
(L'immagine, ancora una volta, non poteva che essere questa...).
Seconda parte dello studio di Arturo che ricostruisce come, attraverso le "tecniche" giurisprudenziali della Corte di giustizia europea, si sia affermata una concezione costituente pretesamente "calata dal cielo" e dichiarata come nuova ed efficiente razionalità, ma in cui si dissolve la dialettica, tipica delle Costituzioni contemporanee, tra "diritto" e "politica" (laddove il primo limita stabilmente la seconda considerando l'effettiva partecipazione popolare alle istituzioni democratiche rappresentative l'essenza dello "Stato di diritto costituzionale").
Si afferma invece la forte scelta liberale di un "ordre naturel" impersonale, che ricalca le modalità costituzionali ottocentesche (con una tecnica normativa redazionale e poi giurisprudenziale espresse per implicito, e non apertamente enunciate), in cui la politica preserva, entro la propria riaffermata supremazia, un'ideologia non sorretta dalla condivisione popolare di un processo costituente democratico (mai avvenuto).
In tal modo, la politica libera da fini e vincoli democraticamente predeterminati, si riserva, per via giudiziale, l'affermazione continua di rapporti di forza fondamentali, mai condivisi dal corpo sociale sul quale vengono imposti.
Per un miglior raccordo con la parte prima, rammentiamo che questa terminava con un interrogativo: e quest'ultimo era relativo alla linea negoziale tedesca di porre, al centro dell'iniziale serie di trattati europei, la forza trainante di una corte di giustizia che garantisse la conformità ai trattati stessi delle decisioni dell'esecutivo sovranazionale, secondo un metodo che, tuttavia, avrebbe poi avuto un potente sviluppo nelle applicazioni successive.
E tale sviluppo, come appare ormai evidente a tutti i (sempre più insofferenti) "sudditi" dell'Ue, è consistito nello sforzo di"garantire", mediante un'inarrestabile estensione, non tanto la legittimità dell'azione dell'esecutivo sovranazionale (divenuta via via un aspetto del tutto trascurabile), ma l'assoggettamento ai trattati delle fonti costituzionali nazionali; e quindi l'assoggettamento delle democrazie all'ordine del mercato racchiuso nei trattati europei. L'interrogativo era così formulato:
"Ma in cosa consisterebbe con precisione questa presunta scintilla?"
E tale sviluppo, come appare ormai evidente a tutti i (sempre più insofferenti) "sudditi" dell'Ue, è consistito nello sforzo di"garantire", mediante un'inarrestabile estensione, non tanto la legittimità dell'azione dell'esecutivo sovranazionale (divenuta via via un aspetto del tutto trascurabile), ma l'assoggettamento ai trattati delle fonti costituzionali nazionali; e quindi l'assoggettamento delle democrazie all'ordine del mercato racchiuso nei trattati europei. L'interrogativo era così formulato:
"Ma in cosa consisterebbe con precisione questa presunta scintilla?"
3. Nel ricorso diretto da parte delle imprese e associazioni delle medesime: il riferimento è all’art. 33, § 2 del Trattato della CECA:
“Le imprese o le associazioni, previste dall'articolo 48, possono presentare, nelle medesime circostanze, un ricorso contro le decisioni e le raccomandazioni singole che le riguardano o contro le decisioni e le raccomandazioni generali che esse ritengono inficiate da sviamento di potere nei loro confronti.”
Ovviamente il possibile oggetto del ricorso sono solo le decisioni e le raccomandazioni dell’Alta Autorità, nessuno aveva nemmeno affacciato la possibilità che sotto la lente dei giudici europei potessero finire disposizioni statali.
3.1. Eppure già su queste gracili basi, i giuristi della delegazione tedesca, gli assistenti di Hallstein, nel '51, subito dopo la firma del Trattato di Parigi, pubblicavano su varie riviste giuridiche articoli in cui spiegavano che “una “struttura giuridica europea di natura costituzionale” era nata, in contrasto con la dottrina maggioritaria tedesca”. (A. Vauchez, "Brokering Europe: Euro-Lawyers and the Making of a Transnational Polity", Cambridge University Press, Cambridge, 2015, pag. 27).
Lo stesso avveniva in Francia, dove Maurice Lagrange, uno dei redattori francesi del Trattato, chiedeva retoricamente se “non è chiaro che, come la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio, è l’embrione di un’organizzazione federale, la Corte di Giustizia appare come l’embrione di una Corte Federale? Non può essere detto apertamente che, come il Trattato possiede un vero carattere costituzionale (e certamente ce l’ha), la Corte di Giustizia ha anch’essa un ruolo costituzionale?” (Cohen, Constitutionalism Without Constitution: Transational Elites Between Political Mobilization and Legal Expertise in the Making of a Constitution for Europe (1940s-1960s), Law & Social Inquiry, Vol. 32, Issue 1, Winter 2007, pag. 127).
Endorsement anche dagli Stati Uniti, nella persona di Eric Stein, secondo cui “si potrebbe dire che la Corte ha considerato il trattato come se fosse una costituzione, anziché un semplice trattato”. (Ivi, pag. 126).
3.2. Nell’ambito di questa organizzata offensiva culturale si distingue già chiaramente quella che diventerà una delle più importanti tecniche argomentative ">“ad sfiniendum”impiegate dalla Corte di Giustizia: attribuire un presunto carattere rivoluzionario a disposizioni già fornite di precedenti nel diritto internazionale, così da poter ricavare implicitamente una natura “costituzionale” sui generis, non internazionalistica, del diritto comunitario.
Nelle mani della Corte questa tecnica le consente di conseguire due obiettivi:
a) ritagliarsi un’estrema, per definizione indefinibile a priori (“sui generis”), latitudine interpretativa, emancipandosi dalle regole di interpretazione dei trattati internazionali, oggi codificate nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati;
b) la possibilità di chiedere, anzi: ordinare sotto minaccia di una procedura di infrazione, ai giudici statali di ignorare le norme costituzionali del proprio paese relative ai rapporti col diritto internazionale. Ci dovremo tornare.
a) ritagliarsi un’estrema, per definizione indefinibile a priori (“sui generis”), latitudine interpretativa, emancipandosi dalle regole di interpretazione dei trattati internazionali, oggi codificate nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati;
b) la possibilità di chiedere, anzi: ordinare sotto minaccia di una procedura di infrazione, ai giudici statali di ignorare le norme costituzionali del proprio paese relative ai rapporti col diritto internazionale. Ci dovremo tornare.
In questo, come negli altri casi, la “novità” è del tutto apparente: sono addirittura gli stessi negoziatori del Trattato di Parigi a riconoscere l’esistenza di un precedente: “Nel diritto di azione per i privati davanti ai tribunali arbitrali misti del Trattato di Versailles, che trovava applicazione anche in Belgio, vi era un precedente per la posizione tedesca”. (La citazione è tratta da una relazione del comitato di esperti legali incaricati della redazione del trattato di Parigi, seduta del 7 agosto 1950, riportato in Reiner Schulze e Thomas Hoeren (a cura di), Dokumente zum Europäischen Recht. Band 2: Justiz (bis 1957), Springer, Berlin, Heidelberg, New York, 2000, pag. 46).
Curiosamente, o forse no, proprio sul trattato di Versailles, Hallstein aveva scritto la tesi di dottorato, come apprendiamo dalla nota 25 a pag. 344 del lavoro della Boerg-Smedt.
4. Per provare a tirare provvisoriamente le somme, direi che l’antipatica verità di fondo l’ha ben individuata Cohen (op. cit., pag. 127):
“la finzione legale (“come se”) di un costituzionalismo senza costituzione dev’essere intesa come un sostituto per una costituzione politica fallita, nel più vasto contesto di relazioni fra giuristi americani ed europei: Eric Stein, per esempio, non era estraneo all’establishment del ministero degli esteri. E’ quindi questa finzione legale che logicamente ha consentito lo scivolamento dall’attività costituente alla costituzionalizzazione.” Questo ovviamente non è che un esempio di quei “network tecnocratici transnazionali” che abbiamo visto costantemente all’opera nella creazione del diritto comunitario.
“la finzione legale (“come se”) di un costituzionalismo senza costituzione dev’essere intesa come un sostituto per una costituzione politica fallita, nel più vasto contesto di relazioni fra giuristi americani ed europei: Eric Stein, per esempio, non era estraneo all’establishment del ministero degli esteri. E’ quindi questa finzione legale che logicamente ha consentito lo scivolamento dall’attività costituente alla costituzionalizzazione.” Questo ovviamente non è che un esempio di quei “network tecnocratici transnazionali” che abbiamo visto costantemente all’opera nella creazione del diritto comunitario.
Ossia, vari tentativi di creare un organo europeo fornito di una qualche parvenza di democraticità, così da ricondurvi l’esercizio di un potere costituente, falliscono.
4.1. Un buon esempio è l’art. 38 del trattato istitutivo della Comunità europea di difesa, che prevedeva l’elezione democratica di un’assemblea incaricata di redigere un nuovo trattato che coordinasse Comunità di difesa e CECA.
L’assemblea ad hocincaricò un comitato di esperti, che sfornò una proposta di “trattato” le cui ambizioni costituzionali erano evidenti fin dall’incipit: “WE, the Peoples of the Federal Republic of Germany, the Kingdom of Belgium, the French Republic, the Italian Republic, the Grand Duchy of Luxembourg and the Kingdom of the Netherlands,…”.
L’assemblea ad hocincaricò un comitato di esperti, che sfornò una proposta di “trattato” le cui ambizioni costituzionali erano evidenti fin dall’incipit: “WE, the Peoples of the Federal Republic of Germany, the Kingdom of Belgium, the French Republic, the Italian Republic, the Grand Duchy of Luxembourg and the Kingdom of the Netherlands,…”.
Il tutto naufragò insieme alla Comunità di difesa: cercate di non essere troppo tristi…
Il processo di integrazione stesso subisce un’impasse: dagli abortiti piano Fouchet del 1961-62 e proposte Hallstein del marzo ’65, fino al c.d. ">“compromesso di Lussemburgo”
.
4.2. E allora, come dice con fine cautela Vauchez ("The transnational politics of judicialization. Van Gend en Loos and the making of EU polity", European Law Journal, Vol. 16, No. 1, January 2010, pag. 9), “Il fallimento di queste visioni politiche e giuridiche per l’Europa non spiegano la ridefinizione giurisprudenziale dell’Europa stessa. Sono tuttavia certamente una pre-condizione critica per tali sviluppi.”
In altre parole una lettura politica dei Trattati da parte della Corte di Giustizia si impone come unica via per “costituzionalizzare” il diritto comunitario.
5. Osserverei in conclusione che si tratta di una scelta sofferta solo in quanto politicamente rischiosa (ma vedremo l’estrema accortezza nella scelta di tempi e modi), perché in realtà la cultura liberale è sempre stata allergica all’idea di potere costituente: ho già menzionato Hayekla scorsa volta (n. 6.4), ma un esame storico non fa che confermare questa lettura.
5.1. L’ha compiuta uno storico del diritto del calibro di Maurizio Fioravanti, a cui possiamo affidarci con tranquillità:
“Ma ciò che più conta è che per il nostro Statuto, come in genere per le Carte costituzionali del diciannovesimo secolo, la monarchia ed il parlamento erano realtà storico-costituzionali da presupporre, che la costituzione doveva solo riconoscere e variamente comporre nella sintesi statale. Alle costituzioni del secolo passato mancava, in una parola, ogni pretesa instaurativa. Erano costituzioni strutturalmente prive di potere costituente.” (La scienza del diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 2001, pag. 876)
“Ma ciò che più conta è che per il nostro Statuto, come in genere per le Carte costituzionali del diciannovesimo secolo, la monarchia ed il parlamento erano realtà storico-costituzionali da presupporre, che la costituzione doveva solo riconoscere e variamente comporre nella sintesi statale. Alle costituzioni del secolo passato mancava, in una parola, ogni pretesa instaurativa. Erano costituzioni strutturalmente prive di potere costituente.” (La scienza del diritto pubblico, Giuffrè, Milano, 2001, pag. 876)
Ovvero: “Questa contrapposizione del ‘diritto’ alla ‘politica’, della ‘costituzione’ come stabile ordinamento dei poteri pubblici e delle pretese soggettive alla ‘costituzione’ come frutto consapevole di scelte politiche di carattere costituente, è alla base della formula dello ‘Stato di diritto’ che avrà così larga fortuna in Europa nel corso dell’Ottocento, e dunque anche in Italia.” (M. Fioravanti, Stato e costituzione, Giappichelli, Torino, 1993, pag. 226).
Quindi se si vuol dire che l’Unione Europea ha una costituzione, questa è di tipo ottocentesco.
5.2. All’ideologia organicista e antidemocratica che sosteneva, e sostiene, il costituzionalismo liberale, va quindi ancora replicato con le sagge parole di un grande giurista weimariano, Herman Heller(La sovranità e altri scritti sulla dottrina del diritto e dello Stato, Giuffrè, Milano, 1987, pag. 98):
“Esercitare autorità significa quindi comandare qualcosa di determinato, prendere decisioni vincolanti. Ma — e questo non è meno importante del resto — per quanto riguarda gli uomini, la decisione è una funzione della facoltà di giudizio personale. In questo fatto è racchiusa la ragione ultima per cui un ordre naturel impersonale non potrà mai assumere la funzione della decisione.
Quest’ordrepuò essere concepito come una legge relativa all’essere o al dover essere, ma deve comunque venire deciso da uomini, cioè da persone fra loro diverse socialmente ed individualmente e determinate nello spazio e nel tempo, sulla base di una scelta libera, anche se non arbitraria.
La conoscenza sempre maggiore dell’insieme delle leggi della realtà può certo influire in misura crescente sulle decisioni umane, ma non sarà mai in grado di sostituirle. Nel momento in cui è notte non è stata per questo risolta la questione se debba esserci luce o oscurità; l’uomo è infatti capace di avere ragione del buio naturale della notte grazie alla luce naturale dell’elettricità. L’alternativa espressa da ogni decisione può essere risolta soltanto dagli uomini.”
Quest’ordrepuò essere concepito come una legge relativa all’essere o al dover essere, ma deve comunque venire deciso da uomini, cioè da persone fra loro diverse socialmente ed individualmente e determinate nello spazio e nel tempo, sulla base di una scelta libera, anche se non arbitraria.
La conoscenza sempre maggiore dell’insieme delle leggi della realtà può certo influire in misura crescente sulle decisioni umane, ma non sarà mai in grado di sostituirle. Nel momento in cui è notte non è stata per questo risolta la questione se debba esserci luce o oscurità; l’uomo è infatti capace di avere ragione del buio naturale della notte grazie alla luce naturale dell’elettricità. L’alternativa espressa da ogni decisione può essere risolta soltanto dagli uomini.”
6. Quindi la “densità sociale” - come peraltro qualsiasi aspetto della realtà - condiziona ogni possibile decisione, che per essere consapevole e idonea a conseguire i fini voluti dovrà avvalersi ampiamente delle scienze sociali, strumenti indispensabili anche per la successiva interpretazione di quanto deciso.
Il momento soggettivo, ossia una molteplicità di decisioni, resta però ineludibile e potrà essere occasione di intervento, e quindi – speriamo – di armonizzazione, di certi interessi, oppure no, di realizzazione di certi diritti, oppure no, di fissazione di certi fini, oppure di altri, di rispetto di pregresse decisioni gerarchicamente sovraordinate, oppure della loro violazione.
In sostanza si esprimeranno libertà politica e democrazia costituzionale, oppure no.
6.1. Anche i pilastri “supercostituzionali” del diritto comunitario non sono tavole della legge cadute dal cielo o ragione kosmica“spontaneamente” realizzatasi (vedi qui, in particolare nn. 7 e 8), ma il frutto di decisioni umane, anche troppo, come avrebbe detto Nietzsche: i giudici stessi che ne sono stati gli artefici talvolta lo ammettono.
Uno dei più attivi, tutto fa pensare sia il padre di Van Gend en Loos, è stato un italiano, tanto per cambiare, e ve l’ho già menzionato: Alberto Trabucchi.
In occasione del congedo dall’incarico di Avvocato generale (dopo aver ricoperto quello di giudice…) si concede un momento di grande franchezza:
“Questo diritto comunitario, la cui nascita, il cui senso profondo, le cui realizzazioni vere per la vita europea sono legati a questa Corte. Ce lo siamo visto nascere e crescere come crescono i movimenti della storia; ma, questa volta, architetto e costruttori non sono stati i popoli, bensì gli uomini che in questa officina hanno manovrato gli strumenti giuridici.” (udienza solenne del 7 ottobre 1976, riportata in appendice a "La formazione del diritto europeo. Giornata di studio per Alberto Trabucchi, nel centenario della nascita", CEDAM-Kluwer Italia, Padova, 2008, pag. 227).
“Questo diritto comunitario, la cui nascita, il cui senso profondo, le cui realizzazioni vere per la vita europea sono legati a questa Corte. Ce lo siamo visto nascere e crescere come crescono i movimenti della storia; ma, questa volta, architetto e costruttori non sono stati i popoli, bensì gli uomini che in questa officina hanno manovrato gli strumenti giuridici.” (udienza solenne del 7 ottobre 1976, riportata in appendice a "La formazione del diritto europeo. Giornata di studio per Alberto Trabucchi, nel centenario della nascita", CEDAM-Kluwer Italia, Padova, 2008, pag. 227).
7. Di là da tutte le fumisterie pseudo-tecniche, le melasse e i terrorismi europeisti, resta la banale domanda di fondo: quale legittimità avevano questi signori per compiere certe “manovre”? Chi rappresentavano, quali fini realizzavano?
Ovvero, è ancora lecito nell’Europa di oggi chieder conto al potere del suo fondamento o le hayekiane “intuizioni” di quelli che però, più che a giudici, somigliano ormai a sacerdoti, sono indiscutibili?
Scopo di questi post è stato e sarà quello di portare alla luce la fortissima, anche se cautamente dosata e dissimulata, politicità di una costruzione che si regge solo sulla passività di chi la subisce.
P.S. di Quarantotto: sarà comunque utile rileggere (oltre alle puntate precedenti dello studio di Arturo, beninteso) questo post:
INTERNAZIONALISMO, COSCIENZA NAZIONALE E TUTELA DEL LAVORO
P.S.-bis di Quarantotto: non intendo anticipare le prossime puntate del lavoro di Arturo, ma sugli effetti, molto pratici, della Corte auto-costituente fuori da ogni rappresentatività della base sociale, questo recente articolo di Vocidall'estero può rendere molto bene l'idea dell'instaurazione "dall'alto" di un ordinamento liberal-liberoscambista:
La Corte Europea di Giustizia ha decretato (nel caso Laval, 18 dicembre 2007)che gli imprenditori hanno il diritto di importare lavoratori da paesi UE a basso salario verso paesi UE ad alto salario, pagandogli il salario del più economico dei due paesi, indipendentemente da qualsiasi accordo di contrattazione collettiva presente nel paese a salari maggiori. Ha decretato inoltre (nel caso Viking, 11 dicembre 2007) l’illegalità di qualsiasi politica industriale tesa a impedire l’esternalizzazione verso i paesi a basso costo.
Nel caso Alamo-Herron(18 luglio 2013), in cui alcuni membri del sindacato Unison erano stati trasferiti fuori dalle amministrazioni locali, ha decretato che indipendentemente da ciò che dicesse il loro contratto, i benefici contrattati collettivamente a favore dei lavoratori degli enti locali potevano essere ignorati dai loro nuovi datori di lavoro. “Questo caso è un attacco spaventoso alla contrattazione collettiva ed è almeno altrettanto grave dei casi Laval e Viking”, ha scritto John Hendy, il celebre avvocato del lavoro britannico.
Hendy ha poi aggiunto che “la UE è diventata un disastro per i diritti collettivi dei lavoratori e dei loro sindacati”.