1. I Talk-show ormai parlano stancamente di come i giochi inizieranno a farsi dopo le elezioni.
E questo anche per i partiti che hanno già fatto un programma ma che, non casualmente, devono poi fare scelte e mandare dei "messaggi", (preelettorali only, o di real-politik di apertura successiva?), che in quel programma non sono oggettivamente contemplati.
Ciò non significa che le cose andranno come pensano, perché siamo solo agli inizi della presa di coscienza popolare.
Intanto il lungo dopo elezioni sarà certamente una sorpresa. Per ESSI.
2. E perché sarà una sorpresa (ex parte principis)?
Perché si tratta non di una vittoria che possa realizzarsi uno actu con le prossime elezioni (salvo imprevisti ad oggi da ritenere clamorosi), quanto perché esiste una fenomenologia storico-evolutiva del modello di potere e di società propugnato da ESSI (liberoscambio imposto coi trattati "condizionali & desovranizzanti", lavoro-merce e "rimozione" della funzione democratica del potere di emissione monetaria "nell'esclusivo interesse della Nazione"); e questa fenomenologia indica un'inesorabile fase di tramonto. Nonostante la tecnica autoconservativa di provocare continui "stati di eccezione".
La situazione, perciò, - per quella ricorrente peculiarità storica che fa spesso delle dinamiche socio-politiche italiane la metafora anticipatrice di tendenze dell'intera civiltà occidentale (e, alla faccia degli autorazzisti, lo intuisce pure un raffinato stratega della politica globalizzata come Steve Bannon)-, fornisce agli italiani un'occasione storica di recuperare la propria dignità di popolo sovrano e di acquisire la coscienza che, sia pure dopo una "lunga marcia", si può "vincere", al di là di qualsiasi contingente esito della "tappa" elettorale.
"Per perdere si perde, se ci si pone nella prospettiva immediata della "scissione" gramsciana (che in realtà è "ricomposizione" dello Spirito umano), intendendola come remedium espresso da una supposta capacità di reazione (automatico-naturalistica? Costruttivista? Non cambia) del corpo sociale umano.
La contrapposizione della coscienza (di classe: in senso strutturale storico, e quindi continuamente da aggiornare con metodo scientifico) alla forza del capitalismo-elitismo è, ahimè, destinata a perdere (qui svisceriamo il pensiero iper-cosciente, fino alla previsione di dettaglio, di Basso e Caffè, ma le loro vicende personali sono di travolgimento da parte delle forze private di controllo sociale extralegalitario).Tuttavia, con crudo realismo, ritengo che ESSI siano destinati a perdere non perché possa verificarsi che una parte "resistenziale" giunga operativamente ad affermare la propria superiore forza metodologica, ma semplicemente perchè i calcoli di ESSI sono sballati.
Lo sono sempre stati nella Storia e adesso hanno amplificato il margine esiziale di errore: cioè la loro sconfitta deriverà dal backfire di una rendita di potere sfrenato basata - lo dico molto prosaicamente- sull'avidità anti-cooperativa o, come dici tu, sull'elitismo disfunzionale.
ESSI, cioè, danno per scontata una superiorità ontologica sugli "schiavi", mentre invece non sono in grado di accorgersi che non sanno governare la macchina che hanno costruito e vanno al disastro per via delle stesse forze disfunzionali e innaturali che hanno suscitato (non per la reazione degli oppressi).
Poi accade che, dopo ogni crash disastroso, per un breve periodo, l'umanità si riorganizzi e prevalga una luce dell'Umanesimo (più o meno feconda) mentre ESSI sono impresentabili (e si leccano le ferite senza mai averci capito un tubo)".
4. Un'evidenza salta agli occhi in modo tale da diffondersi verso le recondite coscienze dei comuni cittadini: un processo si è avviato, ed è simmetricamente opposto e consequenziale a quello della progressiva perdita di controllo del sistema orwellian-mediatico-finanziario.
Anche dopo queste elezioni, direi specialmente dopo, crescerà il numero di italiani che non vorrà scegliere, - e che arriverà a vedere con certezza di non potersi permettere di scegliere- , il "male minore".
Questo è, ridotto alla sua essenza, il processo di cui le elezioni segneranno un passaggio, importante e formalizzato, ma pur sempre un passaggio: in vista del successivo sviluppo della scissione-presa di distanza dal dover subire il governo dei mercati esterno alla Nazione.
5. Ci pare utile, peraltro, concludere con una precisazione (reiterata) sul male minore.
Di esso, (come spesso capita...), ci dà una illuminante definizione operativa il pensiero di Gramsci (grazie Luca Sant):
Ecco infine le parole di Gramsci precedentemente annunciate, nota 25 del Quaderno 16 (XXII), sulle quali invitiamo tutti a meditare, specialmente dopo le elezioni francesi che hanno visto Macron prevalere su Marine Le Pen, grazie alla pratica ormai non solo più italiana del “turatevi il naso e votate…” di montanelliana memoria:
Il male minore o il meno peggio (da appaiare con l’altra formula scriteriata del «tanto peggio tanto meglio»). Si potrebbe trattare in forma di apologo (ricordare il detto popolare che «peggio non è mai morto»). Il concetto di «male minore» o di «meno peggio» è uno dei più relativi. Un male è sempre minore di un altro susseguente possibile maggiore. Ogni male diventa minore in confronto di un altro che si prospetta maggiore e così all’infinito. La formula del male minore, del meno peggio, non è altro dunque che la forma che assume il processo di adattamento a un movimento storicamente regressivo, movimento di cui una forza audacemente efficiente guida lo svolgimento, mentre le forze antagonistiche (o meglio i capi di esse) sono decise a capitolare progressivamente, a piccole tappe e non di un solo colpo (ciò che avrebbe ben altro significato, per l’effetto psicologico condensato, e potrebbe far nascere una forza concorrente attiva a quella che passivamente si adatta alla «fatalità», o rafforzarla se già esiste).
http://www.pci-genova.it/il-male-minore-o-il-meno-peggio/
5.1. In anticipata sincronia con un successivo razionale commento di Alberto Monaco, è ancora una volta Bazaar che conferma la visione in termini di "processo" (definibile nel tempo) sia del "male minore" che del percorso in cui "dobbiamo credere" per giungere alla vittoria (ora, per alcuni, potrà risultare "astratto", ma, com'è spesso capitato, molti capiranno; e per questo è importante la presenza intrinsecamente pluralista di Alberto Bagnai):
"@Luca
Mi permetto di segnalarti quella che mi sembra una precomprensione di natura ideologica: il "male minore" non si risolve nel momento del votoche, come abbiamo più volte argomentato, in un sistema materiale di carattere liberale, totalitario, globale ed imperiale, rimane per lo più idraulico sanitario quando va bene, o un pretesto per abolire il suffragio universale stesso, quando va male: la Struttura (i rapporti di forza strutturali tecnico-economici, pre-politici) in Grecia ha pure sterilizzato il risultato di un referendum senza neanche la necessità di far del teatrino.
Superare l'identitarismo e l'appartenenza è fondamentale: ma questo atto non si limita allo stigmatizzare l'identitarismo altrui, significa entrarci in dialettica, in modo di ritrovare una sintesi in cui si contribuisce reciprocamente.
(Poi se uno è un cretino è un cretino: ci si trova di fronte alla solita questione morale: meglio non frequentare cattive compagnie)
Voglio dire: criticare l'ideologia altrui non significa partir dal presupposto di non aver alcuna ideologia "noi": diciamo che aver consapevolezza del problema ideologico e di appartenenza permette di essere molto critici con chi lo manifesta apertamente, nel momento in cui viene agito in modo evidente in patenti contraddizioni logiche o filologiche, nelle argomentazioni e nelle prese di posizione.
Credo che la questione ideologica si risolva genericamente in questi termini: "carissimi, su questi temi state dicendo delle scemenze per i motivi uno, due e tre". Dimostrata fattivamente l'illogicità delle argomentazioni, ci si chiede: c'è una "coerenza" in queste contraddizioni? Generalmente queste contraddizioni trovano una loro logica interna a livello falso-coscienziale, ovvero a livello ideologico ed identitaristico. E lo si rileva.
Gli antifascisti sono infarciti di antifascistismo, gli islamofobi sono infarciti di fallacianesimo, i cattolici sono infarciti di moralismo clericale, i "socialisti" sono infarciti di liberalismo sorosiano, ecc. E perché non si mettono in discussione?
Per debolezza psicologica o interesse materiale, di cui l'appartenenza ad un gruppo rispettivamente rassicura o è strumentale al raggiungimento di obiettivi materiali.
Neanche se ci fosse un partito che portasse avanti coscientemente i principi costituzionali risolverebbe il problema del "nostro bene": il totalitarismo liberale, con la sua angosciante anomia e violenza silenziosa, con la sua perfida spettacolarizzazione ed il sangue versato in nome dell'umanitarismo, obbliga ad una radicale risposta altrettanto totalizzante. Che inizia con la propria presenza alle urne, ma sicuramente non termina lì.
Ciò che ricordi, comunque, è sacrosanto: i nazi-sociopatici dei think tank liberali, come da antica tradizione usurara, hanno messo in una morsa economico-politica i popoli.
Non esiste un solo partito che, in un modo o nell'altro, non porti avanti un pezzo dell'agenda neoliberale. Sta a noi a portare coscienza: la cancrena liberale, come è già stato fatto più volte, si può e si deve curare."
Mi permetto di segnalarti quella che mi sembra una precomprensione di natura ideologica: il "male minore" non si risolve nel momento del votoche, come abbiamo più volte argomentato, in un sistema materiale di carattere liberale, totalitario, globale ed imperiale, rimane per lo più idraulico sanitario quando va bene, o un pretesto per abolire il suffragio universale stesso, quando va male: la Struttura (i rapporti di forza strutturali tecnico-economici, pre-politici) in Grecia ha pure sterilizzato il risultato di un referendum senza neanche la necessità di far del teatrino.
Superare l'identitarismo e l'appartenenza è fondamentale: ma questo atto non si limita allo stigmatizzare l'identitarismo altrui, significa entrarci in dialettica, in modo di ritrovare una sintesi in cui si contribuisce reciprocamente.
(Poi se uno è un cretino è un cretino: ci si trova di fronte alla solita questione morale: meglio non frequentare cattive compagnie)
Voglio dire: criticare l'ideologia altrui non significa partir dal presupposto di non aver alcuna ideologia "noi": diciamo che aver consapevolezza del problema ideologico e di appartenenza permette di essere molto critici con chi lo manifesta apertamente, nel momento in cui viene agito in modo evidente in patenti contraddizioni logiche o filologiche, nelle argomentazioni e nelle prese di posizione.
Credo che la questione ideologica si risolva genericamente in questi termini: "carissimi, su questi temi state dicendo delle scemenze per i motivi uno, due e tre". Dimostrata fattivamente l'illogicità delle argomentazioni, ci si chiede: c'è una "coerenza" in queste contraddizioni? Generalmente queste contraddizioni trovano una loro logica interna a livello falso-coscienziale, ovvero a livello ideologico ed identitaristico. E lo si rileva.
Gli antifascisti sono infarciti di antifascistismo, gli islamofobi sono infarciti di fallacianesimo, i cattolici sono infarciti di moralismo clericale, i "socialisti" sono infarciti di liberalismo sorosiano, ecc. E perché non si mettono in discussione?
Per debolezza psicologica o interesse materiale, di cui l'appartenenza ad un gruppo rispettivamente rassicura o è strumentale al raggiungimento di obiettivi materiali.
Neanche se ci fosse un partito che portasse avanti coscientemente i principi costituzionali risolverebbe il problema del "nostro bene": il totalitarismo liberale, con la sua angosciante anomia e violenza silenziosa, con la sua perfida spettacolarizzazione ed il sangue versato in nome dell'umanitarismo, obbliga ad una radicale risposta altrettanto totalizzante. Che inizia con la propria presenza alle urne, ma sicuramente non termina lì.
Ciò che ricordi, comunque, è sacrosanto: i nazi-sociopatici dei think tank liberali, come da antica tradizione usurara, hanno messo in una morsa economico-politica i popoli.
Non esiste un solo partito che, in un modo o nell'altro, non porti avanti un pezzo dell'agenda neoliberale. Sta a noi a portare coscienza: la cancrena liberale, come è già stato fatto più volte, si può e si deve curare."