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INFORMAZIONE, TECNOLOGIA E MONOPOLI

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Da Sofia riceviamo e volentieri pubblichiamo questa post che, nelle intenzioni, serve da introduzione ad una trattazione ulteriore del tema dell'informazione, delle sue finalità ultime e delle posizioni di potere che esso comunque implica.

Nei settori che operano in situazioni monopolistiche/oligopolistiche gli operatori hanno tutto l’interesse a sostenersi l’un l’altro e a mantenere la propria situazione di supremazia; se questo non avviene attraverso la forza di mercato acquisita, avviene attraverso delle norme che impongono l’utilizzo dei prodotti da questi commercializzati oppure attraverso operazioni mediatiche che servono a condizionare l’operato degli utenti; senza considerare che anche il processo di accettazione delle norme richiede da parte degli utenti/cittadini un opera di convincimento sulla giustezza o sulla necessità delle stesse che viene portata avanti sempre attraversi i mezzi di comunicazione con informazioni (distorte o sbagliate) che mettono in evidenza un particolare stato di necessità, o di emergenza, o di pericolo.
In un precedente post, 48 ha già anticipato i termini del problema: Solo che qui "l'unico soggetto" accumula un potere talmente immenso da non avere alcun limite pratico: può persino pianificare a tavolino l'orientamento mediatico e quindi del consenso in qualsiasi parte del mondo e, più ancora, condizionare i governi, specie se esposti ai mercati nella - "stranamente spontanea", da parte degli stessi governi- collocazione sul mercato dei titoli del debito sovrano. Quello che invece è più  inquietante è che questa forza economica soverchiante possa impadronirsi del web e, in generale, di ogni nuova forma di "communication technology", attraverso la creazione di potentissime società ramificate in tutto il mondo, programmando e scansionando lo stesso paradigma culturale di un'epoca".
Su questo potere di pianificare "a tavolino" l'orientamento mediatico, e quindi dei comportamenti di massa e del conseguente "consenso", vi sono diversi scritti.
Gian Maria Fara in un saggio intitolato “INFORMAZIONE, OPINIONE PUBBLICA E DEMOCRAZIA” aveva messo in luce gli aspetti accennati da 48 in maniera molto chiara. Il saggio è piuttosto lungo e per semplificare ne riporto un breve riassunto.

"A rigor di logica, l'opinione dovrebbe essere strettamente ancorata alla conoscenza dei fatti, così come la conoscenza dovrebbe ispirare il formarsi di opinioni informate. I due termini sembrerebbero non aver nessuna vocazione alternativa, anzi appaiono l'uno il complemento naturale dell'altro. L'idea di proporli come dicotomia nasce dalla consapevolezza che nella fase storica che attraversiamo essi si presentino ormai con forti caratteristiche di autonomia. Sempre più spesso ci accorgiamo di trovarci di fronte ad opinioni nate al di fuori di ogni possibile base di conoscenza, così come è evidente che la conoscenza trova sempre maggiori difficoltà a tradursi in opinione. Anzi, si potrebbe parlare di un'opinione che rifiuta ogni ipotesi di conoscenza che possa metterla in discussione.
In nessun altro momento storico si è avuta una tale produzione di sapere, ma il mondo non sembra aver tratto alcun particolare vantaggio dalla nuova possibilità offerta dall' evoluzione della conoscenza. L'avere a disposizione una quantità sempre maggiore di conoscenza e vederla circolare tanto rapidamente per effetto dei processi informativi e comunicativi lasciava sperare in un mondo qualitativamente migliore. Ma a quanto pare non basta essere quotidianamente sommersi dalle informazioni per avere la possibilità di definire meglio l'orientamento della nostra esistenza.
Secondo alcuni autorevoli studiosi, "lo svilupparsi dell'industria della conoscenza si accompagnerà necessariamente al controllo dei suoi prodotti e questo al loro possesso e uso. Agli individui non resterà che partecipare a questo processo in veste di semplici consumatori con scelte limitate se non obbligate" (Capecchi-Livolsi 1989).
A questo punto appaiono evidenti almeno due grandi problemi con i quali il soggetto e la collettività sono chiamati a misurarsi: la enorme disponibilità di conoscenza e le evidenti difficoltà di fruirne in tutto o in parte; i limiti e i vincoli imposti dai detentori di una conoscenza intesa come merce da vendere o nel migliore dei casi da scambiare.
E' per questo che sempre più spesso quando si parla di conoscenza si è costretti a parlare di élites culturali o politiche e di potere. Se conoscenza è potere, potere di decidere e potere di fare, ricorrendo anche in questo caso al paradosso potremmo dire che il potere in una società aperta è alla portata di tutti in considerazione del fatto che la conoscenza,almeno nella accezione generale, si presenta come res nullius, bene a disposizione di tutti .
Ma vi è un altro elemento da non sottovalutare: la diffidenza per una conoscenza che arriva dall'alto, prodotta da élites culturali sospettate, talvolta a torto ma molto spesso a ragione, di voler esercitare una egemonia sulle classi meno colte.
Questione questa ampiamente affrontata dagli studiosi sociali e strettamente legata al tema più ampio del controllo sociale e dei mezzi e dei meccanismi attraverso i quali gli individui vengono "obbligati" ad attenersi alle norme sulle quali il sistema sociale complessivamente si regge.
In una società complessa dove è impensabile poter esercitare il controllo sociale attraverso la coercizione o la forza, i risultati desiderati possono essere ottenuti con la definizione dei bisogni, dei modelli di comportamento, ma soprattutto di comunicazione. Insomma chi ordina il sapere o i saperi, chi gestisce la conoscenza e chi la diffonde esercita sulla società una influenza profonda, una egemonia culturale che lascia spazi minimi alla elaborazione personale e alla produzione personale di senso e di orientamento.
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Così che, in quella che spesso in modo improprio viene definita "società trasparente", tutto pare congiurare in favore della opacità e del silenzio o di un clamore che sempre più spesso sembra voler nascondere la realtà. L' Occidente ha capito da tempo come in una società che respira grazie alla circolazione dell' informazione, il regolare questa informazione costituisce un elemento determinante del potere.
Ma cosa vuoi dire potere? Secondo alcuni è la capacità di influire sul comportamento altrui e di controllare i mezzi per esercitare tale influenza non soltanto oggi ma anche domani e dopodomani. Naturalmente dobbiamo evitare di attribuire ai mezzi di comunicazione di massa più potere di quanto in effetti non ne abbiano, ma resta il fatto che il settore dell'informazione è uno dei più delicati nella moderna società e che riveste un' importanza eccezionale soprattutto se si tiene conto delle sue capacità di condizionamento.
E come ricorda V. Rovigatti, appare chiaro che " i mezzi tesi ad informare (a dare cioè notizie di interesse generale rivolte al pubblico e pertanto destinate ad una larga diffusione) hanno un grande ruolo nella formazione dell'opinione pubblica. Tanto più quando le notizie in sé e il modo con cui vengono presentate, sono capaci di sollecitare nel pubblico reazioni rapide e virtualmente contemporanee a carattere prevalentemente emotivo".
Uscire dal condizionamento significa avere la precisa consapevolezza che l'immenso potere dell'informazione non può non essere, a sua volta, condizionato da i giochi e dalle manovre di altri poteri come quello economico e quello politico. Il più condizionante dei poteri non sfugge esso stesso alla logica del condizionamento poiché spesso deve sottostare a regole che sono decise altrove e in funzione di interessi che non sempre hanno a che vedere con l'informazione stessa.
Tuttavia non è possibile dimenticare che il cosiddetto "quarto potere" in moltissime occasioni si rivela il "primo potere", la cui capacità di orientamento o, come è più realistico dire, di condizionamento è senza dubbio eccezionale e, in molti casi, decisiva. I mass media tendono a rafforzare più che a modificare i gusti, le opinioni e gli atteggiamenti del pubblico. Si rafforzano quindi gli atteggiamenti preesistenti, e i mutamenti che avvengono piuttosto raramente hanno bisogno di una lunga opera di convincimento.
Quando si affrontano, per esempio, argomenti ad alto valore conflittuale è molto probabile che non si producano cambiamenti ma piuttosto una radicalizzazione, un rafforzamento delle convinzioni di ciascuno. Questo rafforzamento è favorito da alcuni elementi e principalmente da una situazione sociale di maturità, una situazione stabile senza grandi problemi o, al contrario,da condizioni di crisi e di instabilità.
Secondo Klapper(1970). in una società stabile i mezzi di comunicazione di massa hanno in genere l' effetto di rafforzare le opinioni e gli atteggiamenti già esistenti, mentre in una società in crisi, visibile o latente,  essi tendono a promuovere il cambiamento, imprimendo una spinta all'azione, alle aspirazioni profonde e a quelle tendenze già presenti ma inespresse.
 
Tuttavia, è sempre più evidente l'intreccio tra il possesso di informazioni e la gestione del potere. La conoscenza e i sistemi di comunicazione non sono asettici o neutrali dal punto di vista del potere. Ogni "fatto" utilizzato negli affari,  nella vita politica e nei rapporti umani di tutti i giorni deriva da altri "fatti" o assunti chesono stati foggiati,  deliberatamente o no, dalla struttura di potere preesistente. Ogni fatto affonda quindi le sue radici nel potere passato e influisce su quello futuro: ha un impatto , grande o piccolo, sulla futura distribuzione del potere (Toffler 1991).
Per questa ragione il campo dell'informazione è in perenne stato di guerra, per ridefinire continuamente la mappa dei poteri a favore di questo o quel gruppo politico e/o economico, a seconda degli equilibri che via via si manifestano. Il risultato che con tale guerra si intende raggiungere è l' affermazione di un gruppo di potere e, conseguentemente, il dominio delle coscienze.
Il rapporto tra opinione pubblica e democraziaè strettissimo e di solare evidenza poiché la prima è il fondamento, la sostanza, della seconda.
Fino alla comparsa sulla scena dei mezzi di comunicazione di massa, l'esistenza di una pubblica opinione era garantita dai giornali e la qualità dell'informazione veniva assicurata da una stampa sostanzialmente libera e pluralistica. "In confronto alla stampa dell'epoca liberale, i mass media da un lato hanno raggiunto una forza di penetrazione e un'efficacia incomparabilmente maggiori: con essi si è estesa la sfera stessa della dimensione pubblica; dall'altro, si sono allontanati sempre più da questa sfera per penetrare in quella, un tempo privata, dello scambio di merci.
Quanto maggiore diventava la loro efficienza pubblicistica, tanto più essi diventavano accessibili alla pressione di interessi privati ben determinati, sia individuali che collettivi. Mentre prima la stampa poteva soltanto mediare e rafforzare il dibattito dei privati raccolti nel pubblico,  adesso, viceversa,  esso è plasmato dai mass media" (Habermas 1988).
Ma c'è anche la possibilità che l'opinione nel pubblico non sia per niente un'opinione del pubblico. Non sta scritto da nessuna parte che una opinione pubblica debba essere autonoma: può essere o essere resa eteronoma.
In entrambi i casi è un'opinione che si colloca materialmente nel pubblico ma la prima sta alla seconda come un originale sta ad un falso. Anzi, ancora di più, un'opinione pubblica prefabbricata eteronoma è non solo la contraffazione ma anche la negazione di un'opinione pubblica autonoma.
La distinzione tra opinione nel pubblico e del pubblico è una distinzione cruciale, essenziale se vogliamo osservare lo stato della società e della democrazia.
Va da sé che un'opinione pubblica pienamente autonoma o pienamente eteronoma costituiscono " idealtipi" che non possono esistere come tali nel mondo reale" (Sartori 1979).
Bisogna cercare di capire in quale modo e attraverso quali strumenti vengono a formarsi o vengono formate l’opinione pubblica.
K.W. Deutsch (1970) descrive un modello che individua una serie di processi discendenti,  a cascata, i cui salti sono intervallati da "vasche" nelle quali le acque si rimescolano continuamente. In questo modello i livelli, i serbatoi o le vasche della cascata sono cinque.
Nel primo livello,  secondo Deutsch, circolano e si confrontano le idee delle élite economiche, sociali e culturali.
Nel secondo livello si incontrano e si scontrano le idee e le visioni delle élite politiche e di governo.
Il terzo livello è costituito invece dalla rete delle comunicazioni di massa e quindi dal personale che trasmette e diffonde i messaggi,  ovvero gli operatori dell' informazione.
Al quarto livello troviamo invece i leader d'opinione a livello locale, e cioè quel 5-10 per cento della popolazione che ha un interesse diretto per la politica che partecipa attivamente allo svolgersi dei fatti sociali, che è attento ai messaggi dei media ed è in grado di decifrarne i contenuti evidenti e sottintesi, e che di conseguenza è punto di riferimento per importanti segmenti della popolazione. Questi opinion leader riconosciuti dal pubblico a livello locale, hanno la possibilità di orientare e di plasmare le opinioni dei gruppi sociali attraverso la propria lettura e interpretazione della complessità.
Il quinto livello,  infine, nel quale tutto confluisce è costituito dal demos, cioè dal serbatoio complessivo dei pubblici di massa...
A tutto ciò occorre aggiungere che nello stesso tempo, assistiamo alla nascita e alla crescita di una "opinione pubblica reticolare" che trova la propria ragion d'essere nella interpretazione dei fatti e dei problemi del vissuto quotidiano. Un'opinione pubblica che si forma dal basso e che guarda con sempre più evidente sospetto ai messaggi, alle idee, alle indicazioni che, attraverso il sistema dei mezzi di comunicazione di massa, giungono dall'alto.
Ecco perché è cresciuta nei soggetti della rappresentanza politica e istituzionale l'ansia di cogliere, di capire, di interpretare ogni sia pur lieve movimento o spostamento di opinioni odi interesse all'interno del corpo sociale.
Un'ansia dimostrata dalla proliferazione incredibile degli istituti e delle società di rilevazione demoscopica, dalla promozione a scienza esatta della doxometria e dalla proposizione ormai quasi ossessiva dei risultati di sondaggi sui qua li sempre più spesso sembra gravare il sospetto di un uso scorretto e strumentale. Tutto ciò "mette in luce le gravi responsabilità di quanti, sia pure con responsabilità diversa, hanno in mano il potere di "comunicare": editori e giornalisti, produttori e registi , emittente e programmisti e più in generale, operatori dei mass media" (Maccari1989).
“La comunicazione di massa e, più in generale, la cultura di massa, alimentano oggi quell'euforia dell' infelicità", come l'ha definita Marcuse, che riesce a incanalare le attese dell'uomo verso una ricerca della felicità racchiusa unicamente nel consumo, nel benessere materiale fine a se stesso, nell'evasione dai problemi reali, nella dimissione da ogni impegno comunitario" (Zanacchi1990).
...A tutto questo vi è da aggiungere il comportamento degli opinion leader, i quali, dimentichi delle loro responsabilità, non hanno alcuna vocazione pedagogica. Preferiscono mostrarsi e mostrare a tutti la loro sapienza per farsi riconoscere come portatori di una conoscenza che peraltro non sono disposti a condividere con nessuno."

Da questo saggio si possono trarre importanti spunti di riflessione.
Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione:  per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione"
Alla lunga, questo perverso meccanismo, produce anemia intellettuale, passività e pigrizia inconscia.
La maggioranza dei cittadini finisce per perdere così quella capacità di analisi critica nel leggere le notizie e, quindi, farsi un’opinione personale dei fatti e degli eventi di cui viene a conoscenza. 
Lo scopo del sistema al potere è quello di impedire l’accesso dei cittadini alle notizie oggettive e, al loro posto, offrire un complesso sistema informativo apparentemente pluralista ma sostanzialmente monolitico. L’informazione per il consumo di massa dirige tutto il sistema e le fonti di notizie “ufficiali” sono vitali all’interno di questo processo informativo globale.
In questo contesto, la stessa libertà di informazione è in serio pericolo anche perché i media a larga a diffusione appartengono a pochi grandi gruppi di imprese, che tentano di mantenere ed estendere il controllo su gran parte delle fonti ufficiali di informazione.
La posizione politico-economica di questi stessi gruppi dipende, a sua volta, sempre più, da contenuti prestabiliti e notizie preconfezionate (conflitto di interesse)
Si crea così un rapporto simbiotico tra chi diffonde le notizie e chi le fornisce. Gli oligarchi al potere ricercano a tutti i costi il consenso e lo fanno anche attraverso l’eliminazione delle voci libere e il consolidamento della proprietà dell’informazione nelle mani di pochi gruppi dominanti.

Il luogo comune che ha sempre accompagnato la nascita e la diffusione di Internet come canale di diffusione e propagazione dell’informazione è la sua intrinseca capacità di garantire una maggiore libertà di espressione. Web, blog, twitter, i contenuti viaggiano senza che nessuno possa realmente impedire che le voci vengano censurate.
Ma la verità è che Internet diventa un grande normalizzatore di stili di vita ed è il più grande strumento per colonizzare il pensiero di una moltitudine di persone che risiedono nei luoghi più diversi del pianeta.
Internet diviene infatti il "luogo" di legittimazione di una nuova "ufficialità", solo in apparenza estranea ai sistemi di formazione del dato-notizia propri dei media tradizionali 
In ogni momento di discontinuità tecnologica che ha accompagnato l’evoluzione dei media si è sempre determinato un ordine di potere economico più ampio del precedente.
I padroni dell’industria mediatica sono oggi dei colossi che un tempo nessuno immaginava potessero esistere. Se da una parte i costi di accesso a internet rendono possibile a singoli e piccoli gruppi di portare la propria voce sulla rete è altresì vero che i capitali che possono garantire l’esercizio di un vero impero mediatico sono alla portata di pochissimi gruppi i quali tendono ad avere interessi plurimi in quella che è oggi diventata la comunicazione convergente video-dati-voce, declinata attraverso il controllo di più media, Internet-TV-Giornali.

In buona sostanza significa essere nella possibilità di immettere sul mercato risorse di un ordine di grandezza tale da mettere a rischio l’esercizio di una libera informazione in quanto condiziona le dinamiche degli investimenti pubblicitari, fonte primaria di sostenibilità del giornalismo.
E nell’era dell’informazione su internet, il fattore egemonico diventa la tecnologia.
Di fatto lo è sempre stata, ma oggi, rispettando la logica che ha finora ha mosso l’industria dell’informazione, lo diventa in modo ancor più evidente.
Piattaforme di distribuzione, infrastrutture di comunicazione sono gli elementi attraverso cui si esercita il nuovo oligopolio dell’industria mediatica. La disponibilità di capitali diventa prioritaria. Murdoch, attraverso le risorse finanziarie che ruotano attorno a News Corporation, è oggi impegnato nel tentativo di estendere il proprio impero sino a mettere in pericolo l’equilibrio che determina libera concorrenza e libero mercato. Google, elemento centrale e trasversale di intermediazione delle notizie, investe nei canali di comunicazione emergente che tendono a divenire essenziali in termini di distribuzione di contenuti e pubblicità, come il mobile e la TV.
A ulteriore testimonianza dell’iperattivismo che mobilita ingenti risorse finanziarie e crea il nuovo oligopolio dell”industria dei media, è anche l’ipotesi di fusione tra AOL e Yahoo!
E il rischio, o l’inevitabile conseguenza con cui dovremmo convivere e misurarci, è quello di una omologazione sempre più forte dei messaggi, in una cornice di novità e di contrapposizione al passato- abilmente ostentata, che, in realtà, sono esclusivamente tese a evolvere, con maggior efficacia, il sistemo di potere teso all'orientamento dei comportamenti della massa dei fruitori-consumatori della notizia e, in definitiva, del tipo di "prodotto" che essa inevitabilmente sottende.


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