del Parlamento, ma omettendo (qui l'elissi) che questo effetto è già insito nei dichiarati scopi originari, poi rafforzati e portati alle estreme conseguenze, dell'appartenenza all'Unione economica e monetaria europea:
"Legislatura anomala, votata sotto i colpi di una totale rivolta contro il sistema (...?), tra vaffa lanciati come pietre e rottamazioni imbracciate come clava; continuata nel segno dell'evaporazione delle frontiere (fra idee e partiti) e dell'assottigliarsi delle regole; insomma la XVII legislatura della Repubblica italiana che ha avuto inizio venerdì 15 marzo 2013 è di fatto finita oggi, coerentemente con il suo inizio: con un'ennesima lacerazione.
La legge elettorale è stata approvata alla Camera con ricorso alla fiducia, superando il passaggio più difficile. Il voto è avvenuto alla vigilia del decennale del Pd, festeggiato senza (fra gli altri) Romano Prodi, che è stato presidente del Comitato nazionale per il Partito democratico, e poi presidente dell'Assemblea costituente nazionale del partito.
Divina dissonanza, o meravigliosa coincidenza: in fondo la battaglia intorno e dentro il Pd è stata la storia che ha percorso tutta la legislatura, e il suo cambio di pelle è stato davvero il segnale di un cambiamento dei tempi.
L'approvazione di una legge elettorale in queste circostanze prepara una campagna elettorale avvelenata. Ci sono pochi dubbi infatti che, qualunque sia il giudizio che si vuol dare di questa mossa – e il mio è negativo – il ricorso alla fiducia per l'approvazione delle leggi elettorali è un evento eccezionale, avvenuto solo quattro volte nella storia repubblicana. Due di queste quattro sono avvenute in questa legislatura: un altro indicatore, se ce n'era bisogno, che questa è stata una legislatura fra le più instabili.
...
È in questa identità malata del Parlamento, nell'estrema crisi di questa istituzione, che va cercata oggi l'origine e la ragione del passo finale di queste ore.
Intanto, dal 2013, abbiamo contato tre premier non eletti: Letta, Renzi , Gentiloni – più Bersani che ha vinto il voto ma non ha avuto incarico.
...
Non sorprende che per governare una tale confusa identità collettiva, la fiducia sia stata usata in maniera muscolare: 98 volte dai 3 governi.
Invocata per ben il 51% delle leggi dal governo Gentiloni: incluso il voto per il Rosatellum, vi ha fatto ricorso 22 volte. Il precedente esecutivo Renzi ha usato 66 voti di fiducia, cioè per il 26% delle leggi approvate. Letta ha usato la fiducia 10 volte, per il 27% delle leggi passate.
Tutti questi numeri portano a una conclusione ovvia: la fiducia sulla legge elettorale che chiude la porta su questa legislatura è una scelta che è quasi un'abitudine. Frutto degli sconquassi, e delle forzature, degli assalti e della delegittimazione del Parlamento. È una scelta che svela la fragilità che ha percorso l'intero assetto di questo ultimo quinquennio politico – una storia di questo periodo molto diversa dalle retoriche ufficiali.
Ma non solo di questo si tratta. La fretta di approvare la legge nasce da una fragilità ma ha uno scopo chiaro: aggirare questa incertezza per affermare un meccanismo di autodifesa degli assetti di sistema".
Ecco: tutto sta nell'intendersi anzitutto sulle, ormai dimenticate (più precisamente: "passate in cavalleria"), vere ragioni della delegittimazione costituzional-legalitaria di questa Legislatura. Ma, poi, anche prendendosi atto del fatto ormai compiuto (durata intera della stessa Legislatura), tutto sta nell'intendersi sulle vere cause della "identità malata del Parlamento", "malattia" che, se si aderisce a l'€uropeismo "salvifico" (?), deve, per coerenza, essere ritenuta un successo, e, di conseguenza, anche intendersi su quale "sistema" si sia attivato "il meccanismo di autodifesa".
Non certo quello della legalità costituzionale e, come non possiamo più permetterci di NON capire, della sovranità democratica del lavoro. Proprio del "lavoro": art.1, 4, e 35 ss della Costituzione.