1. Perché lo spread? Perché la BCE non possiede i poteri e gli strumenti propri di una vera banca centrale nei confronti dei singoli Stati.
Riflettendoci: chi le sta intorno la conosce: e pure il limite della capital key per gli interventi BCE con impiego dei tdp venuti a scadenza e rimborsati (in definitiva alle BC nazionali del sist€ma).
Maè impressionante la ripetitività degli argomenti contra Italiam
completamente fuori contesto: nel 2011, le "riforme" erano in realtà il sistema di correzione del saldo negativo commerciale, verso gli altri paesi dell'EZ (Ger soprattutto), insito nei Tr. UE, col divieto di bail-out (p.7). Quindi dovevamo deflazionare...
Ma oggi, vantando l'Italia un attivo ormai decennale delle partite correnti (e una correzione sbalorditiva della PNE: da -27% del 2011 al segno positivo da circa 2 anni), lo spread ha cause diverse.
Beninteso, ora come allora, la causa dell'assenza di acquirenti btp, e quindi dello spread, sta sempre nelle regole stesse dell'EZ, in quanto privano uno Stato del sostegno della propria banca centrale, che provveda a (normali) funzioni di "tesoreria" (anticipazioni della BC come "scoperti di conto" e acquisto diretto E permanente dei titoli di uno Stato = monetizzazione in plurime forme: v. art.123 TFUE), quindi non di lender of last resort (che riguarda il sistema finanziario privato).
2. L'analogia, incompleta col 2011: la situazione è diversa (in peggio) per via di clausole CACs e regole dell'Unione bancaria, anche se l'Italia ha oggi, con un certo successo, compiuto il tipo di correzione che, nel 2011, era imposto dalle regole dell'Eurozona.
Ma nel 2011, i mercati finanziari chiedevano rendimenti più elevati per le nuove emissioni (avendo venduto i titoli sul mercato secondario e, quindi, da lì, "trascinando" sulle aste di collocamento i differenziali creati coi crescenti volumi di vendita sul secondario), in funzione di quel passivo coi conti esteri e scontando appunto il metodo di correzione imposto dentro l'EZ (lo stesso Draghi spiegava molto bene il meccanismo...ma il video "non è più disponibile perché l'account YouTube associato al video è stato chiuso"😁orizzonte48.blogspot.com/2017/03/maastr… qui v. comunque p.1). Tale aspettativa dava inevitabilmente origine ad un'ulteriore aspettativa consequenziale: e cioè, sia di recessione e di conseguente aumento del rapporto debito pubblico/PIL (puntualmente verificatosi, proprio con la "cura Monti", che almeno correggeva lo squilibrio estero), sia di potenziale Ital-exit dall'euro, con conseguente svalutazione della valuta in cui sarebbero tornati ad essere espressi i titoli. TUTTAVIA, OGGI QUESTE CONDIZIONI NON ESISTONO PIU'.
Appunto: l'Italia ha già stabilizzato un attivo CA; INOLTRE, le varie clausole CACS, recepite nel 2012, impedirebbero un agevole cambio di valuta dei tdp (qualora divenuti incollocabili se denominati in euro, senza una propria BC); infine la subentrata (al 2011) Unione bancaria appresta, in caso di default inflitto ai creditori dei tdp, - e dunque riflesso anche nelle perdite di bilancio del nostro sistema bancario, per la consistente quota detenuta di titoli del debito pubblico -, una garanzia che non è più solo il drenaggio di liquidità dalle nostre tasche mediante consolidamento fiscale (più tasse e meno prestazioni ai cittadini italiani), ma che arriva fino ai depositi bancari privati (v. INFINE: PRECISAZIONE), col c.d. bail-in.
3. E il discorso ritorna sempre all'Ital-tacchino ovvero al futuro dell'Italia in mano al "policy maker (sovranazionale) ideale".
Il paradosso, quindi, è che esiste un forte interesse al default italiano, nonostante l'Italia sia diventata un esportatore netto, creditrice commerciale del resto del mondo.
E ciò, perché, grazie agli spread e alla conseguente insostenibilità delle regole di bilancio dell'EZ, (attestata anche dall'ultimo Def, in specie si veda alle pagg. 87-89 circa la "supposta""sensitività ai tassi di interesse") non solo si impone una nuova tornata di drenaggio "di garanzia", via austerità fiscale, - che, a rigore, non sarebbe più giustificata dalla (superata) condizione di debitrice commerciale dell'Italia- , ma, aggiuntivamente, vigendo l'Unione bancaria, si riesce a escutere lo stock di risparmio, comunque rilevante, degli italiani; questo consiste in depositi bancari e, prima ancora, negli assets (immobili e aziende) che garantiscono i crediti bancari, che andrebbero in sofferenza: e ciò accadrebbe principalmente a seguito dell'ondata inevitabile di politiche fiscali restrittive (giustificata dall'aumento "fuori misura" prevista, dello spread, e quindi dalle regole di governance dell'eurozona), ondata ovviamente aggiuntiva a quella delle insolvenze private causate dall'aumento dei prezzi energetici, (già in corso, tra bollette insostenibili e prezzi in aumento dei beni essenziali importati per produzione e consumo), asset che sarebbero inclusi nella procedura di bail-in bancario "di massa".
Insomma, il banchetto global-finanziario sull'Ital-tacchino è più vicino che mai.
E non ha nulla a che vedere con "mancate riforme", o con la correzione di un'insufficiente competitività. Oggi, pur nell'alta inflazione dell'EZ, quella italiana rimane infatti sotto la media. Ha piuttosto molto a che vedere con la mancata crescita, ripetiamo, scontabile (dai "mercati") a seguito delle regole monetarie e fiscali proprie dell'eurozona che, come s'è visto, si cumulano, pro-ciclicamente, con la forte flessione della crescita (già in corso) dovuta all'inflazione da prezzi energetici e beni comunque IMPORTATI.
Come abbiamo detto molte volte, si tratta di commodities e beni importati per vincolo normativo NgEu, - entro il paradigma, fanaticamente confermato, proprio ieri sull'agenda EV entro il 2035 -, vincolo che ci preclude qualunque politica industriale, necessariamente pubblica, tarata sulla nostra effettiva capacità e potenzialità produttiva e sulle nostre esigenze congiunturali.
4. L'euroboro dei rimedi, possibili (pur secondo gli stessi Trattati UE), ma non culturalmente immaginabili, entro i limiti culturali dell'attuale quadro istituzionale.
Quale potrebbe essere il rimedio a tutta questa distruzione insensata del nostro sistema economico e sociale?
Ovviamente, i mercati, con l'attuale spread, scontano l'assenza di strumenti, anche solo ipotizzati, che possano evitare la nostra discesa nel baratro (e a ciò, appunto, sono molto interessati per...la fase esecutiva di espropriazione).
Ebbene, ho tentato di illustrarlo. il rimedio (più immediato) nel mio ultimo libro "Lo strano caso Italia". Tra l'altro, nel capitolo 3, paragrafi 2-4. E non solo.
Ma è un uroboro: il rimedio presuppone il recupero (concettuale e politico) della sovranità, persino di quel poco che risulta conforme a talune previsioni esistenti nei trattati. Il che presuppone, a sua volta, un previo e ben meditato mutamento del quadro istituzionale e della sua "cultura" (riadeguandolo, nella sua essenza, al modello costituzionale di politiche economiche e sociali).
Un curioso paradosso apparente: la sovranità consiste sempre, in essenza, nel consapevole perseguimento dell'interesse vitale della comunità sociale italiana, libero da condizionamenti sovranazionali.
Oggi pare un concetto politico impensabile, nella sua effettività e al di là di enunciazioni retoriche, ormai scisse dalla realtà delle attuali modalità di formazione dell'indirizzo politico; ma la questione della democrazia, che è arrivata a coincidere con quella della sopravvivenza di un'intera nazione, è tutta qui.
La CULTURA della sovranità democratica del lavoro (art.1 Cost.), della sua concreta essenza, consistente nel benessere dell'intero popolo italiano, è ciò che riempie di senso le istituzioni costituzionali. Senza questo contenuto diventano vuoti simulacri, sorretti da slogan ormai incomprensibili ed avulsi dall'interesse del popolo stesso.
Addendum di precisazione: in caso di default il nostro sistema bancario, in quanto massiccio detentore dei tdp, subirebbe colossali perdite di attivi, che, seguendo le regole dell'Unione bancaria, imporrebbero la partecipazione alle perdite anche dei depositanti, essendo fiscalmente precluso allo Stato un intervento di (difficilmente autorizzabile) ricapitalizzazione pubblica, da cui appunto un bail-in con sopportazione dell'onere da parte non solo di azionisti e obbligazionisti, ma anche dei depositanti (oltre all'immediata escussione dei crediti bancari).