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SUL TEMA DELLA PRESCRIZIONE, QUALCHE SPUNTO DI RIFLESSIONE

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«In questo articolo Sofia produce un'efficace e sintetica analisi di diritto comparato in grado di inquadrare l'istituto della prescrizione fornendo dati, commenti e spunti di riflessione che permettono, anche ai non-giuristi, di farsi un'idea sulle differenti componenti del problema da bilanciare. Vengono presi in esame diversi ordinamenti e le pronunce di organizzazioni internazionali: ne emerge che in Italia un problema intorno a questo istituto esiste e che questo ha una dimensione ed un impatto preoccupanti.
L'analisi fornita aiuta ad affrontare criticamente e con coerenti criteri di giudizio - giuridici ed economici - il dibattito politico intorno alla questione della prescrizione dei reati
Bazaar

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post di Sofia


1)  La prescrizione e le proposte di modifica normativa.

Senza entrare troppo in aspetti tecnici, (v. qui  l’istituto della prescrizione trattato in dettaglio nell’ambito dell’attività parlamentare) la prescrizione del reato è la rinuncia dello Stato a far valere la propria pretesa punitiva, in considerazione del tempo trascorso dalla commissione del reato.
L'istituto è disciplinato dal codice penale (art. 157 e ss.) e trova fondamento nel fatto che, a distanza di molto tempo, si ritiene che venga meno l'interesse dello Stato sia a punire un comportamento penalmente rilevante, sia a tentare il reinserimento sociale del reo.
Nel nostro ordinamento, a partire dal 2005 (legge n. 251 del 2005, c.d. legge ex Cirielli) per calcolare il tempo necessario a prescrivere un reato si fa riferimento alla pena massima prevista per il reato stesso, con due limiti: nel caso di delitto, il tempo non può mai essere inferiore ai 6 anni; nel caso di contravvenzione, non può mai essere inferiore a 4 anni.
La lunghezza del nostro processo penale, articolato fino a tre gradi di giudizio, fa sì che siano molti i reati per i quali scatta la prescrizione, talvolta nonostante il riconoscimento della colpevolezza del reo in più gradi di giudizio.
Le allarmanti statistiche degli ultimi anni hanno segnato il dibattito parlamentare su questo tema ed hanno condotto in ad una prima riforma nell’ambito della XVII legislatura, e all’attuale proposta di modifica secondo la quale la prescrizione si interrompe una volta che il processo sia giunto alla prima udienza del primo grado.
Contro questa proposta di modifica si sono levate molte critiche tra cui, come noto, quella del ministro della Pubblica Amministrazione, l’avvocato Giulia Bongiorno (Lega), secondo la quale lo stop alla prescrizione sarebbe una bomba nucleare, perché in questo modo si arriverebbe al caos e non si fisserebbero più i processi.
Bonafede, anche in replica alle critiche, aggiunge che, ovviamente, lo stop alla prescrizione non è una misura che va attuata da sola, ma che va garantito anche il “giusto processo” attraverso assunzioni massicce di magistrati e personale ausiliario, allargando le piante organiche dei tribunali, consapevole che non si potrebbe riformare la Giustizia a costo zero.
Le opinioni che si alternano nell’ambiente giudiziario non sono concordi: laclasse forenseè prevalentemente sfavorevole all’eliminazione della prescrizione in quanto, a parere di molti avvocati penalisti, l’imputato rischierebbe di rimanere tale a vita.
La magistratura, invece, è prevalentemente a favore della riforma purché inserita in un contesto di altre riforme per velocizzare i tempi della giustizia  (v. opinioni del Procuratore Aggiunto Francesco Puleio,  del magistrato Nino Di Matteo  dell’ex magistrato Gian Carlo Caselli, del presidente dell’Associazione Nazionale MagistratiFrancesco Minisci, del magistrato Giuseppe Ayala,) del presidente della II sezione penale della Corte di Cassazione ed ex PM di Mani Pulite Piercamillo Davigo.

   2)  L’istituto della prescrizione in Italia a confronto con altri Paesi.

Resta il fatto che la disciplina italiana della prescrizione si distingue nettamente rispetto a quella adottata da altri paesi europei (come rilevato anche dall’Associazione Nazionale Magistrati), ma anche rispetto a quella degli Stati Uniti.
Le soluzioni accolte dai principali ordinamenti dell’Europa continentale nel disciplinare il rapporto tra termine di estinzione del reato e tempi del processo vanno nella direzione che il compimento di determinati atti processuali fa decorrere ex novo il termine di prescrizione, senza limiti, oppure entro un limite complessivo molto ampio, pari all’originario termine di prescrizione ovvero a un suo multiplo.
Ad esempio, il codice penale spagnolostabilisce che l’effetto estintivo non può maturare nel periodo impiegato dall’ordinamento per l’esercizio della giurisdizione.
Precisamente, secondo l’art. 132 di tale testo normativo, la prescrizione (articolata in varie fasce a seconda del livello della pena astrattamente irrogabile per il reato) si interrompe quando il procedimento si dirige contro il colpevole, e ricomincia a decorrere dal momento in cui lo stesso procedimento si paralizza o si conclude con un esito diverso dalla condanna.
Mentre nel sistema spagnolo la prescrizione è inclusa tra le cause di estinzione della responsabilità penale, lo stesso istituto assume una natura processuale nell’ordinamento francese, che colloca nel codice di rito la disciplina della prescription de l’action publique; tale normativa prevede l’estinzione dell’azione penale qualora questa non venga esercitata entro un determinato tempo dalla consumazione del reato.
In ogni caso, nel sistema francese, il termine di prescrizione dell’azione pubblica per i crimini, la cui durata è pari a dieci anni, si interrompe con il compimento di qualsiasi atto di istruzione o di indagine, e riprende a decorrere per un uguale periodo; le interruzioni, inoltre, possono essere illimitate.
Nell’ordinamento tedesco, il § 78 StGB, che articola l’istituto della prescrizione sulla base della gravità dei reati, disciplina anche l’interruzione della prescrizione, prodotta non solo da atti compiuti dal giudice ma anche da atti della polizia o della Procura della Repubblica, come il primo interrogatorio dell’accusato. Dopo l’interruzione, il termine di prescrizione riprende a decorrere ma non può superare il doppio della sua durata originaria.
L’ordinamento del Regno Unito, com’è tipico della tradizione giuridica di common law, non contempla l’istituto della prescrizione nella forma nota ai Paesi di diritto continentale, ma un limite temporale riferito all’estinzione dell’azione, e non del reato.
Oltrepassando i confini europei, invece, negli Stati Uniti, a differenza che in Italia, il periodo di tempo necessario perché il reato si estingua deve essere decorso interamente prima dell'inizio del processo al momento del deposito dell'accusa. Se il processo viene iniziato la prescrizione non può verificarsi più, quale che sia la durata del processo stesso.

3)  Pronunce della Corte di Strasburgo e della Corte di giustizia in merito all’istituto della prescrizione in Italia.

Vi è, poi, un ulteriore aspetto del sistema italiano di prescrizione, che è stato posto in luce da alcune recenti pronunce della Corte di Strasburgo: precisamente, la sua incompatibilità con gli obblighi scaturenti dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo in tema di tutela di determinati diritti fondamentali di particolare rilevanza.
La prima pronuncia ad affrontare la questione è stata la sentenza emessa il 29 marzo 2011 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Alikaj contro Italia, che ha ravvisato una violazione dell’aspetto procedurale del diritto alla vita, sancito dall’art. 2 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, quando la condanna di un agente dello Stato per un omicidio illegale (anche se commesso per colpa, e non con dolo) sia impedita dalla prescrizione, per effetto della durata del processo penale.
Tale sentenza ha fornito una precisa indicazione sull’incoerenza del modello italiano di prescrizione con gli standard internazionali di protezione dei diritti umani; essa ha individuato la vera anomalia del sistema penale italiano non tanto nella lunghezza dei tempi del processo, quanto nell’effetto estintivo che ne consegue in relazione a un comportamento lesivo del diritto alla vita, posto in essere da un “agente dello Stato”.
In quest’ottica, la sentenza Alikaj è giunta a includere la prescrizione nella categoria delle “misure” inammissibili in quanto produttive dell’effetto di impedire una condanna nonostante l’accertamento della responsabilità penale dell’accusato.
Il problema è stato ulteriormente focalizzato dalla sentenza emessa il 1° luglio 2014 dalla Corte europea dei diritti dell’uomo nel caso Saba c. Italia, proprio in relazione al divieto che discende dall’art. 3 della Convenzione. E dalla sentenza Cestaro del 7 aprile 2015.
Con le suddette pronunce, la Corte di Strasburgo ha fatto applicazione del principio, già affermato con riguardo a varie ipotesi di comportamenti contrari all’art. 2 o all’art. 3 della CEDU denunciati con ricorsi riguardanti altri Stati, secondo cui i relativi procedimenti penali devono necessariamente concludersi con una sentenza che accerti, nel merito, le eventuali responsabilità dei funzionari pubblici coinvolti, e non con una sentenza dichiarativa della prescrizione.
Il principio è stato ribadito anche dalla recente sentenza della Corte di giustizia del 5 dicembre 2017 nella causa C42/17.
Secondo queste pronunce, quindi, si sarebbe in presenza di un vero e proprio deficit strutturale del sistema italiano, che condiziona pesantemente l’efficacia della repressione penale dei comportamenti contrari agli artt. 2 e 3 della CEDU.
Peraltro, solo a titolo informativo, con riferimento alle indagini sui casi di corruzione internazionale, anche l’OCSE (già in un rapporto nel 2012) aveva manifestato le proprie perplessità sull’istituto della prescrizione italiana

4)  Alcuni dati

Le criticità rilevate dall’Associazione nazionale magistrati sembrano confermate anche dai dati.
Il grafico sotto riportato riguarda solo i processi che arrivano in Cassazione




Per quanto riguarda il 2016, dalla Relazione di inaugurazione dell'anno giudiziario   del Primo Presidente della Corte di cassazione si apprende che «negli uffici di merito si registra complessivamente un apprezzabile aumento delle prescrizioni (139.488, +3,3%). Le prescrizioni dichiarate dai Tribunali ordinari sono state 31.610 (+6,9 rispetto al periodo 2014-2015) e, per contro, sono diminuite quelle dichiarate dalle Corti di appello (22.380, -6,6%). La maggior parte delle prescrizioni è dichiarata dagli uffici GIP, nei procedimenti contro noti e contro ignoti, e negli uffici GUP (complessivamente 82.923, 59,4%)».
Quanto alla Corte di cassazione, nel 2016 «I procedimenti definiti con dichiarazione di prescrizione del reato (1,3% del totale delle definizioni) sono stati 767, con un incremento rispetto al precedente anno di 90 unità».



Da notare, dai dati relativi alla prima tabella, come il numero dei processi definiti per prescrizione è sempre crescente, ad evidenziare la tendenza ad allungare i tempi del processo in attesa (e nella speranza) che maturi la prescrizione.
Così come è da notare che la maggior parte delle prescrizioni avviene nella fase delle indagini preliminari, il che dovrebbe essere un dato significativo per comprendere dove e come dovrebbe intervenire lo Stato, parallelamente all’eventuale riforma della prescrizione.
E da notare anche, nel secondo grafico, come l’introduzione della prescrizione non abbia affatto diminuito il numero dei processi come pareva essere nell’intenzione del legislatore.
Dalla disamina dei dati relativi ai paesi in cui la prescrizione trova dei limiti negli eventi interruttivi (diversi a seconda dei casi), si evince un aumentano dei patteggiamenti; a voler significare che l’indagato/imputato, a fronte di prove che sa essere concrete, e a fronte del fatto che non può contare sulla prescrizione, preferisce patteggiare sia per ottenere uno sconto della pena, sia una definizione più celere del giudizio.
In presenza dell’istituto della prescrizione, invece, pare indubbio che non vi è alcun interesse a patteggiare e a ridurre i tempi di definizione del giudizio, ma a proporre appelli infondati o ad attaccandosi ai cavilli legali più svariati pur di allungare i tempi.
Lo confermerebbero i dati Usa, dove l’85 per cento degli imputati si dichiarano colpevoli e patteggiano la condanna ottenendo così degli sconti di pena. Ma anche quelli inglesi dove solo il 10 per cento delle persone sotto inchiesta arriva al processo.
Nel nostro Paese invece la situazione è capovolta: in pochi patteggiano o accedono al rito abbreviato che garantisce uno sconto di un terzo sulla condanna.
L’applicazione della pena su richiesta, il cosiddetto “patteggiamento”, è stata utilizzata principalmente nei casi che hanno riguardato gli imputati per “corruzione” (10,9 per cento delle modalità di inizio dell’azione penale per il delitto di corruzione) e gli imputati di “associazione per delinquere” (9,6 per cento delle modalità di inizio dell’azione penale per associazione per delinquere), ed in ogni caso (ma i dati coprono solo alcuni anni, v. dati Istat.Tav. 6.13) al patteggiamento si è arrivati solo nell’1,2% – 1,3% dei casi.

5)  La riforma proposta.

Ovviamente non si vogliono esprimere giudizi sull’attuale proposta di modifica normativa che attiene alla prescrizione, né sull’accordo trovato tra Di Maio e Salvini, ma soltanto fornire un riepilogo delle diverse posizioni, associate ad alcuni dati, perché ciascuno possa fare le proprie valutazioni.
Certo è che gli interrogativi che la permanenza della prescrizione nel nostro sistema penale lascerebbe irrisolti sono molti: in un sistema davvero civile, sono giustificabili istituti come il patteggiamento (dove un reo si dichiara colpevole solo al fine di ottenere uno sconto della pena) o la prescrizione che si risolve in una forma di denegata giustizia per le vittime dei reati? Si può davvero paragonare la perdita di interesse dello Stato alla punibilità (posta a giustificazione dell’istituto della prescrizione) con l’interesse ad ottenere giustizia delle vittime dei reati? Ha davvero senso, in un epoca in cui vengono imposti tagli e risparmi, mantenere in vita un istituto come la prescrizione che allunga i tempi della giustizia e quindi anche i relativi costi? Ma che soprattutto dopo anni di indagini e processi e impiego di risorse economiche (comprese quelle per gli avvocati nei casi in cui gli indagati/imputati facciano ricorso al Gratuito patrocinio), tutto si dissolva nel nulla della prescrizione?
Interrogativi a parte, la modifica parrebbe, comunque, più in linea con il sistema di giustizia di altri paesi europei (che così spesso vengono presi ad esempio su altri settori) e si conformerebbe alle pronunce giurisprudenziali che sopra sono state richiamate.
Occorre anche tenere conto dell’art. 111 della Costituzione italiana, nel testo novellato dalla legge costituzionale del 23 novembre 1999 n. 2, secondo il quale la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge, ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale e la legge ne deve assicurare la ragionevole durata.
Il diritto alla ragionevole durata, pur già riconosciuto dalla Convenzione Europea dei diritti umani del 1950 e dal Trattato di Amsterdam, ha, con la riforma, acquistato una diversa e maggiore valenza. Ma occorre fare attenzione quando si tenta di utilizzare l’art. 111 Cost per giustificare l’introduzione della prescrizione.
Non è la prescrizione a garantire la ragionevole durata del processo, ma l’efficienza del sistema giudiziario, garantito solo da effettivi investimenti nell’assunzione di personale amministrativo e da un numero di magistrati adeguato, nonché da sistemi informatici all’avanguardia.
Suscita, quindi, qualche perplessità l’opinione di chi ritiene che il problema dei processi penali non è la prescrizione, ma la durata dei processi che deriverebbe dall’applicazione dell’art. 111 Cost., perchè pare evidente che i due aspetti sono strettamente collegati: i processi penali aumentano perché la prescrizione è un’incentivazione all’impugnazione, e i tempi processuali si allungano perché l’imputato cerca di attaccarsi ad ogni cavillo affinchè il trascorrere del tempo possa risolversi nella prescrizione.
Al contrario, se vi fosse la certezza di arrivare al processo, l’imputato/indagato avrebbe interesse ad una sollecita definizione del giudizio e/o a patteggiare (laddove sia al corrente della presenza di prove forti in proprio danno).
Conseguentemente, tenuto conto che, come si evince da più fonti, mancherebbero 1200 magistrati, le proteste per le carenze di persone sono sempre in aumento e le denunce sulla necessità di assumere personale arrivano da parte di ogni Tribunale d’Italia  (v. qui, qui, qui, qui, qui, qui , qui……), la riforma Bonafede non dovrebbe essere dissociata dalle  assunzioni record” di cui egli parla o comunque da maggiori investimenti in personale, infrastrutture e rinnovo delle tecnologie.
A fronte di un minor carico per ogni singolo giudice, meglio assistito da cancellieri e polizia giudiziaria, potrebbero anche funzionare i riti alternativi ed essere smaltito più rapidamente ogni processo. E gli indagati/imputati, laddove non possano confidare nella prescrizione, saranno certamente più indotti a patteggiare subito, lasciando al giudice il tempo per istruire altri processi.





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