Allora, per cominciare, vorrei ricordare la "natura" del potere che ti troviamo a "fronteggiare". Per farlo, e per sviluppare il discorso di questo post, attingeremo al vasto materiale che risale ai contributi di altri "autori" e dei commentatori che animano questo blog. Che, quanto a "livello" del dibattito, non credo sia secondo a nessuno.
Allora, dicevamo, cominciamo con la "natura" di questo potere, citando un passaggio di Ktrchrds che mi ha molto aiutato in una nota "querelle" (peraltro molto utile per chiarire, credo, in modo definitivo, un aspetto "fondante" della situazione €uromostruosa):
«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».
(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).
Cerchiamo di sviluppare questo concetto nelle sue ricadute pratiche, che poi, nel mondo socio-economico, sono un "programma politico".
Lo sintetizziamo come proposizione fenomenologicamente "essenziale": "I fini del controllo economico, cioè della "grande società" governata dal mercato, (possibilmente, secondo von Hayek, "globale"), implica il controllo dei mezzi necessari per tutti i fini che il "mercato" intende perseguire: cioè, di tutti i mezzi che consentono di determinare "ciò che gli uomini debbono credere e ciò per cui debbono affannarsi".
Siccome questi "fini" (abolizione della "demarchia", cioè della disfuzionalità dei processi democratici rispetto all'efficienza "naturale" del mercato, con riduzione dello Stato al "minimo"), implicano dei "valori" centrali, questi ultimi, come proiezione "etica" e, al tempo stesso, socialmente dissimulata per non far percepire direttamente alle masse i fini stessi - in quanto concepiti e funzionali ai soli interessi dei proprietari-produttori, necessariamente al sommo dell'auspicata società gerarchizzata-, sono riassumibili in concetti (dogmi a radice antropologico-naturalistica, secondo Hayek), che si impongano in via normativa.
Cioè come regole di un super-diritto, che Hayek stesso identifica nella "Legge", in contrapposizione alla meno importante e costantemente monitorata, nella sua conformità ai valori (e ai fini), "legislazione", produzione normativa statale da assoggettare alla forza della Legge stessa.
Per ritrovare questi valori in un contesto supernormativo, capace di imporsi come "Legge", superiore per definizione alla legislazione espressiva della sovranità statale, da depotenziare e "disperdere" in un contesto tanto sovranazionale quanto debba esserlo la "Grande società" del mercato, è, ormai, agevole, ricorrere al più grande esempio storico e concreto, di programmatica dispersione della sovranità (democratica) mai sperimentato dall'Umanità: il trattato UE.
In esso, sempre fenomenologicamente, possiamo ritrovare due valori fondanti: la "forte competizione" del mercato "unificato" e la "stabilità dei prezzi".
Da queste premesse "valoriali" - e come l'inflazione e la inefficiente scarsità di concorrenza siano oggi circondate da un giudizio negativo universalizzato, nela "pubblica opinione", e portato sul piano "etico", non credo debba essere dimostrato-, è possibile derivare ogni altra strategia e tattica posta in essere per affermare i "fini" sopraindicati.
E quindi comprendere anche come i "mezzi" siano controllati per diffondere contenuti informativi che inondino, in ogni dimensione della vita sociale, le convinzioni per cui gli esseri umani si debbano affannare: ogni convinzione "politica", ma, inevitabilmente, in questa programmata visione totalitaria del controllo (economico) sulle spinte all'agire umano, "culturale" è, in una misura sempre più intensa, piegata ai suddetti "valori".
Ciò rende assolutamente indispensabile un'opera totalitaria di controllo dei mezzi dell'informazione e il costante e sostenuto effetto di consolidamento di convinzioni che non possano deviare dai valori e fini perseguiti.
Questa operazione di controllo-condizionamento culturale, a cui non si sottrae perciò nessuna voce e nessuna "idea" che possa comparire sul palcoscenico mediatico (quand'anche si parlasse di letteratura, di gastronomia, di cinema o di archeologia, o, persino, di sport), presuppone una previa "destrutturazione" di tutto ciò che sia incompatibile con i valori di "forte competizione" e "stabilità dei prezzi".
Questa fase è attuata attraverso la riprogettazione "tecnica" della pubblica istruzione. Dove per "tecnica", si intende la sua ridefinizione alla stregua di complesse proposizioni di natura pubblico-contabile, predicando un "quadro finanziario" offerto come migliorativo delle condizioni sociali (genericamente intese e mai connesse a concrete situazioni esistenziali dei cittadini inseriti nelle società costituizionali democratiche): questo è il caso dell'enorme valore culturale, acriticamente annesso alla formulazione tecnica dei parametri di Maastricht. O alla dottrina delle "banche centrali indipendenti".
Non percepiti nel loro significato concreto da centinaia di milioni di cittadini interessati, questi strumenti si sono imposti come presupposti, rapidamente divenuti intangibili, della stessa operazione preliminare di destrutturazione della istruzione e formazione affidata allo Stato.
In questo post, Sofia, analizzato il quadro dei tagli alla pubblica istruzione legislativamente apportati nel quadro finanziario seguente a Maastricht, ci illustra le "teorie di Habermas, Dewey ed Heller i quali partivano proprio dall'evidenza che è l’ignoranza la causa della inefficacia dell’opinione pubblica nella sua essenziale funzione di controllo democratico sull'operato dei governi.
Dewey sosteneva che mediante l'educazione si può promuovere e sviluppare una intelligenza sociale (non l'intelligenza come possesso individuale, quindi), la capacità di confronto, di discussione, di proposta, capace di dirigere il cambiamento. Questa opinione pubblica illuminata va costruita e ci vuole, quindi, un impegno educativo continuativo.
Perché al problema dell’istruzione se ne aggiungono altri, che comunque non sono altro che una ulteriore e diretta conseguenza della mancanza di istruzione stessa.
Ad esempio manca lo spazio pubblico di discussione sui problemi generali (non solo nelle scuole, quindi), perché l'opinione pubblica é diventata (anch’essa) una finzione giuridica, una facciata del tutto formale di legittimazione di poteri di fatto oligarchici e sempre più autorefenziali, con i quali, quindi, è difficile pensare di partecipare e fornire competenza, conoscenza, metodo.
Fuori dal quadro istituzionale politico, l'opinione pubblica si trasforma nell'opinione di massa e ciò che si pensa in questi ambiti é irrilevante politicamente o non ha incidenza politica proprio perché è la realtà di opinioni che non sono frutto di riflessione e discussione".
Neutralizzata progressivamente, ma inesorabilmente, la funzione pubblica e statale di porre le premesse minime per l'esistenza di una pubblica opinione "attiva" e "consapevole" - certamente un'aspirazione solo in parte realizzabile, forse utopica, ma comunque programmaticamente contenuta nella nostra Costituzione- si apre la via del processo circolare, in cui la formulazione di idee e linguaggio diviene prerogativa del sistema mediatico senza più controbilanciamenti critici collettivi, in ogni sua possibile forma.
Ma, in cui, anche, ed è in ciò la "circolarità viziosa", gli stessi linguaggio ed idee appaiono offerti come "rilevazione" della pubblica opinione.
Da qui la forza "stabilizzatrice" delle oligarchie di programmi televisivi come Ballarò, in cui ogni proposizione funzionale all'oligarchia viene puntualmente confermata da sondaggi e pseudo-test in cui le opzioni espresse dagli "interrogati" sono lo scontato riflesso del preventivo dispiegamento del pensiero mediatico del "cartello" che lo programma accuratamente.
In questo altro post, sempre Sofia, parlando del fenomeno di controllo mediatico monopolistico-oligopolistico- ma, nella sfera dei fini-valori condivisi in apice, UN CARTELLO- ci aveva radiografato lo stato delle cose dell'informazione di ogni tipo, compresa quella prevalente sul web:
". Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione: per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione".
Alla lunga, questo perverso meccanismo, produce anemia intellettuale, passività e pigrizia inconscia.
La maggioranza dei cittadini finisce per perdere così quella capacità di analisi critica nel leggere le notizie e, quindi, farsi un’opinione personale dei fatti e degli eventi di cui viene a conoscenza.
Lo scopo del sistema al potere è quello di impedire l’accesso dei cittadini alle notizie oggettive e, al loro posto, offrire un complesso sistema informativo apparentemente pluralista ma sostanzialmente monolitico. L’informazione per il consumo di massa dirige tutto il sistema e le fonti di notizie “ufficiali” sono vitali all’interno di questo processo informativo globale.
In questo contesto, la stessa libertà di informazione è in serio pericolo anche perché i media a larga a diffusione appartengono a pochi grandi gruppi di imprese, che tentano di mantenere ed estendere il controllo su gran parte delle fonti ufficiali di informazione.
La posizione politico-economica di questi stessi gruppi dipende, a sua volta, sempre più, da contenuti prestabiliti e notizie preconfezionate (conflitto di interesse).
Si crea così un rapporto simbiotico tra chi diffonde le notizie e chi le fornisce. Gli oligarchi al potere ricercano a tutti i costi il consenso e lo fanno anche attraverso l’eliminazione delle voci libere e il consolidamento della proprietà dell’informazione nelle mani di pochi gruppi dominanti.
Il luogo comune che ha sempre accompagnato la nascita e la diffusione di Internet come canale di diffusione e propagazione dell’informazione è la sua intrinseca capacità di garantire una maggiore libertà di espressione. Web, blog, twitter, i contenuti viaggiano senza che nessuno possa realmente impedire che le voci vengano censurate.
Ma la verità è che Internet diventa un grande normalizzatore di stili di vita ed è il più grande strumento per colonizzare il pensiero di una moltitudine di persone che risiedono nei luoghi più diversi del pianeta.
Internet diviene infatti il "luogo" di legittimazione di una nuova "ufficialità", solo in apparenza estranea ai sistemi di formazione del dato-notizia propri dei media tradizionali
In ogni momento di discontinuità tecnologica che ha accompagnato l’evoluzione dei media si è sempre determinato un ordine di potere economico più ampio del precedente.
I padroni dell’industria mediatica sono oggi dei colossi che un tempo nessuno immaginava potessero esistere. Se da una parte i costi di accesso a internet rendono possibile a singoli e piccoli gruppi di portare la propria voce sulla rete è altresì vero che i capitali che possono garantire l’esercizio di un vero impero mediatico sono alla portata di pochissimi gruppi i quali tendono ad avere interessi plurimi in quella che è oggi diventata la comunicazione convergente video-dati-voce, declinata attraverso il controllo di più media, Internet-TV-Giornali."
Rimontiamo organicamente il discorso con quanto ulteriormente detto nel primo dei post di Sofia qui citati:
"La formazione dell’opinione pubblica nel bar, nella strada, nella piazza, o anche nei meet-up telematici o nei social network, anziché all'interno di un sistema di istruzione e formazione pubblica, vincolato alla imparzialità (art.97 Cost.) ed alla libertà (art.33 Cost.) sancite dalla Costituzione (art.97 Cost.), ha maggiori probabilità di portare a questo: a opinioni informali, luoghi comuni indiscussi, espressione di una cultura inconsciamente condivisa e frutto di un processo di apprendimento passivamente riassunto in slogan, totalmente privo di autonoma riflessione razionale, basata cioè sulla diretta capacità di conoscere e valutare i fatti assunti nella loro effettiva rilevanza: un processo, come tale, artificiale, che dipende dai gruppi di cui si é parte, dalla staticità del loro livello di formazione-informazione, con opinioni formulate in serie, e corollari incapaci di evolvere i postulati, data la chiusura, abilmente indotta dal sistema mediatico, alla inoculazione di nuove informazioni che alterino il rassicurante quadro semplificato che li ispira."
E' chiaro adesso perchè, in una contrapposizione solo apparente (gestione di informazione e, pretesa, "controinformazione", cioè nulla più che un prodotto artificialmente differenziato, immesso sul mercato dallo stesso "cartello"), si possa dibattere su Berlusconi sì o no, debitopubblicobrutto come causa della crisi e di taglio delle tasse da finanziare con tagli alla spesa, senza essere presi a pernacchie a furor di popolo? In fondo, si tratta di una "gabbia". E non hanno intenzione di aprirla.
Ma, in realtà, il controllo dei mezzi e l'obiettivo totalizzante di determinare ciò che "gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi", sta raggiungendo il suo livello ottimale e "finale": quand'anche la gabbia fosse aperta, nessuno penserebbe VERAMENTE di uscirne per tornare alla "vita libera" e nemmeno avrebbe la forza di concepirla. Al più, si riunirebbero in un'altra forma di cattività (una "gabbia" con annesso cortile per l'ora d'aria), sempre delimitata dai "controllori". Ironia della sorte: è accaduto in Austria e uno degli scimpanzè di chiamava "Fred", Frederick.
Allora, dicevamo, cominciamo con la "natura" di questo potere, citando un passaggio di Ktrchrds che mi ha molto aiutato in una nota "querelle" (peraltro molto utile per chiarire, credo, in modo definitivo, un aspetto "fondante" della situazione €uromostruosa):
«Il controllo economico non è il semplice controllo di un settore della vita umana che possa essere separato dal resto; è il controllo dei mezzi per tutti i nostri fini. E chiunque abbia il controllo dei mezzi deve anche determinare quali fini debbano essere alimentati, quali valori vadano stimati […] in breve, ciò che gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi».
(F. von Hayek da "Verso la schiavitù", 1944).
Cerchiamo di sviluppare questo concetto nelle sue ricadute pratiche, che poi, nel mondo socio-economico, sono un "programma politico".
Lo sintetizziamo come proposizione fenomenologicamente "essenziale": "I fini del controllo economico, cioè della "grande società" governata dal mercato, (possibilmente, secondo von Hayek, "globale"), implica il controllo dei mezzi necessari per tutti i fini che il "mercato" intende perseguire: cioè, di tutti i mezzi che consentono di determinare "ciò che gli uomini debbono credere e ciò per cui debbono affannarsi".
Siccome questi "fini" (abolizione della "demarchia", cioè della disfuzionalità dei processi democratici rispetto all'efficienza "naturale" del mercato, con riduzione dello Stato al "minimo"), implicano dei "valori" centrali, questi ultimi, come proiezione "etica" e, al tempo stesso, socialmente dissimulata per non far percepire direttamente alle masse i fini stessi - in quanto concepiti e funzionali ai soli interessi dei proprietari-produttori, necessariamente al sommo dell'auspicata società gerarchizzata-, sono riassumibili in concetti (dogmi a radice antropologico-naturalistica, secondo Hayek), che si impongano in via normativa.
Cioè come regole di un super-diritto, che Hayek stesso identifica nella "Legge", in contrapposizione alla meno importante e costantemente monitorata, nella sua conformità ai valori (e ai fini), "legislazione", produzione normativa statale da assoggettare alla forza della Legge stessa.
Per ritrovare questi valori in un contesto supernormativo, capace di imporsi come "Legge", superiore per definizione alla legislazione espressiva della sovranità statale, da depotenziare e "disperdere" in un contesto tanto sovranazionale quanto debba esserlo la "Grande società" del mercato, è, ormai, agevole, ricorrere al più grande esempio storico e concreto, di programmatica dispersione della sovranità (democratica) mai sperimentato dall'Umanità: il trattato UE.
In esso, sempre fenomenologicamente, possiamo ritrovare due valori fondanti: la "forte competizione" del mercato "unificato" e la "stabilità dei prezzi".
Da queste premesse "valoriali" - e come l'inflazione e la inefficiente scarsità di concorrenza siano oggi circondate da un giudizio negativo universalizzato, nela "pubblica opinione", e portato sul piano "etico", non credo debba essere dimostrato-, è possibile derivare ogni altra strategia e tattica posta in essere per affermare i "fini" sopraindicati.
E quindi comprendere anche come i "mezzi" siano controllati per diffondere contenuti informativi che inondino, in ogni dimensione della vita sociale, le convinzioni per cui gli esseri umani si debbano affannare: ogni convinzione "politica", ma, inevitabilmente, in questa programmata visione totalitaria del controllo (economico) sulle spinte all'agire umano, "culturale" è, in una misura sempre più intensa, piegata ai suddetti "valori".
Ciò rende assolutamente indispensabile un'opera totalitaria di controllo dei mezzi dell'informazione e il costante e sostenuto effetto di consolidamento di convinzioni che non possano deviare dai valori e fini perseguiti.
Questa operazione di controllo-condizionamento culturale, a cui non si sottrae perciò nessuna voce e nessuna "idea" che possa comparire sul palcoscenico mediatico (quand'anche si parlasse di letteratura, di gastronomia, di cinema o di archeologia, o, persino, di sport), presuppone una previa "destrutturazione" di tutto ciò che sia incompatibile con i valori di "forte competizione" e "stabilità dei prezzi".
Questa fase è attuata attraverso la riprogettazione "tecnica" della pubblica istruzione. Dove per "tecnica", si intende la sua ridefinizione alla stregua di complesse proposizioni di natura pubblico-contabile, predicando un "quadro finanziario" offerto come migliorativo delle condizioni sociali (genericamente intese e mai connesse a concrete situazioni esistenziali dei cittadini inseriti nelle società costituizionali democratiche): questo è il caso dell'enorme valore culturale, acriticamente annesso alla formulazione tecnica dei parametri di Maastricht. O alla dottrina delle "banche centrali indipendenti".
Non percepiti nel loro significato concreto da centinaia di milioni di cittadini interessati, questi strumenti si sono imposti come presupposti, rapidamente divenuti intangibili, della stessa operazione preliminare di destrutturazione della istruzione e formazione affidata allo Stato.
In questo post, Sofia, analizzato il quadro dei tagli alla pubblica istruzione legislativamente apportati nel quadro finanziario seguente a Maastricht, ci illustra le "teorie di Habermas, Dewey ed Heller i quali partivano proprio dall'evidenza che è l’ignoranza la causa della inefficacia dell’opinione pubblica nella sua essenziale funzione di controllo democratico sull'operato dei governi.
Dewey sosteneva che mediante l'educazione si può promuovere e sviluppare una intelligenza sociale (non l'intelligenza come possesso individuale, quindi), la capacità di confronto, di discussione, di proposta, capace di dirigere il cambiamento. Questa opinione pubblica illuminata va costruita e ci vuole, quindi, un impegno educativo continuativo.
Perché al problema dell’istruzione se ne aggiungono altri, che comunque non sono altro che una ulteriore e diretta conseguenza della mancanza di istruzione stessa.
Ad esempio manca lo spazio pubblico di discussione sui problemi generali (non solo nelle scuole, quindi), perché l'opinione pubblica é diventata (anch’essa) una finzione giuridica, una facciata del tutto formale di legittimazione di poteri di fatto oligarchici e sempre più autorefenziali, con i quali, quindi, è difficile pensare di partecipare e fornire competenza, conoscenza, metodo.
Fuori dal quadro istituzionale politico, l'opinione pubblica si trasforma nell'opinione di massa e ciò che si pensa in questi ambiti é irrilevante politicamente o non ha incidenza politica proprio perché è la realtà di opinioni che non sono frutto di riflessione e discussione".
Neutralizzata progressivamente, ma inesorabilmente, la funzione pubblica e statale di porre le premesse minime per l'esistenza di una pubblica opinione "attiva" e "consapevole" - certamente un'aspirazione solo in parte realizzabile, forse utopica, ma comunque programmaticamente contenuta nella nostra Costituzione- si apre la via del processo circolare, in cui la formulazione di idee e linguaggio diviene prerogativa del sistema mediatico senza più controbilanciamenti critici collettivi, in ogni sua possibile forma.
Ma, in cui, anche, ed è in ciò la "circolarità viziosa", gli stessi linguaggio ed idee appaiono offerti come "rilevazione" della pubblica opinione.
Da qui la forza "stabilizzatrice" delle oligarchie di programmi televisivi come Ballarò, in cui ogni proposizione funzionale all'oligarchia viene puntualmente confermata da sondaggi e pseudo-test in cui le opzioni espresse dagli "interrogati" sono lo scontato riflesso del preventivo dispiegamento del pensiero mediatico del "cartello" che lo programma accuratamente.
In questo altro post, sempre Sofia, parlando del fenomeno di controllo mediatico monopolistico-oligopolistico- ma, nella sfera dei fini-valori condivisi in apice, UN CARTELLO- ci aveva radiografato lo stato delle cose dell'informazione di ogni tipo, compresa quella prevalente sul web:
". Il sistema, è ormai cosa nota, gestisce l’informazione ma anche, in modi indiretti e spesso occultati, la stessa contro-informazione: per cui, il prodotto che giunge al cittadino medio è la disinformazione, cioè la famosa “verità ufficiale”, più efficacemente divulgata se contenente, al suo interno, un'apparente dialettica di versioni "opposte", provenienti però dalla stessa indistinta "fonte di divulgazione".
Alla lunga, questo perverso meccanismo, produce anemia intellettuale, passività e pigrizia inconscia.
La maggioranza dei cittadini finisce per perdere così quella capacità di analisi critica nel leggere le notizie e, quindi, farsi un’opinione personale dei fatti e degli eventi di cui viene a conoscenza.
Lo scopo del sistema al potere è quello di impedire l’accesso dei cittadini alle notizie oggettive e, al loro posto, offrire un complesso sistema informativo apparentemente pluralista ma sostanzialmente monolitico. L’informazione per il consumo di massa dirige tutto il sistema e le fonti di notizie “ufficiali” sono vitali all’interno di questo processo informativo globale.
In questo contesto, la stessa libertà di informazione è in serio pericolo anche perché i media a larga a diffusione appartengono a pochi grandi gruppi di imprese, che tentano di mantenere ed estendere il controllo su gran parte delle fonti ufficiali di informazione.
La posizione politico-economica di questi stessi gruppi dipende, a sua volta, sempre più, da contenuti prestabiliti e notizie preconfezionate (conflitto di interesse).
Si crea così un rapporto simbiotico tra chi diffonde le notizie e chi le fornisce. Gli oligarchi al potere ricercano a tutti i costi il consenso e lo fanno anche attraverso l’eliminazione delle voci libere e il consolidamento della proprietà dell’informazione nelle mani di pochi gruppi dominanti.
Il luogo comune che ha sempre accompagnato la nascita e la diffusione di Internet come canale di diffusione e propagazione dell’informazione è la sua intrinseca capacità di garantire una maggiore libertà di espressione. Web, blog, twitter, i contenuti viaggiano senza che nessuno possa realmente impedire che le voci vengano censurate.
Ma la verità è che Internet diventa un grande normalizzatore di stili di vita ed è il più grande strumento per colonizzare il pensiero di una moltitudine di persone che risiedono nei luoghi più diversi del pianeta.
Internet diviene infatti il "luogo" di legittimazione di una nuova "ufficialità", solo in apparenza estranea ai sistemi di formazione del dato-notizia propri dei media tradizionali
In ogni momento di discontinuità tecnologica che ha accompagnato l’evoluzione dei media si è sempre determinato un ordine di potere economico più ampio del precedente.
I padroni dell’industria mediatica sono oggi dei colossi che un tempo nessuno immaginava potessero esistere. Se da una parte i costi di accesso a internet rendono possibile a singoli e piccoli gruppi di portare la propria voce sulla rete è altresì vero che i capitali che possono garantire l’esercizio di un vero impero mediatico sono alla portata di pochissimi gruppi i quali tendono ad avere interessi plurimi in quella che è oggi diventata la comunicazione convergente video-dati-voce, declinata attraverso il controllo di più media, Internet-TV-Giornali."
Rimontiamo organicamente il discorso con quanto ulteriormente detto nel primo dei post di Sofia qui citati:
"La formazione dell’opinione pubblica nel bar, nella strada, nella piazza, o anche nei meet-up telematici o nei social network, anziché all'interno di un sistema di istruzione e formazione pubblica, vincolato alla imparzialità (art.97 Cost.) ed alla libertà (art.33 Cost.) sancite dalla Costituzione (art.97 Cost.), ha maggiori probabilità di portare a questo: a opinioni informali, luoghi comuni indiscussi, espressione di una cultura inconsciamente condivisa e frutto di un processo di apprendimento passivamente riassunto in slogan, totalmente privo di autonoma riflessione razionale, basata cioè sulla diretta capacità di conoscere e valutare i fatti assunti nella loro effettiva rilevanza: un processo, come tale, artificiale, che dipende dai gruppi di cui si é parte, dalla staticità del loro livello di formazione-informazione, con opinioni formulate in serie, e corollari incapaci di evolvere i postulati, data la chiusura, abilmente indotta dal sistema mediatico, alla inoculazione di nuove informazioni che alterino il rassicurante quadro semplificato che li ispira."
E' chiaro adesso perchè, in una contrapposizione solo apparente (gestione di informazione e, pretesa, "controinformazione", cioè nulla più che un prodotto artificialmente differenziato, immesso sul mercato dallo stesso "cartello"), si possa dibattere su Berlusconi sì o no, debitopubblicobrutto come causa della crisi e di taglio delle tasse da finanziare con tagli alla spesa, senza essere presi a pernacchie a furor di popolo? In fondo, si tratta di una "gabbia". E non hanno intenzione di aprirla.
Ma, in realtà, il controllo dei mezzi e l'obiettivo totalizzante di determinare ciò che "gli uomini debbano credere e ciò per cui debbano affannarsi", sta raggiungendo il suo livello ottimale e "finale": quand'anche la gabbia fosse aperta, nessuno penserebbe VERAMENTE di uscirne per tornare alla "vita libera" e nemmeno avrebbe la forza di concepirla. Al più, si riunirebbero in un'altra forma di cattività (una "gabbia" con annesso cortile per l'ora d'aria), sempre delimitata dai "controllori". Ironia della sorte: è accaduto in Austria e uno degli scimpanzè di chiamava "Fred", Frederick.