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IL VOTO NELLA DEMOCRAZIA LIBERALE: TRA CORRUZIONE SISTEMICA E COMPETIZIONE CONSERVATIVA

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I grafici soprastanti risulteranno ben chiari, ci auguriamo, alla fine della lettura del post.

1. Cerchiamo di capire in modo sistematico, cioè attraverso un ragionamento che consenta di interpretare  il momento attuale dentro un quadro istituzionale di cui si comprendano la continuità e i presupposti che lo rendono inalterabile nella sostanza -  la questione del "male minore".
Mi perdoneranno quelli che credono di non aver (più, o...mai avuto) bisogno di approfondimento teorico: la questione del male minore è (metaforicamente)...di navigazione. Se si traccia una rotta non disponendo di una carta nautica esatta nei suoi rilievi, e comunque non preventivamente compresa nei suoi parametri, la mia successiva rotta effettiva mi porterà inevitabilmente ad una destinazione diversa da quella prefissata. E mi obbligherà a correzioni empiriche che, se pure possibili (potrei aver naufragato o accumulato un ritardo che vanifica le ragioni stesse del viaggio intrapreso), comportano l'estrema difficoltà di un risultato utile e, ancor più, di riuscire a escludere, per il futuro, il ripetersi dell'errore (problema di enorme importanza, se si sarà riusciti a sopravvivere).

2. L'inutilità della scelta del male minore, quindi, può essere compresa solo definendo esattamente il campo entro cui ci si muove: il male minore è esattamente l'accettazione di un campo d'azione/espressione (la carta nautica) comunque definito in modo da portarci fuori rotta, cioè da escludere in partenza che si possa, nella manifestazione attiva della propria partecipazione politica, tutelare e veder rappresentati i propri interessi (materiali e culturali). Per quanto, cioè, ci venga in apparenza prospettata, e anzi PROPRIO PER QUESTO prospettata, un'alternativa di scelta meno appetibile e più manifestamente contraria ai propri interessi.
E dunque: il problema del voto si inscrive un questa schematizzazione sistematica, per cui esso dovrebbe stabilire l'indirizzo politico dello Stato, cioè la volontà a cui il plesso governo-parlamento dovrebbe corrispondere nella sua azione, ma non può essere disgiunto dalla comprensione della forma di Stato in cui si svolge il processo elettorale.

3. Semplificando, si può dire che se ci si muove all'interno di una democrazia pluriclasse, cioè di una democrazia sociale che tende a instaurare, al di là dei rapporti di forza socio-economici preesistenti (cioè della c.d. "costituzione materiale", ciò che pure costituisce un enorme problema, come abbiamo visto qui) un sistema di partecipazione al potere politico nonché di redistribuzione del potere economico (presupposto della prima), inclusivo di tutti i cittadini (onde la sovranità viene attribuita al popolo nel suo insieme e gli "appartiene"), questioni di centralità e prerogative del parlamento (rispetto a quelle dell'Esecutivo), ovvero di governabilità, sono definibili entro la questione delle "forme di governo".
Come ci spiega Mortati, (Istituzioni, vol I, pagg 134 e ss.), queste sono suscettibili di alcune varianti relative al modo in cui lo Stato-apparato entra in rapporto con la sua base sociale che, per necessità, si articola in nuclei associativi indispensabili e connaturati (Mortati fa l'esempio di partiti e regioni) al fine esercitare diversi gradi di autonomia politica, preparatoria o complementare a quella dello Stato-apparato (in senso tradizionale, per quanto questa definizione vada, in questa sede, delimitata alla formazione dello Stato unitario italiano, per molti versi debitore del centralismo franco-napoleonico).

4. Ma se ci troviamo nella forma di Stato della "democrazia liberale", lo Stato-apparato tende a coincidere con la forma di governo, nel senso che è esclusa strutturalmente la rilevanza dello Stato-comunità (sociale, nel suo insieme), poiché, in questa forma di Stato è preselezionata la "base sociale" che abbia potere effettivamente decidente, essendo questa forma di Stato "a composizione classista" e che pertanto "concentrava solo nei gruppi appartenenti al ceto dominante il potere di indirizzo politico, mentre la massa delle popolazioni era esclusa dalla partecipazione, o ammessa solo con un ruolo non preminente" e dunque "la forma di governo si risolveva per intero nell'ordinamento dello stato-apparato". 

4.1. La contrapposizione tra individui e Stato che quindi caratterizza l'ipotesi conflittuale "liberale"è dunque propria solo della forma di Stato che i liberali si propongono, dato che l'esigenza prioritaria è quella di affermare la prevalenza di una "opinione pubblica" extra, o meglio, sovrastituzionale che affermi l'invariabilità dell'indirizzo politico, dapprima in contrapposizione con la tirannia dei re e dei feudatari, poi sulla scorta del timore che qualsiasi strumento di rappresentanza, - in primis i parlamenti elettivi (come apertamente teorizzato da Spencer in derivazione del costituzionalismo USA; qui, p.2)-, conduca alla "costruzione" di norme che neghino il "diritto naturale" (o, più tardi, le leggi scientifiche che regolano l'economia di mercato) che precede la costituzione dello stesso apparato statale.
4.2. Tali norme sono appunto paventate come intrusive sullo svolgersi del libero gioco delle forze del mercato, - coincidenti con quelle dei titolari della (già "allocata" ed "efficiente") proprietà di terra-oro-, che non tollera interferenze sull'equilibrio superiore raggiungibile attraverso la sua "mano invisibile".
In concreto, una volta introdotto il suffragio universale, esso viene automaticamente bollato come l'incombente pericolo della nuova tirannia della maggioranza sulla minoranza, escludendosi ogni legittimità di tale "prevaricazione", definita come perseguimento di "interessi sezionali" (come dice esplicitamente il Manifesto di Ventotene, p.10), in violazione degli interessi generali "naturali" e come tali inviolabili,  della classe proprietaria dei mezzi di produzione

5. Il postulato necessario, più o meno esplicito - in Einaudi, ad esempio, e non solo, qui, p.3, è particolarmente esplicito -, di questa concezione è l'inammissibilità, e quindi la radicale delegittimazione, di qualsiasi legge parlamentare che non sia soggetta ai limiti prevalenti dell'interesse della classe proprietaria; intesa, naturalmente, come assetto (magicamente, o teologicamente, primigenio) della relativa titolarità precedente a quello che lo Stato, qualsiasi Stato, volesse modificare in senso redistributivo.
Da qui, del tutto ovvia, è l'esigenza assoluta e inderogabile, segnalata da Gramsci (pp.1-2) di bilanciare la (eventuale) concessione del suffragio universale con il dispiegamento degli enormi mezzi che controllano il "processo di numerazione" dei voti, attraverso il finanziamento costante dei "centri di irradiazione" e del sistema mediatico, al fine di relegare la massa delle popolazioni, come ci dice Mortati, ad un ruolo non preminente nella determinazione dell'indirizzo politico.

6. Questo quadro si chiarisce (non più che dalla lettura dei post sinora linkati), in una prospettiva storica che sintetizzi l'evoluzione apparente del ruolo della istituzione parlamentare così come del processo elettorale, secondo una risposta (che ho opportunamente esteso) il cui spunto lo ha fornito un commento di Arturo, breve ma contenente due links di grande importanza. 
Come vedrete, muovendo dal come si controlla il suffragio universale si finisce inevitabilmente a trattare del problema della corruzionee della parte di essa che sia considerata meritevole o, piuttosto, intollerabile. Si tratta essenzialmente di una questione di predeteminazione di investimenti e di insofferenza verso costi che ne abbassino il rendimento preventivato: 

6.1. Arturo: Sono d'accordissimo, ma l'equivoco, se vogliamo chiamarlo così, mi pare semplicemente il frutto di una separazione fra storia filosofico-politica e storia giuridica.
Se si evita l'apologetica della prima e ci si concentra sulla seconda, la "normale" apribilità dello stato di eccezione (ricordo la citazione di Bin che avevo riportato qui e quella di Zagrebelsky qui, punto 1.4) e la prevalenza dell'esecutivo sui parlamenti (vedi la citazione di Bagehot riportata da Nania qui) risultano fatti acquisiti.  
7. Quarantotto: Ci sarebbe da chiedersi perché i parlamenti siano stati, comunque, nel corso del tempo, anche esaltati dal capitalismo anglosassone, che è poi il modello di riferimento del sempre autorazzista spirito imitativo delle elites italiane.

Volendo farla breve, la ragione principale di tale concorrente "vena" della facciata etica del capitalismo liberoscambista, e implicitamente mercantilista-imperialista (come evidenziò Joan Robinson), è la CORRUTTIBILITA', - cioè la considerazione del modus agendi di chi è investito di funzioni pubbliche deliberanti alla stregua di un servizio acquistabile su un normale "mercato". 

Questa corruttibilità si fonda su unasostanziale dipendenza strutturale delle forze politiche dal finanziamento occulto e palese della loro organizzazione e dei loro uomini di punta, erogato da veri e propri sistemi, stabilmente attivi, che determinano e promuovono rapissime ascese politiche (p.6). E, com'è empiricamente prevedibile, questa dipendenza strutturale viene variamente convertita in controllo diffuso delle compagini parlamentari, preorientativo delle deliberazioni assembleari (fenomeno che, oggi più che mai, vediamo essere divenuto una mitologia pop trasposta in serials USA come House of cards o "The Boss", di cui consiglio la visione a chi se lo fosse perso).

7.2. In sostanza, la prevalenza dell'Esecutivo porta a un certo qual consolidamento di rapporti di forza che si incentrano sui più eminenti operatori economici "tradizionali" e, in qualche modo, legati all'accumulo di terra-oro nel territorio nazionale. 

Quindi, nella dialettica interna allo Stato liberale, dominato dal mercato (cioè esattamente la situazione in cui ci troviamo a seguito dell'adesione ai trattati €uropei), la prevalenza dell'Esecutivo sul legislativo è indice tendenziale di una conservazione dello status quo in favore di coloro che hanno imposto la Grundorm dell'ordinamento (cioè hanno in definitiva stabilito la norma sulla normazione: che prescrive chi debba legiferare e con quali fonti).
Ora se la Grundnorm diventa una fonte estranea alla Costituzione, e coincide con un trattato liberoscambista internazionale, può aversi un progressivo conflitto tra nuovi proprietari esteri dei mezzi di produzione e vecchi proprietari che, pure hanno promosso quella stessa Grundnorm per propria convenienza politica. 
L'esecutivo riflette così una tendenza naturalmente più conservativa, favorevole alle precedenti oligarchie, data la lentezza di adeguamento dei quadri dell'apparato da esso dipendente insita nell'abitudine sia alla frequentazione che al favor di tali forze; mentre, il parlamento mostra una maggior fluidità di orientamento, lasciando aperta la porta ad un rinnovamento di "uomini" (o anche a uomini rinnovati nelle loro convinzioni), più sensibili alle forze innovative che raccolgono le risorse per sostituire le tendenze mediatiche e gli influencers più  adatti al gioco concorrenziale sulle "istituzioni".
Ma, ripetiamo, si rimane sempre all'interno di una classe di soggetti dominanti non alterata nella sua legittimazione e nella sua vocazione monoclasse alla gestione dello Stato.

7.3. Si tratta, ovviamente, pur in questa chiave di alternanza, anzitutto di banchieri, della cui "morale" prevalente Bazaar ha evidenziato l'essenzialità relativamente alla pretesa incondizionata di imporre le regole naturali pregiuridiche, nonché delle grandi industrie di "prima generazione" (tutti, banche e grandi industrie, possono passare di mano, preferibilmente, in questa congiuntura italiana, in mani straniere); questo complesso consolidato, in quanto tale, tende a condizionare l'opinione pubblica e quindi la legislazione "a valle" di essa.

In altri termini, gli operatori economico-finanziari, resa rispettabile la propria condizione, tendono irresistibilmente ad assumere funzione e ruolo delle vecchie aristocrazie (che hanno espulso dal potere) ed "occupano" le strutture istituzionali, cioè lo stesso Cabinet e le "filiere" pubbliche dell'esercito e della diplomazia (e della magistratura). Non lo fanno direttamente, se non altro per una questione di numeri (un'oligarchia è composta da un numero crescentemente ristretto di soggetti) e anche di remunerazione (le filiere decidenti subordinate a quella executive del settore privato sono molto meno retribuite anche se, all'occorrenza, un regime speciale può essere previsto per una partecipazione diretta al settore pubblico, compensata dal meccanismo delle "porte girevoli", prima e, specialmente, dopo la carica dirigenziale pubblica).

7.4. Se la burocrazia diviene così esponenziale dello Stato borghese-liberale, incarnato dalla tendenziale prevalenza dell'Esecutivo, lo diviene in un modo particolare: cioè, inevitabilmente autoconservativo di certi rapporti di forza "interni" alla classe capitalistico-mercantile.
Allora, in questa situazione, le forze nuove che operano sull'evoluzione dei traffici commerciali e delle filiere industriali, in chiave (neo)colonialista e (neo)mercantilista, entrano in concorrenza con l'establishment del capitalismo (pro-tempore) divenuto rispettabile (ma non meno attento a conservare la prevalenza nel conflitto sociale interno).

7.5. Per indurre politiche che siano anche protettive e promozionali dei nuovi settori emergenti, che spesso, in poco tempo, divengono i più lucrativi, questi ultimi tendono a comprare l'indirizzo legislativo tramite il parlamento, di cui si assicurano un crescente numero di esponenti eletti e foraggiati, nelle loro prese di posizione, dai nuovi flussi finanziari (questo fenomeno è stato ampiamente studiato nell'esperienza politico-elettorale USA, ma non si può più realisticamente affermare che i suoi meccanismi non siano penetrati negli ordinamenti europei). 
Attenzione: sia chiaro che questa forma di "compra" dell'indirizzo legislativo agisce in forme storicamente sofisticate, che dipendono dalle leggi elettorali, dalla (non) presenza di eventuali forme di finanziamento pubblico ai partiti, e dalla convenienza "ottimizzatrice" di concentrare il potere su pochi leaders in grado di controllare, a propria volta, mediante la prospettiva fidelizzante della ri-elezione,i più numerosi peones, che sono così indotti a legare il proprio futuro allo zelo con cui appoggiano la linea dei leaders di volta in volta individuati come "chiavi di volta" del sistema politico.

7.6. Sul punto, rammento; http://orizzonte48.blogspot.it/2016/04/la-mano-invisibile-che-affida-la.html (relativo alla guerra dell'oppio; esempio paradigmatico che può essere esteso a molte altre successive ed analoghe vicende, anche negli Stati Uniti).
Questa, in fondo, è la logica dei checks and balances: essa presuppone cioè la possibilità di avvicendamento interno tra settori o fazioni del potere economico, storicamente mutevoli (per l'evoluzione tecnologica e dell'assetto geo-politico) e in dialettica rispetto agli assetti autoconservativi interni alla classe oligarchica (nella sua precedente identità consolidata).

Dunque, sulla base di alcuni principi organizzativi quali l'idraulicità delle elezioni, garantita dal controllo dei media, e i meccanismi delle leggi elettorali (invariabilmente tesi anche a selezionare l'elettorato passivo, laddove l'astensione è una diretta convenienza del sistema di controllo oligarchico che si intende instaurare), i parlamenti sono considerati accettabili (purché) come espressione della "Mano Invisibile" proiettata nel campo del controllo concorrenziale delle istituzioni: ma sempre in una competizione ascrivibile all'interno di una sola classe sociale...

7.7. Al di fuori di queste rigide condizioni, e spesso proprio per la inefficienza in termini di benessere collettivo di questi meccanismi delimitati, i parlamenti "entrano in crisi": cioè finiscono per dover rappresentare diversi gradi di malcontento sociale.
A questo punto, anzi, ogni cedimento alla protesta popolare, - spesso autoconservativo di quel consenso senza il quale verrebbe meno lo stesso ruolo di garante dello status quo da parte della classe politica elettiva, che è quindi costretta, dallo spirito utilitaristico di autoconservazione, a rallentare l'azione per la quale è stato effettuato l'investimento da parte dell'oligarchia - viene tacciato di corruzione legalizzata, come ci dice Hayek (qui, p.8).
Ed è allora che la solidarietà della classe finanziario-industriale viene ritrovata e si muove l'attacco sistematico ai parlamenti.

7.8. Inutile dire che la causa di ciò sono diversi gradi di compromesso: cioè allorquando si accetta il suffragio (più o meno) universale e/o accedono alla burocrazia esponenti di altri ceti sociali, o "peggio", si organizza il potere sindacale.
Il parlamentarismo va bene, dunque, purchè non si realizzi neppure un minimo di Stato pluriclasse e l'idraulicità sopporti soltanto stress soggetti all'agire di forze, in evoluzione, tutte interne all'oligarchia. La complessità del sistema odierno consiste tutta nelle diverse azioni, ed accelerazioni, impresse dall'oligarchia in funzione della sua trasformazione, segnata dalle lotte interne e dalla internazionalizzazione, o più spesso, dalla titolarità estera, dei suoi interessi portanti.

7.9. Oggi, dai veloci (e spesso violenti) arricchimenti coloniali, siamo passati all'affermarsi delle "nuove tecnologie" come dinamiche caratterizzanti questa dialettica, considerata accettabile e che, solo entro questi limiti, fa ancora conservare i parlamenti e i processi elettorali.
In pratica: solidali quando si tratta di scongiurare la "dittatura della maggioranza"; in concorrenza, anche feroce, quando di tratta di sostituire una "dittatura della minoranza" ad un'altra.
Il rapporto normale del capitalismo con le pubbliche istituzioni politiche, dunque, è la corruzione, che rappresenta l'applicazione del metodo concorrenziale - entro il limite di un'efficacia direttamente proporzionale alla maggior crescita oligopolistica ed organizzata degli interessi economico-finanziari - al processo di formazione dell'indirizzo politico (si tratta, a ben vedere, di un corollario della formazione dei prezzi in regime oligopolistico). 

7.10. Intendiamo con ciò l'esistenza di un continuo flusso di finanziamento,diretto o indiretto (il sostegno mediatico e la cooptazione di influencers addestrati  alla comunicazione politica ne sono il maggior esempio visibile), che selezioni e sostenga la designazione elettorale di una classe politica che sia fedelmente rappresentativa degli interessi privati delle forze capitalistiche dominanti (e in un'economia fortemente aperta queste sono sempre meno "nazionali"), fino al punto che l'indirizzo politico sia riflesso principalmente in decisioni che distribuiscono l'utilità economica dell'azione statale esclusivamente verso i controllori del processo, veri e propri investitori sul settore mediatico e sulla preselezione della classe politica a vario titolo "finanziata".

7.11. Oggi, più tecnocraticamente (and out of political correctness), la designano capture e anche, lobbying, ma il principio è sempre lo stesso.

La rilevanza penale dell'erogazione di un corrispettivo o altro beneficio per sè o per altri, peraltro, è di difficilissimo accertamento, specialmente per la separazione tra momento decisionale e devoluzione del "compenso", nelle molte forme che ciò ormai può assumere, nonché per la estrema difficoltà di accertare l'elemento soggettivo del dolo, allorché un intero ambiente culturale, e soprattutto mediatico, auspichi come tecnicamente opportuna e anzi urgente l'adozione di una certa misura normativa.
La corruzione-brutta - quella delle classifiche promosse dai più grandi corruttori (su scala industriale)- è solo quando intermediari non appartenenti alle elites si inseriscono nel meccanismo ed alzano il costo della competizione politica "interna", rendendo "inammissibilmente" più incerto e oneroso un esito favorevole (cioè ottimo-allocativo paretiano).
 

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