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INTERNAZIONALISMO, COSCIENZA NAZIONALE E TUTELA DEL LAVORO

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http://slideplayer.it/slide/551849/1/images/6/I+patrioti+:+italiani+prima+dell%E2%80%99Italia.jpg
(Alberto sintetizza meglio di me che mi dilungo su un ampio fronte di implicazioni).

1. Muoviamo da una ben precisa premessa, perché, se la si dimentica, non ha pregiudizialmente senso parlare delle forme istituzionali; o, ancor peggio, discutere di tali forme, prescindendo dalla premessa che stiamo per svolgere, finisce inevitabilmente per essere una mera conseguenza di modelli adottati in adesione ai rapporti di forza. Ecco dunque la premessa: il punto è CHI GUIDA, sfruttando la propria forza economica preponderante e il controllo culturale che discende dai suoi "centri di irradiazione", il linguaggio e la direzione del processo di trasformazione istituzionale, dettandone l'agenda; anche se, com'è tatticamente normale che accada, eserciti questa "guida" in modo non palese rispetto all'opinione di massa (ed alle varie forze politiche che di tale agenda si fanno promotrici).


2. In fondo, gli schemi "ideali(zzati)", nella contemporaneità dell'attuale ordine internazionale dei mercati, siano essi definiti  "filosofici" (qui, pp. 2.1.- 2.2.) ovvero "politologici", hanno tutti il tratto comune di sottintendere la gerarchia economica neo-liberista e, quindi, il mercato del lavoro (gerarchizzato), conveniente alla vulgata dei centri di irradiazione, rafforzando la presa del capitale "cosmopolita" sulle (in)coscienze delle masse, accuratamente indotte a rendere prioritaria la sola preoccupazione per il conflitto sezionale (in una pletora di "identità contrappositive" di cui, per ora, la Catalogna risulta la pietra dello scandalo, ma che presto prolifereranno; oh, se prolifereranno!). 

Basta leggersi questi commenti di Francesco Maimone, con la dovuta attenzione, per capire che la destrutturazione degli Stati nazionali è un obiettivo indispensabile per l'affermazione dell'ordine del mercato globale...e che di fronte a questa pletora di insitita idealizzazione (qui, p.9), batti e ribatti, finalmente, il momento è giunto. Nulla potrà fermarli...

3. Dello schema generale abbiamo già parlato:
“Bisogna infatti tener conto che coloro che realmente costituiscono la classe di governo (mondializzata e perciò stesso "globalista") , cioè, seguendo l'aforisma propiziatorio di Reichlin, "i mercati" (v. p.8), sono ideologicamente indifferenti alla forma delle istituzioniche, di volta in volta, debbano realizzare l'indirizzo politico da ESSI prestabilito (dai lontani albori dell'epoca successiva alla prima guerra mondiale). 
Anzitutto però, una precondizione deve essere chiara: una ghost institution di governo sovranazionale, - appoggiata dal capitale nazionale, "vassallo per definizione" (e lo constatava già Gramsci nel 1919-1920,qui p.10, subito prima che le "Conferenze" promosse dalla Fed fissassero il paradigma macroeconomico ancor oggi perseguito)-, trova la sua indispensabile affermazione ove posta in grado di realizzare il proprio indirizzo politico extra e contra Constitutionem, "rendendo irrilevanti" le forme, le finalità sostanziali, e le procedure costituzionali "effettive" di un ordinamento nazionale. In pratica, i trattati L€uropei rendono i "mercati" LA istituzione, cioè la Legge ad applicazione incontrastabile; le istituzioni formali di un preciso territorio sono per definizione relegate ad un ruolo, estremamente flessibile, di esecuzione secondaria (se e fino a quando siano ritenute necessarie a finalità sedative)".

3.1. L'aperta volontà di scardinamento delle Costituzioni sociali democratiche, che pongono la tutela del lavoro al di sopra di quella della proprietà(attenzione: tutelando certamente anche questa in quanto sia il "frutto" del lavoro e non della rendita e dell'accumulo "espropriativo" del valore del lavoro), coincide tout-courtquindi con la destrutturazione degli Stati nazionali, per aperta indicazione di "politologi" e "filosofi-economisti" . 

 4. Il problema è capirsi sul perché l'internazionalismo del  capitale e della globalizzazione, istituzionalizzata dai trattati liberoscambisti, come "primo motore" della dichiarata de-istituzionalizzazione degli Stati nazionali, sia radicalmente "altra cosa" rispetto all'internazionalismo dei lavoratori (e stavolta traduco dall'inglese). Partiamo dai fondamentali del pensiero liberal-internazionalista(dei mercati):
"Sulla "politica della porta aperta" propugnata da Einaudi, sintetizzo, in un passaggio significativo, quanto complessivamente riportato da Francesco Maimone:
"Le norme restrittive della emigrazione che vanno sorgendo nei paesi nuovi o vecchi SONO IL LIEVITO DELLE GRANDI GUERRE FUTURE, SONO LA NUOVISSIMA FORMA DI PROTEZIONISMO che si innesta sul vecchio protezionismo ad opera di quelle classi medesime che più gridano contro i dazi affamatori…. vi è un paese che dai dilettanti viene descritto come un paradiso terrestre, come il paese dove non si sciopera, dove la società socialista futura va a grado a grado attuandosi senza conflitti cruenti e senza inutili dibattiti dottrinali e che è altresì la terra promessa del nuovissimo protezionismo operaio. Quel paese, vasto come l’Europa, potrebbe albergare milioni di cinesi e di giapponesi, potrebbe offrire il campo, come lo dimostrano i rapporti dei nostri consoli e di inviati speciali del Governo nostro, alla colonizzazione proficua di molte centinaia di migliaia, per non dire anche di milioni, di italiani. Ma a tutto ciò si oppone l’esclusivismo gretto e feroce di un piccolo manipolo di genti, che in nome della democrazia ha messo l’ipoteca su un intero continente e vuol riserbarlo ai propri sperimenti di barbarie medioevale".
 
"Basti ricordare che (ringraziando come sempre Arturo) le circostanze che diedero origine alla I° Internazionale:
«Militanti principalmente inglesi e francesi erano affluiti a Londra, anzitutto per raccogliere la solidarietà con le varie lotte di liberazione nazionaliin corso, includenti quelle per l'indipendenza Polacca e per l'unificazione Italiana, nonché per supportare il Nord contro il Sud schiavista nella guerra civile americana. 
La seconda ragione per dar vita a una tale organizzazione  era perché, in una recente fase recessiva, erano stati fatti tentativi, da parte dei datori di lavoro, di mettere gli uni contro gli altri i lavoratori inglesi e francesi, attraverso l'uso di lavoro "immigrato" mirato a fiaccare gli scioperi. I sindacalisti di entrambi i lati della Manica volevano contrastare questa smaccata strategia di “divide et impera»

Quindi le prime ragioni per cui fu fondata la Prima Internazionale furono l’appoggio a lotte per l’indipendenza nazionale e la prevenzione dell’uso di lavoratori immigrati in funzione antioperaia.
Andiamo avanti: «Quando i lavoratori del settore dell'abbigliamento entrarono in sciopero a Edimburgo e a Londra, per esempio,le IWMA furono in grado di impedire ai rispettivi padroni di "importare" manodopera "rompi-sciopero" dall'Europa e dalla Germania.» (Fonte)
Ci fosse bisogno di conferme : «Le condizioni quotidiane di lotta (specialmente in tali paesi comparativamente avanzati come Gran Bretagna e Francia), suggerivano ai lavoratori l'esigenza di formare un sindacato internazionaledi forze proletarie per un buon numero di obiettivi. Tra questi si possono menzionare: la condivisione di esperienze e conoscenze; gli sforzi congiunti a supporto delle riforme sociali e per il miglioramento delle condizioni della classe lavoratrice; la prevenzione dell'import di lavoratori stranieri per aggirare gli scioperi; etc. In tal modo la lotta nel settore industriale diede slancio alla formazione dell'Internazionale dei lavoratori.» (Fonte).

6. Che piaccia o meno rispetto alla propria personale ideologia, la via verso la democrazia è stata tracciata - in primis - dai socialisti. E va riscoperta tutta l'opera ripulendola dall'orwelliana falsa coscienza dei "liberali di sinistra e di destra"."
"Tornando, non casualmente, alle vicende americane, vale la pena citare dal rapporto del Comitato sull’immigrazione, interno al marxista e combattivo American Socialist Party, pubblicato nel 1908 (qui la fonte da cui citerò: pagg. 75-77).
Il Comitato raccomanda di vietare l’immigrazione, in particolare “da specifiche e definite nazioni.Queste "eccezioni"si riferivaon all'immigrazione di massa dalla Cina, dal Giappone, dalla Corea, e dall'India negli Stati Uniti
Noi reclamiamo l'incondizionata esclusione di tali  razze, non quali razze di per sé, — non come persone con caratteristiche fisiologiche definite- ma per l'evidente ragione che queste persone occupano una definita porzione della Terra nella quale risulta così indietro lo sviluppo moderno dell'industria, psicologicamente così come economicamente, che esse (persone) costituiscono un arretramento,un ostacolo e una minaccia ai progressi della parte più coraggiosa, militante ed intelligente della popolazione della classe lavoratrice.
Gli elementi più grandi e potenti della nostra classe dominante, i grandi capitalisti, i reali e effettivi avversari della classe militante dei lavoratori, sono i veri beneficiari dell'immigrazione da tali paesi, ed essi (grandi capitalisti), - ben consapevoli del fatto che questi immigranti sono abituati a uno standard di vita ben più basso, e non si assimilano facilmente con gli altri elementi della popolazione-, usano ogni mezzo, legale e illegale, per incoraggiare l'immigrazione di tali popolazioni, funzionali al mantenimento di standards di vita più bassi, e costituenti un fattore formidabile al fine di perpetuare la divisione tra i lavoratori, subordinando le questioni di classe all'antagonismo razziale, e in tal modo prolungando il sistema di sfruttamento capitalistico.
[Sostituite all'antagonismo razziale quello, ad effetti distraenti del tutto analoghi, "etnico", interno ad uno stesso popolo insediato entro confini politici sufficientemente vasti per dar luogo a una certa differenziazione culturale "localistica", e avrete un'equivalente, ed evidente, applicazione dello stesso principio del "divide et impera"].

6.1. Naturalmente (prosegue il contributo di Arturo) erano esclusi i rifugiati politici, di cui si riteneva doverosa l’accoglienza.
Ovvero, in generale: “L’unione dei “proletari di tutto il mondo” nel conflitto di classe interno a ciascuna nazione è inconcepibile, a meno di ipotizzare che i rapporti di forza tra capitale e lavoro siano sufficientemente omogenei nei diversi contesti geopolitici. Prima vengono i rapporti di forza all’interno delle singole nazioni e i loro esiti: se questi sono abissalmente diversi, allora nelle nazioni più sviluppate un conflitto interno alla classe lavoratrice, indigena e immigrata, è inevitabile, con conseguente indebolimento generale del suo potere contrattuale.” (Barba e Pivetti, La scomparsa della sinistra in Europa, Imprimatur, Reggio Emilia, 2016, s.p.).
7. Sono perfettamente consapevole che queste analisi e queste fonti storiche, in molte occasioni, sono state ripetute e sviluppate nelle loro diverse "proiezioni" sulla situazione attuale della nostra Patria, ma ho ritenuto che fosse utile (ancora una volta) richiamarle in un discorso riassuntivo che le collegasse con immediatezza. E ciò affinchè fosse correttamente interpretabile una delle più importanti ragioni che legittimano la nostra Costituzione,resa evidente da questo (ormai) celebre brano di Lelio Basso, che indica al contempo PERCHE'e COME il lavoro, inteso nella sua più ampia accezione costituzionale (sempre fornitaci da Basso, in modo attualizzato alla struttura attuale del mercato "ad oligopolio concentrato" qui, p.2) possa difendersi dagli effetti reali e tangibili del disegno €uropeista:
"l’internazionalismo del proletariato si fonda sull'unità e sulla solidarietà di popoli in cui tutti i cittadini, attraverso l'abolizione dello sfruttamento di una società classista, conquistano LA PROPRIA COSCIENZA NAZIONALE… il nostro internazionalismo non ha nulla di comune con questo COSMOPOLITISMO di cui si sente tanto parlare e con il quale si giustificano e si invocano queste unioni europee e queste continue rinunzie alla sovranità nazionale. L’internazionalismo proletario NON RINNEGA IL SENTIMENTO NAZIONALE, non rinnega la Storia, ma vuol creare le condizioni che permettano alle nazioni diverse di vivere pacificamente insieme. 
Il cosmopolitismo di oggi che le borghesie nostrane e dell'Europa affettano è tutt'altra cosa: è rinnegamento dei valori nazionali per fare meglio accettare la dominazione straniera… Noi sappiamo che in questa lotta il proletariato combatte insieme per due finalità e che in questa lotta esso ACQUISTA CONTEMPORANEAMENTE LA COSCIENZA DI CLASSE E LA COSCIENZA NAZIONALE, ponendo le basi per un vero internazionalismo, per una federazione di popoli liberi che non potrà essere che socialista! (Vivissimi applausi e congratulazioni)” [L. BASSO, discorso del 13 luglio 1949, in Il dibattito sul Consiglio d’Europa alla Camera dei deputati, ora in Mondo operaio, 10 settembre 1949, 3-4-]."

8. Invitiamo altresì a rileggere le parole di Basso, di qualche mese anteriori, riportate quali  "Intervento sul disegno di legge “Ratifica ed esecuzione dello Statuto del Consiglio d’Europa firmato a Londra il 5 maggio 1949, Camera dei deputati, 25 maggio 1949" (qui, p.3). Ne riporto uno stralcio:
Il Consiglio europeo, cioè, è la maschera PROGRESSISTA, IDEALISTA che deve coprire due realtà brutali: LA MANOMISSIONE ECONOMICA CHE L’IMPERIALISMO, IL GRANDE CAPITALE AMERICANO, ESERCITA SULL’EUROPA E LA POLITICA DEL BLOCCO OCCIDENTALE IN FUNZIONE ANTISOVIETICA.
Tradurre questa politica nel linguaggio del federalismo, esprimere cioè questa realtà di sopraffazione e di soperchieria in termini ideali, è un mezzo che serve a fare accettare questa politica a molta gente in buona fede, per poi servirsi di tutta questa gente in buona fede come specchio per le allodole onde trascinare certi strati della popolazione dalla stessa parte...".
 


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