Per chi, a suo tempo se lo fosse perso, in questo post abbiamo spiegato cosa sia la "precomprensione", più o meno definibile nei seguenti termini:
"...uno dei problemi più indagati dalla teoria generale del diritto. Sul quale si sono cimentati non solo i più illustri filosofi del diritto italiano (Betti, Calcaterra, Bobbio), ma che è stato decisivamente indagato dai pensatori tedeschi. Con conclusioni interessantissime, che partono da Aristotele, Cicerone, Ulpiano, e Leibniz (per citarne alcuni) e sono culminate nel concetto di "precomprensione", intesa come "anticipazione del senso" dell'interpretazione anteriore, cioè "pregiudiziale" alla stessa lettura del dato normativo.
Va da sè (per i più appassionati di linguistica e di psicanalisi) che il fenomeno di tale "anticipazione pregiudiziale del senso" lo si è anche indagato alla luce di...Freud e Lacan. Ma ovviamente vi risparmio questo interessantissimo versante.
Il concetto di "precomprensione" lo dobbiamo, in particolare a Gadamer, per alcune forme a Wittengstein, e a Viehweg. Come ci illustra questo interessantissimo studio non a caso intitolato "Ermeneutica e pluralismo":
"L’interpretazione in quanto tale non è mai un fine ultimo. Si interpreta al fine di comprendere. Ma a sua volta il comprendere, a differenza del conoscere puro e semplice, ha un carattere pratico, cosicché esso porta in sé le ragioni per cui si vuole comprendere. Anzi queste ragioni precedono il comprendere e contribuiscono a determinare e ad orientare la precomprensione.
L’interpretazione come attività acquista un senso proprio perché avviene all’interno di una preliminare comprensione, che è il vero e proprio luogo del «senso». Ogni attività ha un significato solo all’interno di una totalità di senso. Di conseguenza la comprensione precede e condiziona l’interpretazione che a sua volta la sviluppa, la corregge e la libera dai fraintendimenti."
Ora Krugman, in questo articolo riportato dal Sole24 ore, ci fornisce un caso di precomprensione non dissimile da quello che aveva dato spunto al nostro post: in quel caso si trattava della famosa mission della BCE e di come, senza alcun dubbio, una sua corretta lettura testuale e sistematica portasse a includervi la piena occupazione. Per enunciato di espresso rinvio al (tristemente) famoso art.3, par.3, del Trattato sull'Unione da parte degli artt.127 TFUE e 2 Statuto BCE, (protocollo 4 ai Trattati), che appuntodefiniscono la "mission" in questione.
Ma transeat, la questione è superata dagli eventi, dato che, come abbiamo altrettanto visto (par.11), c'è un concetto di "piena occupazione", proprio della teoria macroeconomica neo-classica, che è stato adottato senza alcuna remora e che prevale, in base alla forza bruta del diritto internazionale, quello dove il forte ha sempre ragione (cioè la Germania), ragion per cui la piena occupazione è quella che fa comodo alla "stabilità finanziaria" e alla aspettative inflazionistiche degli operatori razionali. Punto.
Invece qui si tratta di precomprensione nella lettura del ciclo economico mondiale. L'effetto che descrive Krugman è quasi comico:
"I sadomonetaristi di Basilea
Questo mese il Wall Street Journal ha richiamato l'attenzione su un discorso di Jaime Caruana, il direttore generale della Banca dei regolamenti internazionali, che metteva in guardia dai pericoli del denaro facile ed esortava ad alzare subito i tassi per evitare… non si sa bene cosa.
Questo mese il Wall Street Journal ha richiamato l'attenzione su un discorso di Jaime Caruana, il direttore generale della Banca dei regolamenti internazionali, che metteva in guardia dai pericoli del denaro facile ed esortava ad alzare subito i tassi per evitare… non si sa bene cosa.
E le sue opinioni pesano, secondo il Wall Street Journal: «Caruana non è un falco scornato che è stato messo in minoranza nel consiglio direttivo di un organismo economico e cerca disperatamente di mettere le cose in chiaro», ha scritto Geoffrey Smith sull'edizione online. «Caruana è il portavoce di un consesso globale di banchieri centrali, quasi tutti costretti a far fronte alle pressioni fortissime dei rispettivi Governi nazionali perché tengano i piedi la baracca mentre loro cercano di riparare l'economia. Le sue opinioni contano anche per un'altra ragione: la Bri è una delle poche istituzioni finanziarie internazionali (secondo qualcuno l'unica) che ha visto arrivare la crisi finanziaria e ha lanciato avvertimenti chiari per tempo».
Davvero la Bri è stata così preveggente? Vediamo un po': quello che ricordo io - e che il Wall Street Journal apparentemente non ricorda - è che da anni la Bri mette in guardia dai pericoli dei tassi di interesse bassi. Peccato che un paio di anni fa raccontasse una storia completamente diversa sul perché dovevamo alzare i tassi: il grande pericolo allora era l'inflazione imminente. Un articolo di Bloomberg del 27 giugno 2011 diceva: «Le pressioni inflazionistiche a livello globale stanno aumentando rapidamente, per via dell'impennata dei prezzi delle materie prime e dei limiti di capacità produttiva che frenano la ripresa globale», ha detto la Bri, l'organismo che svolge il ruolo di Banca centrale delle Banche centrali. L'accresciuto rischio di inflazione impone un aumento dei tassi di riferimento».
In realtà l'inflazione viaggia al di sotto del target praticamente ovunque.
Verrebbe spontaneo aspettarsi, a questo punto, che la Bri faccia marcia indietro e riveda le sue raccomandazioni di politica economica e i criteri che usa per estrapolarle. Sì, figuriamoci.
I tassi alti sono sempre la soluzione: quello che cambia è soltanto il problema che dovrebbero risolvere."
Verrebbe spontaneo aspettarsi, a questo punto, che la Bri faccia marcia indietro e riveda le sue raccomandazioni di politica economica e i criteri che usa per estrapolarle. Sì, figuriamoci.
I tassi alti sono sempre la soluzione: quello che cambia è soltanto il problema che dovrebbero risolvere."
Vedete come dunque il "comprendere" porta necessariamente in sè le ragioni per cui si vuole comprendere. Questo fissa la precomprensione in modo tale che l'interpretazione, qualsiasi operazione di interpretazione (che è poi la normale modalità cognitiva umana), diviene "valida" se ci liberiamo di queste ragioni, cioè degli INTERESSI PERSONALI, che ci conducono sì a voler interpretare le cose -un testo, i dati economici, le correlazioni che se ne possono indurre-, ma ne alterano i risultati, preorientandoli.
Quindi, senza questa depurazione dell'elemento "personale", non si può assumere come attendibile un'interpretazione. O meglio, la si deve prendere per quello che è: UN PUNTO DI VISTA DI UN PORTATORE DI INTERESSE.
La domanda allora è: ma perchè dobbiamo assumere sempre e comunque quell'interesse come oro colato? Perchè alla fine dei giochi è questo che accade.
Anche qui la risposta è abbastanza semplice: se si prende come prevalente, prioritaria, addirittura insindacabile, una interpretazione interessata, vuol dire che quell'interesse è quello che ci governa. E ci governa proprio perchè ha la forza di imporsi, cioè di caratterizzare l'indirizzo generale impresso alla società dalla classe dirigente.
I governi, infatti, poi, propongono ai parlamenti leggi che sono conformi a quella interpretazione e i parlamenti le approvano. Vi hanno spiegato qualcosa? Vi hanno fatto votare in qualche elezione, per caso, perchè le leggi fossero, in ultima analisi, dettate dai banchieri centrali riuniti in consesso e preoccupati di determinati interessi?
I governi, infatti, poi, propongono ai parlamenti leggi che sono conformi a quella interpretazione e i parlamenti le approvano. Vi hanno spiegato qualcosa? Vi hanno fatto votare in qualche elezione, per caso, perchè le leggi fossero, in ultima analisi, dettate dai banchieri centrali riuniti in consesso e preoccupati di determinati interessi?
Noooo. Eppure è così.
Ovviamente non vengono direttamente votate leggi che determinano i tassi di interesse. Vengono votate leggi che approvano-ratificano-ordinano l'esecuzione di trattati, come quello di Maastricht, i quali dicono che le banche centrali non prendono istruzioni dai governi e non possono sollecitarle (ma ovviamente dipende sempre dalla legge del più forte, e quindi la Germania tende un "pochettino" a impartire istruzioni alla BCE) e che stabiliscono i tassi di interesse per garantire in assoluto sempre e comunque la "stabilità dei prezzi".
Dopodicchè, uno Stato sa che la politica monetaria avrà quell'unico e unilaterale indirizzo, e provvederà a fare politiche deflattive, mediante ulteriori leggi conformi a tale obiettivo e...come va a finire lo sapete, diciamo che si riflette sui salari reali e sul livello d occupazione, fino a innescarsi output gap strutturale e politiche pro-cicliche recessive.
E' evidente che questo tipo di precomprensione ci assoggetta agli interessi della banche, perchè di questi sono portatori i banchieri centrali una volta che li si rende assolutamente indipendenti dal governo ma dipendenti dalle banche- che pure dovrebbero controllare- le quali invece sono direttamente o indirettamente proprietarie del capitale delle banche centrali "indipendenti".
Insomma, si attiva un processo, che è ormai solo europeo (par.5), perchè solo in UEM la indipendenza raggiunge la sua forma più pura di assoluta impenetrabilità a qualsiasi interesse dei cittadini, tipo la "piena occupazione" (che poi sarebbe la domanda,in essenza), provvedendosi a formulare la "mission" in termini che sembrano fatti su misura per gli interessi bancari, privilegiando la stabilità dei prezzi, e relegando a un concetto furbesco comprimibile a piacimento gli altri possibili obiettivi della politica monetaria.
I creditori, cioè le banche, hanno infatti interesse a che l'inflazione sia bassa per tutelare il capitale prestato agli Stati (e già sappiamo che questa è una scelta politica degli Stati) nonchè ai privati, lucrando, preferibilmente, interessi reali positivi, cioè superiori all'inflazione.
Se poi ci mettiamo che i banchieri, nei prestiti all'interno dell'area UEM, sono anche garantiti dal "rischio di cambio", abbiamo chiuso il cerchio e spiegato perchè esiste l'euro. L'euro, realizzato da un gruppo di banchieri chiusisi in una stanza (ma pensa un pò); e anche perchè poi esistono le banche centrali indipendenti, la deflazione salariale, l'alta disoccupazione come effetto super-prevedibile di tutto ciò, e in una parola una crisi strutturale di domanda. Che nessun governo vuole affrontare: perchè dovesse dare fastidio agli interessi di chi ci governa veramente.
Dopo arriva l'inflazione!
Lo sapevate quanto incide l'inflazione in termini di crescita sul PIL secondo gli studi del FMI? Fino al 4% nulla; sopra il 4% di 0,1 punti di PIL per ogni punto di inflazione. Quindi un'inflazione al 10% fa perdere 0,6 punti di PIL: ma...ceteris paribus. Cioè, invece di decidere di "crescere con l'austerity", negando il trade-off tra inflazione e disoccupazione e provocando recessione, si possono assumere, a sostegno della domanda reale, provvedimenti adeguati, come meccanismi di indicizzazione dei salari e delle tariffe, praticate da aziende pubbliche di erogazione dei servizi essenziali. Mica possibili se sono aziende privatizzate "lo vuole l'europa", e governate dalla logica finanziaria degli azionisti di controllo, che non garantisce alcuna maggior efficienza, tra l'altro.
Che poi alla fine, tutte queste misure di contenimento "non salariale" dell'inflazione e dei suoi effetti, non dipendono tanto dalla grazia divina e dal caso. Quanto piuttosto dalla volontà di assolvere o menocompiti che sono costituzionalmente affidabili allo Stato, su utilità erogabili anche in produzione diretta, secondo l'art.43 Cost.; nonchè dall'indirizzo politico di uno Stato che ammetta la autonomia negoziale collettiva come effettiva realizzazione del dettato costituzionale (artt.4, 36 e 39 Cost.).
Quindi alla fine, si tratta solo di scegliere tra modelli di società che vogliamo: o quello della Costituzione, fissato in norme di valore supremo e la cui interpretazione (un tempo) non soffra delle "rimozioni" della logica che oggi paiono oscurarla, o quello proposto dalla interessata "precomprensione" dei banchieri centrali.
Che poi alla fine, tutte queste misure di contenimento "non salariale" dell'inflazione e dei suoi effetti, non dipendono tanto dalla grazia divina e dal caso. Quanto piuttosto dalla volontà di assolvere o menocompiti che sono costituzionalmente affidabili allo Stato, su utilità erogabili anche in produzione diretta, secondo l'art.43 Cost.; nonchè dall'indirizzo politico di uno Stato che ammetta la autonomia negoziale collettiva come effettiva realizzazione del dettato costituzionale (artt.4, 36 e 39 Cost.).
Quindi alla fine, si tratta solo di scegliere tra modelli di società che vogliamo: o quello della Costituzione, fissato in norme di valore supremo e la cui interpretazione (un tempo) non soffra delle "rimozioni" della logica che oggi paiono oscurarla, o quello proposto dalla interessata "precomprensione" dei banchieri centrali.