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ALIENAZIONE E FETICISMO - II PARTE

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ALIENAZIONE E FETICISMO - II PARTE
Post di Bazar (con il contributo di Arturo)



(I) Introduzione

Nella prima parte di questi post dedicati al feticismo abbiamo visto come già dalla genesi delle moderne scienze sociali questo fenomeno sia stato indagato con un certo “stupore” da Marx, il quale –  nella sua critica all’economia politica – ne fa emergere i suoi contenuti «segreti» tramite la sua celebre analisi di filosofia della scienza e ricerca volta all’epistemologia sociale:Il Capitale.

Ciò che fa emergere fenomenologicamenteMarx, è che alcune istituzioni sociali fondamentali, non solo agiscono in modo assolutamente indipendente dalla volontà degli attori sociali, ma risultano completamente «trasparenti» ad esso: ovvero sono dotate di una «oggettività spettrale», sono percepibili dai sensi solo indirettamente in forma di fenomeni e hanno proprietà «extra-sensoriali» come quella del «valore di scambio».

I rapporti sociali tra le persone sono mediati in tal modo da queste “istituzioni” di cui le persone sono incoscienti e che rendono le persone sempre più incoscienti alienandole; la prassi determinata da questo feticismoè come se limitasse il libero arbitrio stesso degli attori sociali, mentre, di converso, risulta come avessero una “volontà propria” queste «oggettività spettrali».

In definitiva emerge come le persone siano rese incoscienti e soggiogate da cose, ovvero da “essenze”  animate, a cui viene ceduta – alienata– coscienza.

Gli attori sociali immersi in questo sistema, agiscono senza essere consapevoli del meccanismo che li lega, e vengono spinti ad agire in un determinato modo per garantire produzione e riproduzione, come se questa prassi fosse una necessità naturale.

Il parossismo delle contraddizioni generate da queste istituzioni sociali – che sono in qualche modo create dalla mente umana ma allo stesso tempo sono a questa nascoste – viene raggiunto con la moneta.

Anticipiamo, quindi, che se esistono dei sacerdoti iniziati a questo «mistero» e a questi «segreti» che hanno a che fare col «nebuloso regno della religione», questi chierici sono – parafrasando Federico Caffè– i «pochi iniziati» alla moneta.

La divisione del lavoro, e i rapporti di proprietà che strutturano la società cristallizzandola in classi volte allo sfruttamento, sono quindi considerabili l’origine di ogni alienazione e, quindi, di ogni estraniazione, di ogni perdita d’identità e di anomia intese come fatti sociali.

Il riconoscere l’origine di questo «scarto esistenziale» si può quindi considerare come primo passo verso una consapevolezza emancipatoria tanto personale quanto politica.

Già da questa introduzione si deduce che, a differenza di come fa una certa “retorica filosofeggiante”, il parlare di mercificazione, cosificazione o reificazionedei rapporti sociali, significa descrivere un fatto sociale con proprietà oggettive che – stando con Marx– abbiamo chiamato feticismo; questo processo di invisibile ma percepibile alienazione di massa ha fatto, dalla morte del pensatore di Treviri, un’importante evoluzione: questa mediazione “cosificata” dei rapporti sociali si è strutturata totalitaristicamentecon la mediazione di massa delle tecnologie radiotelevisive e con la digitalizzazione.

Un esempio significativo? l’attuale smartphone rappresenta una forma di feticismo che aliena, estranea e media anche fisicamente i rapporti interpersonali. L’Internet delle cose sembra sostituire onticamente la società umana e tutti i rapporti sociali che la costituiscono.

Ma prima di arrivare al capitolo finale sull’ibridazione uomo-macchina, sul Transumanesimo, e su come questi siano in relazione con la struttura in classi della società, si rifletterà sull’anello di passaggio ancora inerente ai rapporti di produzione, ovvero all’ideologia produttivista.



(II) Feticismo ed Alienazione: il rapporto tra tecnologia, lavoro e politica.


La modernità, nel percorso che ha portato alle Costituzioni del dopoguerra, ha avuto tanto una serrata critica, quanto una forma di realistica accettazione.

Un’accettazione acritica ha portato a forme di progressismo dogmatico da cui quel tecnoscientismototalitario che ha contraddistinto un certo pensiero delle élite; il rifiuto totale ha comportato la produzione di pensiero che conducono ad improbabili fughe dalla realtà, a fedi acritiche in dottrine religiose o al “decrescismo naturalista”, che, di fatto, hanno contribuito a far sprofondare ancora di più la modernità nell’alienazione e nel nichilismo.

L’incontro di queste opposte ma complementari tendenze hanno spianato la strada al tecnoarcaismonazista, ovvero ciò che JeffreyHerf chiama modernismo reazionario; humus  culturale da cui si potrebbe inferire che non sia stato casuale che Heideggerpotesse esprimere commenti osceni come quello per cui gli ebrei si sarebbero «autoannientati».

A sostegno di questa “fuga dalla realtà”, si riporta un passaggio di Preve su Del Noce: «Non condividiamo per nulla questa lettura filosofica della modernità di Augusto Del Noce, perché ci sembra radicalmente sbagliato tentare di uscire dal nichilismo con una fuga in una «ontogenesi immaginaria» e pertanto nichilistica, come può essere il mito ebraico e poi cristiano del peccato originale e della collera di Dio. Dosi maggiori di nichilismo, cioè di «volontà di credere» a tutti i costi in miti che la funzione corrosiva della scienza storica e della psicologia del profondo ci dice essere insostenibili, non possono essere una vera alternativa al normale relativismo laico. Consentiremo con Del Noce sulla miseria dello storicismo laico «di sinistra», ma ci congederemo da lui quando entrerà in chiesa a pregare il Dio di Paolo e di Agostino.
Nello stesso tempo, è bene non dimenticare il valore per così dire tipico della critica di Del Noce al marxismo. Discutendo con fondamentalisti musulmani di lingua francese o inglese che cercavano di convincerci della definitività del messaggio di Allah il clemente ed il misericordioso e della crisi irreversibile del comunismo ateo nel risolvere i problemi del mondo, ci siamo sempre stupiti del fatto che costoro, senza aver mai sentito il nome di Del Noce, finivano con il dire le stesse cose su Hegel e sul Marx, addirittura alla lettera. Nella sua conversione all’Islam il francese Roger Garaudy, già marxista molto prestigioso degli anni Cinquanta e Sessanta, ha finito con il dire cose assolutamente analoghe, e sappiamo che egli non ha mai letto Del Noce»

Una risposta paradossale ad emblema di questo approccio che rifugge la realtà nel  cercare vie di fughe alla modernità, è quella che dà Voegelin in merito alla “Crisi delle scienze” di Husserl. Pur riconoscendo la qualità del lavoro filosofico, rimprovera a Husserldi rifiutare la “trascendenza”, sostituendola con un impegno di chiarificazione filosofica al servizio di una porzione concreta di umanità:

«A causa di questa riduzione dell’ umanità ad una comunità di individui impegnati a filosofare gli uni con gli altri in senso husserliano, il telosfilosofico è slittato nelle vicinanze di particolari intramondane collettività del tipo del proletariato marxista, dell’“hitleriano Popolo” o dell’“Italiano di Mussolini”»

In definitiva, per il fatto di essere “concreto”, e quindi “limitato”, l’impegno che si propongono Husserl o Marxè sostanzialmente identico a quello di Hitler e Mussolini. A proposito di straussiane reductio...

Dall’altro lato della schiera ideologica, forse i maggiormente numerosi, ci sono coloro che sono adepti devoti del culto tecnoscientista.

In un interessante articolo sul Foglio di Salvati, di fronte alla difficoltà elettoralistica di lustrare l’ingombrante qualifica del suo partito come “democratico” e, al contempo, propugnare politiche ostili al lavoro (tramite il quale il popolo dovrebbe esercitare effettivamente la costituzionale sovranità democratica), si preoccupa di produrre un “manifesto per un Pd non populista”:

« Di qui il problema che ogni linea di sinistra liberale deve affrontare: come convincere gli elettori di alcune elementari verità? Che per distribuire di più senza far debiti o bisogna essere in grado di produrre di più e quindi diventare più efficienti, oppure togliere ad alcuni quanto si vuole dare ad altri: e i conti economici e politici di quanto si vuol togliere, e a chi, e quanto si vuol dare, e a chi, vanno fatti seriamente.»

Dialetticamente, se ci si preoccupa di non essere “populisti”, significa che ci si preoccupa di essere “elitisti”, quindi di fare gli interessi delle classi egemoni che supportano il mercatismo e, di conseguenza, la logica neoliberale di preoccuparsi – non della “populista” domanda (AD) – ma della “borghesissima” offerta (AS) dei proprietari dei mezzi della produzione.

Poiché la tecnologia permette di aumentare la produttività, ne risulta che – secondo la logica del feticismo– sono le macchine in quanto tali a produrre valore, grazie alla magia  dell’“arte” borghese, mentre il lavoro viene considerato un mero costo da abbattere (insieme al lavoratore, secondo l’élite malthusiana): al feticismo si accompagna quindi il culto del produttivismo.

Culto paradigmaticamente indisgiungibile da ogni forma di elitismo classista:

«Difendere i produttori significa permettere alla borghesia di compiere la sua funzione storica— ci sono ancora due continenti quasi intatti che attendono di essere travolti nel turbine della civiltà mondiale capitalistica— e significa anche agevolare agli operai il conseguimento del maggior benessere per il maggior numero e lo sviluppo di quelle capacità che possono a un dato momento sprigionare dalla massa lavoratrice le nuove aristocrazie dirigenti delle nazioni»

Questo è il Mussolinidel ‘18, quando spiegava il motivo per cui “Il popolo d’Italia” da “quotidiano socialista” si proclamava ora «quotidiano dei combattenti e produttori». Il produttivismo era infatti stato elaborato anteriormente in circoli nazionalisti (Corradini, Rocco) e liberali (Nitti).

Il produttivismo fu anche lo strumento usato per neutralizzare le potenziali implicazioni egualitarie dell’utilitarismo, come spiegava Joan Robinson: «Il metodo con cui l’elemento egualitario nella dottrina è stato sterilizzato fu principalmente lo slittare dall’utilità, all'output fisico come oggetto da massimizzare. Un piccolo totale di beni fisici, equamente distribuiti, può certamente fornire più utilità di un totale molto più grande distribuito in modo non equo, ma se teniamo d’occhio il totale dei beni è facile dimenticarne l’utilità». (Si ricorda che l’utilitarismo è al centro della riflessione di J.S.Millche segna la strada verso il liberalismo sociale di Keynesi cui principi di politica economica sono inderogabilmente prescritti nella Costituzione Italiana).

Stando con Faucci, naturalmente, si arriva ad affermare che: « In Italia si afferma che «tutti facciamo piani» (quindi è inutile una programmazione pubblica); e che prima occorre produrre, e solo in seguito (re)distribuire. L’uno e l’altro sono sofismi, obietta Caffè: qualunque governo non può non darsi un piano; inoltre fra produzione e distribuzione vi è un evidente nesso reciproco.»

Se il feticismo è la forma di coscienza sociale che viene ancora prima dell’ideologia, e su cui le ideologie vengono poi costruite, come sostiene Michael Heinrich, si può affermare che il produttivismo“offertista”, sempre uguale a se stesso pur nelle cornici retoriche un po’ diverse, ne è una della manifestazioni più chiaramente individuabili. 

L’ultimo anello di congiunzione che si propone prima di trattare il Transumanesimo, è quello espresso magistralmente da queste considerazioni di Castoriadis, che fanno emergere lo stretto legame tra feticismo e tecnocrazia.

«Esiste un legame stretto, seppure implicito, tra queste due coppie di opposizioni: chaos/kosmose hybris/dike. In un senso, la seconda non è che una trasposizione della prima in ambito umano.
Questa visione condiziona, per così dire, la creazione della filosofia, la quale, come l’hanno creata e praticata i Greci, è possibile proprio perché l'universo non è totalmente ordinato. Se lo fosse, non vi sarebbe alcuna filosofia, ma solo un sistema di sapere unico e definitivo. E se il mondo fosse un caos puro e semplice, non vi sarebbe nessuna possibilità di pensare. Ma questa visione condiziona anche la creazione della politica. Se l’universo umano fosse perfettamente ordinato, sia dall’esterno sia dalla sua «attività spontanea» («mano invisibile», ecc.), se le leggi umane fossero dettate da Dio o dalla natura, o ancora dalla «natura della società» o
dalle «leggi della storia», non vi sarebbe alcuno spazio per il pensiero politico, né campo aperto all’azione politica, e sarebbe assurdo interrogarsi su che cos’è una buona legge o sulla natura della giustizia [cfr. Hayek]. Allo stesso modo, se gli esseri umani non potessero creare un qualche ordine per loro stessi ponendo delle leggi, non vi sarebbe nessuna possibilità di azione politica istituente.
E se fosse possibile una conoscenza sicura e totale {episteme} dell'ambito dell’umano, la politica avrebbe immediatamente fine, e la democrazia sarebbe al tempo stesso impossibile e assurda, giacché la democrazia suppone che tutti i cittadini abbiano la possibilità d'attingere una doxa corretta e che nessuno possegga
una episteme delle cose politiche.» L’enigma del soggetto, pagg. 203-4.

Stessa fonte, pagg. 284-5: «Nel cuore dell’epoca moderna, a partire dalla fine dei «secoli bui», campeggiano due significazioni immaginarie sociali, intrinsecamente antinomiche benché comunque legate (ma il loro legame non può occuparci in questa sede): da una parte, l'autonomia che ha animato sia i movimenti emancipatori e democratici che percorrono la storia dell’occidente, sia la rinascita dell’interrogazione e dell’indagine razionale; dall’altra, l'espansione illimitata del dominio «razionale», alla base dell’istituzione del capitalismo e delle sue trasformazioni (fra cui, con una mostruosa inversione, il totalitarismo), culminante senza dubbio nel dilagare della tecno-scienza.
Per motivi che ho ampiamente sviluppato altrove, il dominio «razionale» oggi in fase di espansione illimitata in realtà non può essere che un dominio pseudorazionale. Ma qui interessa soprattutto un'altra dimensione. Un dominio «razionale» implica, esige in verità - da che la «razionalità» è stata vista come perfettamente «oggettivabile», cosa che ha voluto ben presto dire «algoritmabile» - un dominio impersonale. Ma un dominio impersonale esteso a tutto è evidentemente il dominio di nessuno, e dunque e il completo non-dominio, il non-potere (in una democrazia, c’è certamente una regola razionale impersonale, la legge, pensiero senza desiderio, come diceva Aristotele, ma ci sono anche governanti e giudici in carne e ossa).»

Sintetizzando in chiosa: feticismo, alienazione, estraniazione, anomia, nichilismo, scientismo positivista e tecnocrazia hanno tutti una radice comune e sono fenomenologia dello sfruttamento classista; come si è visto all’inizio, chi si oppone con una «ontogenesi immaginaria» o con una qualche forma di «trascendenza» “assoluta”, senza una critica storico-materialistica come quella prodotta con l’ausilio delle scienze sociali, non fa altro che aggiungere nichilismo al nichilismo, puntellando il sistema di sfruttamento che genera distopicamente questi fenomeni economici, politici, sociali e antropologici.

Resta ora da capire quale sia l’impatto della tecnologia che, da artificio umano, si “umanizza” fondendosi all’ordine sociale invece “naturalizzato”, alienatoe “disumanizzato”.




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