Questo contributo nasce dalla mitica collaborazione di Flavio e si è trasformato in una sorta di post "a quattro mani". Probabilmente non è che la cronaca delle avvisaglie della crisi USA-Germania che si svilupperà nei prossimi mesi.
Lo "spirito" di questa congiutura internazionale, senz'altro "eccezionale", che stiamo vivendo può essere già racchiuso, come chiave di lettura del post, in queste parole di Bibow (più sotto linkato):
“From a global perspective, not only is Euroland shamelessly freeloading on external growth to offset suffocation of domestic demand through mindless area-wide austerity (see Figure 19), but adding insult to injury, Euroland is also hijacking the IMF as global sponsor in backstopping the EFSF/ESM (European Stability Mechanism) “firewall” for its purely homemade internal crisis. German mercantilism had given rise to regional imbalances and global tensions in the pre-EMU past.
The euro has multiplied Germany’s weight—and the gravity of German policy views—in the global economy. Effectively, Germany, the world champion of moral hazard talk, is holding the world community hostage to a “too big to fail” global risk “made in Germany” today: arising as the potentially lethal mix of a dysfunctional monetary union paired with the economic consequences of Germany’s denial of her euro trilemma. It is one thing that, by freeloading on external growth, Euroland is reneging on its commitments to the G-20 process of global rebalancing. It is quite another for Euroland to create the world’s foremost threat to stability by self-inflicted folly and to not even be ashamed of “marshalling support from countries that are either more fiscally challenged or a lot poorer than the eurozone itself” to bail it out (Bibow 2012b).”.
Lo "spirito" di questa congiutura internazionale, senz'altro "eccezionale", che stiamo vivendo può essere già racchiuso, come chiave di lettura del post, in queste parole di Bibow (più sotto linkato):
“From a global perspective, not only is Euroland shamelessly freeloading on external growth to offset suffocation of domestic demand through mindless area-wide austerity (see Figure 19), but adding insult to injury, Euroland is also hijacking the IMF as global sponsor in backstopping the EFSF/ESM (European Stability Mechanism) “firewall” for its purely homemade internal crisis. German mercantilism had given rise to regional imbalances and global tensions in the pre-EMU past.
The euro has multiplied Germany’s weight—and the gravity of German policy views—in the global economy. Effectively, Germany, the world champion of moral hazard talk, is holding the world community hostage to a “too big to fail” global risk “made in Germany” today: arising as the potentially lethal mix of a dysfunctional monetary union paired with the economic consequences of Germany’s denial of her euro trilemma. It is one thing that, by freeloading on external growth, Euroland is reneging on its commitments to the G-20 process of global rebalancing. It is quite another for Euroland to create the world’s foremost threat to stability by self-inflicted folly and to not even be ashamed of “marshalling support from countries that are either more fiscally challenged or a lot poorer than the eurozone itself” to bail it out (Bibow 2012b).”.
Persino La Repubblica inizia ad accorgersene (registrando il tutto con una algida equidistanza, senza capire i risvolti potenzialmente favorevoli alla nostra dignità di democrazia, una volta, almeno formalmente indipendente di gestire i propri interessi sociali ed economici; anche se c'è chi ancora crede che la Nato sia un problema di sovranità limitata più urgente del fiscal compact o dell'ESM, ancora ignorando il significato del pareggio di bilancio imposto "esogenamente" nella nostra Costituzione). E così commentava la visita di Obama a Berlino:
"Il clima resta amichevole, ma la freddezza lo rende sempre più irriconoscibile, ogni anno che passa. Quando ieri il capo della Casa Bianca ha affermato che «per l'eurozona non c'è una soluzione unica», ha trovato in Merkel orecchie fredde, quasi ostili: quel giardino di casa è tedesco, non americano. Il pretesto per la loro svolta a 180 gradi, i leader tedeschi lo usano sfacciati: l'America comunque guarda più verso l'Asia, affermano.
È con la Cina che Volkswagen, Siemens, i responsabili di Istruzione e ricerca scientifica firmano le intese più importanti a raffica. La conclusione del settimanale di Amburgo (Sueddeutsche Zeitung, ndr.) non lascia dubbi: «I tempi in cui Usa e Germania si sentivano legati da una comunità di destino e sorpassavano piccoli disaccordi appartengono ormai al passato»."
Qualche mese fa, nell'ambito di questa analisi, avevamo ricordato:
"...la Germania ha radicalmente riconsiderato il proprio posizionamento strategico, avvicinandosi ai nuovi centri di gravità del pianeta – i BRICS– che stanno trasferendo l’asse della crescita mondiale dall’Atlantico all’Oceano Indiano e al Pacifico, aprendo prospettive nuove e profondamente rivoluzionarie per l’intero continente europeo. Qualora la Germania si cimentasse seriamente nel tentativo di trainare l’Europa sul solco tracciato da Berlino, potrebbe ipoteticamente prendere forma uno dei pericoli contro cui Zbigniew Brzezinski ha ostinatamente messo in guardia gli Stati Uniti. «Per dirla in una terminologia che richiama l’età più brutale degli antichi imperi – scrive Brzezinski – , i tre grandi imperativi della geostrategia imperiale statunitense sono impedire la collusione e mantenere la dipendenza della sicurezza tra i vassalli, tenere i tributari deboli e protetti, e impedire ai barbari di unirsi». Una “unione dei barbari” che potrebbe comportare significative “discontinuità” negli scenari futuri."
Ora, in questo quadro molto attuale, che si proietta anche sullo scenario cooperativo con i partners europei che gli USA vorrebbero mantenere rispetto alla crisi in Medio-oriente, (dove rischia fortemente di acuirsi una riedizione della contrapposizione con la Russia), le mosse geopolitiche della Germania si sommano ad un atteggiamento conflittuale del suo sistema bancario con le autorità finanziarie USA.
La cosa è aggravata dal fatto che, dell'istituto principale protagonista di questa frizione ormai esasperata, cioè la "solita" Deutschebank, lo Stato federale è ormai un azionista non di secondo piano (nell'ambito di una sostanziale compartecipazione su Deutsche-Postbank, operazione che ha dato vita all'acquisizione statale della partecipazione). Così come, anche a seguito del noto salvataggio di Hypo Real Estate, lo Stato tedesco è il crescente azionista di sistema dell'intero sistema bancario (v. Commerzbank, KFW, equivalente alla nostra Cassa Depositi e Prestiti, e centinaia di altri istituti bancari di livello locale).
La conflittualità, ormai chiaramente intrecciata, tra USA-Germania-membri UEM (specie PIGS) non è estranea a questo ruolo dello Stato federale, interessato alla copertura delle relative "colossali" magagne di bilancio, e conferma come il terreno finanziario sia quello dove oggi si esplicano i conflitti tra "aree economiche", pur sempre nazionali, anche se dissimulate, nel caso dell'UEM, sotto le vesti dell'ipocrita sogno internazionalista europeo.
Le "torsioni" geopolitiche tedesche sono quindi l'altra faccia della medaglia dello scontro bancario mondiale: la Germania "esporta" l'instabilità finanziaria mediante una condotta bancaria spregiudicata e spesso poco accorta, ma finchè si rimane in UEM, la fa pagare ai partners commerciali, su cui esercita ormai una ferrea "presa" (col "tallone"), ma poi negli USA il discorso cambia e si assomma alla strategia del Drang Nach Ost commercial-finanziaria.
Ed è qui, col suo eloquente significato di contrapposizione accelerata praticamente su...tutto, che si colloca la questione Fed-Deutschebank, su cui ci dà lumi l'analisi di Flavio.
Prendiamo spunto dai due commenti di Paolo Giusti e Matteo Di Felice per porci due ottimi quesiti in chiave “frattalica”. Paolo si chiede: c’è già stata, a livello globale, una Casablanca come nella Seconda Guerra Mondiale? Marco invece sottolinea: oh, Deutsche Bank è “orribilmente sottocapitalizzata” ?
Cercheremo di essere veloci, chiari e concisi e tenteremo di saldare insieme le due cose. Perdonate le sbrigatività ma, di questi tempi, alle volte essa sembra essere davvero tutto. Innanzitutto partiamo dall'interessante articolo di Mauro Bottarelli, che utilizza la fonte Zerohedge per inquadrare bene come e dove “stiamo andando”. Il suo ottimo articolo dà un quadro generale della situazione che si sta delineando nell’attuale contesto economico mondiale, soprattutto nella parte finale dove si dice chiaro e tondo una cosa: come durante il primo dopoguerra, dove sussidiando la macchina bellica nazista diede il via all’escalation che portò al secondo conflitto mondiale, anche al giorno d’oggi il modello finanziario tedesco è messo sotto accusa, per la sua spregiudicatezza e per l’idiosincrasia recondita a qualsivoglia forma di controllo, sia da parte dell’amministrazione americana che, soprattutto, dagli organi di controllo federali statunitensi: v. http://dealbook.nytimes.com/2013/01/31/deutsche-banks-lonely-fight-with-the-fed/ . Perché? Cosa c’è dietro questa amicizia di facciata, dimostrata all’ultimo G8 nonostante le frecciatine di Obama alla Merkel sulla fine dell’austerità, che sotto le ceneri nasconde invece un crescente nervosismo fra la classe dirigente americana e la cancelleria tedesca?
Il soggetto della nostra discussione è, come già accaduto, Deutsche Bank. Dobbiamo quindi aver ben presente cosa abbiamo già riportato su questo blog in merito a tale argomento e come essa si muova nel contesto europeo e mondiale. Sappiamo bene d’essere di fronte ad un colosso finanziario globale. Ma, per illustrare al meglio la situazione paradossale in cui ci troviamo, cerchiamo di partire dal principio. Tutto, o quasi, ha inizio all’indomani del collasso della Lehman Brothers del 2008.
Negli USA il debito privato esplode dopo decenni di redditi in caduta libera, cioè un frutto liberista che oggi essi stessi trovano sempre più avvelenato, i mutuatari subprime non riescono più a far fronte alle rate dei loro mutui, le banche si ritrovano con crediti inesigibili e case invendibili, il sistema finanziario americano (e non) collassa.
La FED si vede costretta ad intervenire e mette sul piatto tutte le risorse disponibili per evitare il peggio, cercando di salvare tutti, o quasi, gli istituti più importanti, nazionali e stranieri. Diviene quello che potremmo definire “the global lender of last resort” . Come avviene ciò? La Fed selezionaquattordicibanche centrali stranieree garantisce lorolineedi swap in dollaricon lo scopo difornire liquidità (indollari)alle banche con controllate sotto giurisdizioneestera (statunitense), inoltre presta soldi direttamente alle filiali americane delle banche europee facenti parte della Federal Reserve System per garantire loro tutta la liquidità necessaria ad evitare il peggio.
La BCE riceve fondi nella misura dell’80% elargito alle 14 BC estere selezionate dalla FED mentre le banche inglesi e tedesche assorbono rispettivamente il 27% ed il 24% dei fondi prestati alle sussidiarie straniere.
Perché la FED ha agito in tal modo? Per preservare l’integrità finanziaria statunitense (e globale) all’indomani del collasso Lehman “salvando” le banche estere su cui le banche americane stesse erano più esposte (cfr. pag. 14 primo .pdf). La Fedha concesso prestitidi ultima istanzaalle banche straniere poichèhanno sperimentatogravicarenze di fondiin dollari dopo che i mercatiinterbancari a breve termine si erano di fatto congelatinell’ottobre 2008. Questecarenze didollari sono stateuna conseguenza direttadellacrescita esplosivadelleattività bancarie transfrontalieredopo il 1999.
Le banche estere, in particolare quelle europee,hanno cominciatoad accumularegrandi quantità diattività denominate in dollari, tra cui titoli garantiti da ipoteca(MBS), tramiteilsistema bancario “ombra”, raggiungendo il piccodi oltre10.000 miliardi dollari poco prima della crisi, un importo pari altotale degli attividelsettore bancario commercialedegli Stati Uniti. Le banche estere finanziavano i loro subprime assets, tutti di lungo periodo, con sul breve via swap, sul mercato monetario o acquistando valuta nazionale americana. Nell’ottobre 2008, con l’interbancario congelato, non avevano di fatto più fondi per poter rinnovare le loro posizioni.
E’ qui che la Fed ha agito da prestatore di ultima istanza globale, garantendo attraverso le linee di swap dollari alle banche centrali selezionate, girati poi agli istituti richiedenti, oppure garantendo accesso diretto ai prestiti alle sussidiarie straniere operanti sul suolo americano secondo quanto affermato nel Federal Reserve Act del 1913, secondo cui la FED ha la responsabilità di impostare la politica monetaria e garantire la stabilità dei mercati finanziari.
E’ qui che la Fed ha agito da prestatore di ultima istanza globale, garantendo attraverso le linee di swap dollari alle banche centrali selezionate, girati poi agli istituti richiedenti, oppure garantendo accesso diretto ai prestiti alle sussidiarie straniere operanti sul suolo americano secondo quanto affermato nel Federal Reserve Act del 1913, secondo cui la FED ha la responsabilità di impostare la politica monetaria e garantire la stabilità dei mercati finanziari.
Parliamo di una cifra vicina ai 30mila miliardi di dollari di cui le banche straniere (e loro controllate) furono le maggiori beneficiarie. Diamo un po’ di numeri: 77,5 i miliardi sul totale dei 110,5 totali prestati al picco delle richieste nell’ottobre 2008 agli istituti “stranieri”; 290 e 287 i miliardi, con acquisto di MBS, elargiti rispettivamente a Deutsche Bank e Credit Suisse; il picco di debiti, come paese, nei confronti della FED da parte di UK e Germania, rispettivamente di 355 e 325 miliardi di dollari. Non male!!!
A tali cifre aggiungiamoci l’oramai tristemente famoso affare Taunus Corp., controllata americana della Deutsche Bank, che a fronte di assets pari a 396 miliardi di dollari aveva un patrimonio netto passivo di 1400 miliardi (cioè le sue passività erano maggiori delle sue attività), salvata con ben 66 miliardi di dollari dalla FEDNY nel 2008. Oltre a ciò aggiungiamoci pure gli 11,8 miliardi per il salvataggio della AIG, che direttamente ha beneficiato sia la Deutsche Bank che la Taunus. Leggendo quanto affermano Simon Johnson e Mark Jarsulic sul blog del New York Times la questione diventa più chiara:
“Gran parte delle sue (della Taunus Corp.) passività, all’incirca 294mld di dollari, consisteva in indebitamento a breve in dollari… attraverso depositi non assicurati, repo, ecc… Non è chiaro di quanto aiuto la controllante (Deutsche Bank ndr.) avrebbe dovuto o voluto fornire alla sottocapitalizzata Taunus. Ma il governo degli Stati Uniti non ha scelto di scoprirlo, perché il fallimento accompagnato da vendite forzate di centinaia di miliardi di dollari in attività denominate in dollari avrebbe potuto produrre un altro scivolone in stile Lehman… la Federal Reserveè intervenuta persostituirei creditoria breve termine chehanno scelto dimollare Taunus. L’Indebitamento della Taunus-attraverso lafinestra di sconto, laTerm Auction Facility, laPrimaryDealerCredit Facility, laTerm SecuritiesLendingFacility,Single-Tranche Open Market Operations–raggiunse i 66 miliardi dollarinel mese di ottobre2008. La Federal Reserveha anche iniziatoenormicurrency swapconla Banca centrale europea, rendendo possibile perla DeutscheBankscambiareeuro perdollarie soddisfare le esigenzedi finanziamentoin dollari diTaunus... Deutsche Bank (e indirettamente Taunus) è stata fortemente favorita dalla decisione da parte della Fed e del Tesoro di attuare il salvataggio del gigante assicurativo AIG per cui Deutsche Bank ha ricevuto 11,8 miliardi dollari (quali pagamenti relativi ai CDS AIG e a prestiti che altrimenti non sarebbero stati saldati). Taunus haricevutoquestoaiuto da parte delgoverno degli Stati Unitiperché il suofallimentoavrebbeintensificatouna situazionefinanziaria giàcaotica… la Federal Reservesapeva che, una voltapassata la tempesta, le attività delTaunussarebbero state sufficienti aripagarei suoi creditori. Ma i dati contabili dicevano ben altro, enon è stato possibileperla Fedo chiunque altropoter stimare i valorifondamentali delleattività situatenelle180e piùfilialiTaunus. Taunusha ottenutoil sostegno del governoStatiUnitiperché erasemplicementetroppo grande e troppointrecciata conil sistema finanziario americanoper poter fallire.”.
Detto in parole povere, la FED ha praticamente salvato la Taunus Corp., la Deutsche Bank e la Germania stessa. Pazzia? Vogliamo dare uno sguardo all’esposizione sui derivati della DB o ai suoi “fondamentali” ? Praticamente la DB sembra avere i tratti “somatici” di una dead bank walking. Vogliamo immaginare cosa succerebbe se passasse una nuova legislazione che ricalcasse ed implementasse il Glass Steagall Act entrato in vigore negli anni ’30 ed abolito dall’amministrazione Clinton? Possiamo dire che DB si troverebbe tutto a un tratto fallita? Non siamo molto lontani dalla realtà.
Eppure, nonostante tutto ciò ed i grossi rischi corsi in passato, lontano dai nostri sguardi, Deutsche Bank non ha perso la sua voglia di business, dimenticandosi alla grande dei “piccoli” problemi causati a livello globale (http://www.bloomberg.com/news/2013-05-21/deutsche-bank-seeks-to-avoid-law-suits-with-board-changes.html). Lasciando da parte i presunti scandali di sessismo, dalle parti di Francoforte ci sono problemi con:
- “amici” di vecchia data che reclamano soldi http://www.bloomberg.com/news/2013-04-22/deutsche-bank-margin-call-on-vik-turns-into-2-5-billion-dispute.html;
- ex- dipendenti gole profonde http://www.dagospia.com/rubrica-4/business/il-buco-del-crucco-ora-che-la-sec-di-obama-ha-messo-sotto-inchiesta-47807.htm;
- cause intentate dall’amministrazione metropolitana di L.A. per l’acquisto di oltre 2.200 case lasciate poi andare in rovina nei bassifondi della città http://www.bloomberg.com/news/2013-06-18/deutsche-bank-settles-los-angeles-slumlord-lawsuit.htm;
- Le autorità di regolamentazione bancaria americana: Deutsche Bank ealtre bancheestere conimportanti controllatenegli Stati Uniti sono sotto la lentedella FED, che tentadi costringerle asoddisfare gli standarddi capitalelocali causando, a detta loro, maggior propensione alfallimento.La Fedrichiede infatti che talibanche stabiliscano delle holdingintermediea capo delleloro filialistatunitensi,come indicato dalDodd-Frank Act del 2010.
Alla pari delle banchedegli Stati Uniti,tali holdingdovrebberosoddisfare gli standarddi capitalee sottostare aglistress test a cui verrebbero sottoposte. La regolaentrerebbe in vigore1 luglio 2015 e, viste le esposizioni e le scarne capitalizzazioni degli istituti tedeschi, danno il mal di testa a DB e soci, visto che per la sola Taunus mancherebbero ben 12 miliardi di euro;
Alla pari delle banchedegli Stati Uniti,tali holdingdovrebberosoddisfare gli standarddi capitalee sottostare aglistress test a cui verrebbero sottoposte. La regolaentrerebbe in vigore1 luglio 2015 e, viste le esposizioni e le scarne capitalizzazioni degli istituti tedeschi, danno il mal di testa a DB e soci, visto che per la sola Taunus mancherebbero ben 12 miliardi di euro;
- la rabbia degli azionisti a cui è stato chiesto di partecipare ad un aumento di capitale di 2,8 miliardi tre mesi dopo che l’attuale amministratore delegato Anshu Jain aveva detto che tale operazione non era nel loro interesse: http://www.bloomberg.com/news/2013-05-23/jain-halts-speech-as-deutsche-bank-protestors-vent-anger.html;
- i problemi per soddisfare i parametri di Basilea III http://www.bloomberg.com/news/2013-05-21/deutsche-bank-cut-by-jpmorgan-on-concern-over-capital.html e la relativa sottocapitalizzazione.
Bottarelli al termine del suo articolo si chiede quali siano le cause di questo attacco a Deutsche Bank e, di conseguenza, al sistema finanziario tedesco. Difficile capirlo. Ma i fatti parlano chiaro. Vista l’abnorme esposizione di Deutsche Bank e delle sue controllate, gli Stati Uniti stanno chiedendo una massiccia ricapitalizzazione e controlli sugli operati delle banche. Un po’ come accade in UE dove si vorrebbe l’Unione bancaria che è vista dalla BuBa di Weidmann come fumo negli occhi. Dare il via a tali controlli significherebbe aprire il vaso di pandora delle omissioni dell’istituto di Francoforte proprio mentre i tedeschi impongono manovre lacrime e sangue per rientrare dai loro crediti al consumo sparsi in tutta Europa.
Gli Usa hanno praticamente salvato le terga della Germania all’indomani dello scoppio del bubbone Lehman, ed ora pretendono, a ragione o torto non sta a noi dirlo, di poter in qualche modo avere voce in capitolo anche nelle questioni dell’Eurozona.
Se non altro assistiamo a una pressione USA anti-austerity, che non passa certo, come da certi commentatori italiani si vorrebbe indurre, per la richiesta all'Italia di riforme strutturali che involgano, in questa fase, drastici tagli della spesa pubblica (si invocano 73 miliardi di tagli, senza sapere bene quale sia l'attendibilità del calcolo effettuato dall'Istat rispetto alla variazione comparata dei costi e senza sapere bene quali siano i volumi del bilancio statale su cui operare la comparazione: ma sul punto torneremo prossimamente). Gli USA, col fiscal cliff, stanno sperimentando senza obre di dubbio, da parte loro, quali siano gli effetti di tagli alla spesa come più "violenta" misura PRO-ciclica e non vogliono certo contrraddirsi chiedendo a noi di peggiorare le cose (a parte la fattibilità contabile-finanziaria della misura e la sua dimensione in base a criteri tecnicamente corretti).
Se non altro assistiamo a una pressione USA anti-austerity, che non passa certo, come da certi commentatori italiani si vorrebbe indurre, per la richiesta all'Italia di riforme strutturali che involgano, in questa fase, drastici tagli della spesa pubblica (si invocano 73 miliardi di tagli, senza sapere bene quale sia l'attendibilità del calcolo effettuato dall'Istat rispetto alla variazione comparata dei costi e senza sapere bene quali siano i volumi del bilancio statale su cui operare la comparazione: ma sul punto torneremo prossimamente). Gli USA, col fiscal cliff, stanno sperimentando senza obre di dubbio, da parte loro, quali siano gli effetti di tagli alla spesa come più "violenta" misura PRO-ciclica e non vogliono certo contrraddirsi chiedendo a noi di peggiorare le cose (a parte la fattibilità contabile-finanziaria della misura e la sua dimensione in base a criteri tecnicamente corretti).
Che lo vogliamo ammettere o no, gli studi citati, fra cui anche Bibow (v.introduzione) indicano una cosa chiara: la crisi viene si dal settore finanziario, ma a spingere sull’acceleratore dopo la Dot.Com Bubble del 2000 (e qui un succoso risvolto reso noto da Richard Koo di Nomura: http://www.businessinsider.com/richard-koo-the-entire-crisis-in-europe-started-with-a-big-ecb-bailout-of-germany-2012-6, traetene voi le conseguenze), preludio dell’attuale recessione in corso, sono state le banche europee e le loro controllate in terra statunitense.
Ora, le suicide politiche di austerità stanno tagliando l’erba della ripresa sotto i piedi dell’amministrazione Obama, mentre in ambito finanziario le frizioni molto ampie all’interno del contesto delle regolamentazioni bruciano le relazioni fra SEC-FED e BuBa. La deindustrializzazione in atto in UEM e la contemporanea frenata della Cina, allontanano sia la speranza di una ripresa globale sia il miraggio di una possibile ripresa degli scambi proficua tra Eurozona e Stati Uniti. Il messaggio sembra essere chiaro: ragazzi, il tempo è agli sgoccioli, vi abbiamo già salvato le chiappe una volta, non ci sembra il caso che vi rimettiate nei guai. E’ da capire ora fino a quando la Germania avrà il coraggio di giocare col fuoco e quale sarà:
a) la nuova Casablanca
b) chi sarà il ventre molle da colpire.
Di certo il "gioco" della Germania, che mira ad accentuare la propria veste di global player, spostandosi a Oriente per allacciare rapporti privilegiati con Cina e Russia, con ciò mirando a svincolare l'intero sistema commerciale mondiale dall'influenzamento del dollaro, e tirandosi indietro rispetto agli interventi strategici USA nelle varie aree del mondo (giunti probabilmente agli sgoccioli, vista la crescente autonomia energetica che l'America sta raggiungendo), è qualcosa di più di un "moral hazard" finanziario.