
http://www.eroicafenice.com/libri/lamore-ai-tempi-del-colera-gabriel-garcia-marquez/
1. Partiamo da questo tweet che risulta certamente suggestivo.
Il Trattato di Maastricht fu firmato, il 7 febbraio 1992, a Camere appena sciolte e da un governo Andreotti incaricato solo del disbrigo degli affari correnti.
h/t Sergio Cesaratto
— Alessandro GRECO (@Pgreco_) 15 aprile 2018
La circostanza evidenziata è vera: ma, a rigore di ordine delle rispettive competenze politico-costituzionali, da una parte dell'Esecutivo - che gestisce i negoziati internazionali, sulla base di una mera presunzione, della corrispondenza del suo operato all'indirizzo politico nazionale, insita nella concessione della fiducia parlamentare-, e dall'altra, del Legislativo - che esprime l'effettiva volontà, democraticamente rappresentativa, di vincolarsi a qualsiasi trattato rilevante ai sensi degli artt.80 e, ancor più fondamentalmente, 11 della Costituzione - i nodi rilevanti sono altri.
1.1. Sotto il primo profilo (operato legittimo, ma sempre risolutivamente condizionato, dell'Esecutivo nella fase di negoziato), la risposta di Vladimiro è formalmente corretta (sebbene non espliciti appieno il punto qui precisato):
Ma negoziato prima, dal governo Andreotti nella pienezza delle sue funzioni (negoziò anche Carli)
— Vladimiro Giacché (@Comunardo) 15 aprile 2018
Cercheremo di evidenziare alcuni aspetti che ci paiono pregiudizialmente ben più rilevanti in tema di ratifica dei trattati relativi a organizzazioni internazionali di natura economica e, dichiaratamente, liberoscambisti (o meglio, come si esprime l'art.80 Cost., di legge di autorizzazione parlamentare a tale ratifica).
2. Come abbiamo visto più volte, il primo problema riguarda la stessa "idoneità" giuridico-costituzionale della legge di ratifica a introdurre nell'ordinamento le regole di un trattato che abbia contenuti quali quelli che contraddistinguono i trattati europei.
La questione era stata evidenziata per primo da Lelio Basso (già in relazione al trattato del 1957), che aveva compiuto la distinzione, - essenziale ai fini della legittimità della ratifica ai sensi dell'art.11 Cost.-, della introduzione di limitazioni (e giammai "cessioni") specificamente dirette alla "sovranità interna", e non a quella "esterna": le uniche legittime (a certe condizioni, peraltro), in quanto propriamente relativa alla sovranità esercitata nei rapporti tra Stati nel diritto internazionale.
3. Ma su un piano più formale, sebbene egualmente dirimente, la inidoneità della legge di ratifica ex se in relazione all'oggetto e ai contenuti dei trattati europei era stata ben illustrata dallo stesso Giuliano Amato (qui, ex multis, p.4):
"Fortunatamente, e paradossalmente, buona parte del problema ce lo ha già risolto...Amato (qui, p.6.1.):
"Cito in argomento un autore insospettabile di antieuropeismo come Giuliano Amato(Costituzione europea e parlamenti, Nomos, 2002, 1, pag. 15):
“Quando si ratificano i trattati internazionali, in genere si ratificano quelli che disciplinano le relazioni esterne. Quando si ratifica una modifica dei trattati comunitari non si ratifica una decisione che attiene alle relazioni esterne, ma una decisione che attiene al governo degli affari interni.
Il processo di ratifica così com'è è congegnato è allora del tutto inadatto ad assicurare ai parlamenti il ruolo che ad essi spetta rispetto agli affari interni.
Il procedimento di ratifica è tarato sull’essere ed il poter essere un potere intrinsecamente dei governi esercitato sotto il controllo dei parlamenti. Tant’è vero che la legge di ratifica è una legge di approvazione e non è una legge in senso formale.”
Ma il vero clou del paradosso, dicevo, consiste nel fatto che “la politica dei piccoli passi nel processo di integrazione comunitaria ha fatto sì che mai nessuno abbia detto espressamente che, con i Trattati che si andavano stipulando, si stava costruendo una nuova costituzione.” (Luciani, op. cit., pagg. 85-6).
4. Ma, ove non fossero sufficienti queste illustri voci, pur espressione di orientamenti costituzionali così diversi, a far comprendere il paradosso giuridico-ordinamentale del vincolo dei trattati, andiamo a esaminare le specifiche condizioni storiche in cui fu espressa la volontà legislativa parlamentare in occasione delle due più importanti ratifiche degli ultimi decenni.
Quanto passeremo in rassegna, ci dice come non sono tanto la perdurante legittimazione fiduciariadel governo-negoziatore (dunque "sottoscrittore"), e la situazione di "piena investitura" del governo proponente al momento della legge di ratifica a essere rilevanti in modo decisivo: in conseguenza dell'irriducibile anomalia costituzionale dei contenuti dei trattati, lo sono, prima di tutto, le circostanze relative alla capacità del parlamento, e dei suoi singoli appartenenti, di manifestare una volontà aderente al quadro costituzionale entro cui ci si muove, sia in termini di adeguata rappresentazione cognitiva, cioè giuridico-economica, dell'oggetto della deliberazione, sia in termini di libera formazione di tale volontà.
4.1. Questo aspetto risulta particolarmente attuale perché evidenzia un nodo irrisolto, che si conferma pienamente nella vicenda della larga approvazione del fiscal compact come norma costituzionale, si consolida (funestamente, per i risparmiatori italiani) con l'acritica adesione dell'Unione bancaria, si estende nelle vicende attuali di "pregiudiziale €uropeistica" nella formazione di un governo in esito alle ultime elezioni, e proietta la sua (gigantesca) ombra sulla stessa prospettiva di accettazione passiva delle future riforme dei trattati stessi.
In sostanza, si assiste, con ricorrente regolarità, a questo schema: il "vincolo esterno"crea una situazione di"stato di eccezione", un'emergenza continua tale da "dover" risultare, de facto, insindacabile entro i parametri fondamentali della Costituzione, e il parlamento nel suo insieme, vota in un clima in cui prevale, immancabilmente, un misto di timore(mediaticamente indotto) per incombenti disastri derivanti dalla mancata approvazione, e la distrazione del cittadino "medio", così come del parlamentare "medio", ad opera di presunte priorità determinate da accidentali vicende di politica interna (di cui si stenta a riconoscere la connessione, pur evidente "a monte", con la stessa questione del vincolo esterno).
5. Veniamo dunque alla ratifica del Trattato di Maastricht del 7 febbraio 1992, Trattato c.d. sull’Unione europea: esso fu ratificato con Legge 3 novembre 1992, n. 454 [Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 277 del 24 novembre 1992], e, peraltro, fu successivamente modificato dal Trattato di Amsterdam, fatto ad Amsterdam il 2 ottobre 1997, ratificato con Legge 16 giugno 1998, n. 909 [Pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 155 del 6 luglio 1998]. Successivamente fu modificato, o meglio variamente "novato" (cioè con sostanziali avanzamenti dell'onere del vincolo esterno) dal Trattato di Lisbona, fatto a Lisbona il 13 dicembre 2007, a sua volta ratificato con Legge 2 agosto 2008, n. 130, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 8 agosto 2008.
5.1. Al momento della votazione finale della legge di autorizzazione alla ratifica di Maastricht(29 ottobre 1992) era in carica (quindi nei suoi "pieni poteri), dal 28 giugno 1992, il governo Amato (I).
La votazione parlamentare, peraltro, si svolse in questo curioso clima politico e con queste significative modalità (oggettivamente coercitive e distrattive: ogni dettaglio di ieri può trovare una corrispondenza nell'oggi):
"Quinto tra i paesi europei ieri l' Italia ha ratificato il trattato di Maastricht sull' Unione europea.Il risultato finale del voto alla Camera (403 voti favorevoli, 46 contrari e 18 astenuti) è stato giudicato "incoraggiante" dal ministro degli esteri Emilio Colombo, anche se l' esito positivo era ampiamente scontato, dopo che anche la Lega si era pronunciata a favore dell' Europa. Ma molto meno incoraggiante è stato il modo di approvazione del trattato e il clima che si respirava a Montecitorio. Anche prima che la notizia bomba del ' caso De Lorenzo'facesse irruzione tra i deputati, ieri i parlamentari nei loro capannelli parlavano di tutt' altro. Chi della direzione del proprio partito, (quella Pds del giorno avanti, quella socialista che si tiene oggi, quella democristiana che avrebbe potuto essere e non è stata) chi delle nomine bancarie, chi della Rai da commissariare. La parola ' Maastricht' , era difficile da captare nell' aria, mentre è stato possibile cogliere al volo un "ma che si vota oggi?".E se ieri il voto ha richiamato in Parlamento un numero notevole di deputati, non si può nascondere che nei giorni scorsi, durante il dibattito di merito a qualche deputato è capitato di parlare all' aula deserta.E sì che, dopo la decisione di partecipare alla guerra nel Golfo, questa è la più importante scelta di politica estera presa dall' Italia negli ultimi anni e impegnerà il futuro del paese per almeno il prossimo decennio. Alla fine lo stesso Colombo, come il pidiessino Claudio Petruccioli, sono arrivati alla conclusione che sarebbe meglio riformare la procedura che regola i dibattiti parlamentari (...!).E ancora ieri, durante l' intervento di Colombo, il presidente della Camera Giorgio Napolitano hadovuto richiamare più volte gli onorevoli per permettere al ministro di proseguire: "Colleghi, vi prego, riducete il vostro brusio".Molti possono essere i motivi dell' indifferenza dei parlamentari.Il senso di una decisione già presa altrove, i dubbi sulla effettiva praticabilità dell' Unione monetaria dopo la tempesta monetaria del mese scorso, l' europeismo sempre proclamato dai politici italiani. Ieri il ministro Colombo nel suo intervento ha voluto comunque ripetere che "il trattato di Maastricht, con tutti i suoi limiti, rappresenta comunque un considerevole passo in avanti verso il nostro ideale d' Europa".E ha spiegato il rifiuto del governo alla proposta di Marco Pannella, sospendere cioè l' approvazione del trattato fino al vertice di Edimburgo del 10 dicembre, con la necessità di tener fede all' impegno preso dai 12 a New York dopo il referendum francese: "Approvare Maastricht nei tempi stabiliti e senza modifiche o rinegoziazioni di sorta".Il governo ha respinto anche tutti gli ordini del giorno che comportavano emendamenti o "riserve" sul trattato che va "approvato o respinto così com'è" come ha spiegato anche il presidente della Camera Giorgio Napolitano...".
6. Al momento della votazione del trattato di Lisbona era invece in carica il governo Berlusconi IV.
Qui c'è da notare che tale ratifica avvenne con un inusuale voto all'unanimità, sia al Senato che alla Camera!
Le due votazioni "plebiscitarie", dal punto di vista parlamentare, arrivarono nell'arco di soli 8 (otto) giorni - tra il 23 e il 31 luglio 2008 -, smentendo, come al solito, la curiosa idea che il bicameralismo perfetto sia di ostacolo alle decisioni "importanti", incidenti sulla sovranità democratico-costituzionale, e sulle riforme strutturali. Queste le principali reazioni dei grandi protagonisti dell'epoca:
“L’approvazione unanime della legge di ratifica del Trattato di Lisbona rappresenta un titolo d’onore per il Parlamento italiano e un fattore di rinnovato prestigio per il ruolo europeo del nostro paese”, ha detto il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in una nota.“Mi auguro che il voto italiano stimoli il completamento del processo di ratifica prima dell’avvio della consultazione elettorale per il Parlamento europeo”, ha aggiunto il capo dello Stato.Soddisfatto il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi che ha commentato: “E’ il contributo dell’Italia al rilancio dell’Europa che sta attraversando una fase di difficoltà. L’auspicio è che il voto di oggi possa servire anche agli altri Paesi che ancora devono completare l’iter parlamentare”.Il ministro degli Esteri Franco Frattini ha auspicato, parlando a margine di una conferenza stampa a Palazzo Chigi, che “il trattato entri in vigore prima delle elezioni europee del prossimo anno”.Per il ministro la ratifica del trattato è “un importante segnale di coesione nazionale” e, ha scritto in una nota, “rafforza il ruolo propulsivo e propositivo del paese per un’Europa dotata di istituzioni capaci di decidere e di attuare politiche necessarie ed urgenti all’altezza delle inquietudini e delle concrete aspettative dei cittadini”.
7. Va anche detto che la scena politica, a partire da giugno 2008, era tutta presa dal decreto "blocca processi" e dall'infuriare delle polemiche contro i "magistrati di sinistra", mediatiche e politiche, condite da un'insolita lettera del presidente del Consiglio al presidente del Senato, che si protrassero per tutta l'estate e anche dopo.
Si giunse, nel corso di luglio, al lodo Alfano che, mettendo da parte gli emendamenti "blocca processi", prevedeva l'immunità per le quattro più alte cariche dello Stato e la sospensione dei processi a loro carico durante la permanenza nella carica.
La relativa legge fu promulgata dall'allora Capo dello Stato, con grande profluvio di esegesi di precedenti sentenze della Corte costituzionale, proprio il 22 luglio 2008, cioè il giorno prima della votazione di ratifica del trattato di Lisbona: e si può immaginare con quanta attenzione non dico critica, ma almeno consapevole del contenuto, da parte di parlamentari, media e "accademico-culturale" ("cento costituzionalisti" avevano firmato un mega-appello contro il lodo Alfano, ma nessuna equivalente pubblica problematica fu posta per il trattato).