Quantcast
Channel: Orizzonte48
Viewing all articles
Browse latest Browse all 1237

LE FORME FRATTALICHE OPACHE E LA "FEDE" INCROLLABILE DEI GIANNIZZERI DEL PUD€

$
0
0
Mi avvedo che alcune interessanti e approfondite discussioni su questo blog e non solo, ripropongono l'esigenza di aggiornare l'ipotesi frattalica. O meglio quel che, alla luce delle forme "frattaliche" che si affacciano dagli eventi, ne può essere una interpretazione coerente con i fatti.
In questo post avevo fatto una precisazione che a molti, - che mi scrivono anche delle mail, rimanendo fermi a uno schema in cui l'8 settembre coincide con la fine dell'euro, come se ciò possa rappresentare in sè la svolta epocale (questione dibattutissima, nei termini di "uscita da destra o da sinistra"), pare sfuggire:
Sto cominciando a maturare la convinzione che, in assenza di stalinismo alle porte, è impossibile replicare la stagione keynesiana-costituzionale post 1943.
Al massimo si potrà recuperare la flessibilità del cambio e una certa limitata cooperazione delle BC (sempre nei limiti dell'interesse bancario nazionale).
E sarebbe già tanto.
La democrazia redistributiva pluriclasse probabilmente è già morta, nel momento in cui è caduto il muro di Berlino (o giù di lì): senza una forza contraria e simmetricamente minacciosa i capitalisti si riprendono tutto il maltolto (secondo loro). E siccome il capitalismo si sviluppa per oligopoli sempre più grandi e transnazionali, non vedo come si possa trovare una forza capace di neutralizzare il loro dominio, in presenza delle loro strategie di manipolazione dell'informazione.
...la spinta propulsiva della Rivoluzione d'ottobre agì, in definitiva, molto più in Occidente e sul capitalismo che nell'est europeo e sul socialismo reale, il quale degenerò in stalinismo e, successivamente, in burocratismo centralista, sul piano interno, e imperialista puro (cioè a base essenzialmente nazionalista, come predicò espressamente Stalin) sul piano internazionale.
Il prodotto di tale "spinta" sui paesi capitalisti, altrettanto evidentemente, sfociò nelle democrazie pluriclasse redistributive, quelle cioè in cui il profitto non era l'unico fine ammesso e la struttura dei mercati non ipotizzata sulla libera determinazione della domanda e dell'offerta: cioè non vigeva (più) un'ipocrita idealizzazione dissimulatrice della superiorità del capitalista sul resto dell'umanità (al contrario di oggi, in cui questa ipocrisia è ridivenuta un dogma generalizzato per tutta la classe politica)
L'ipotesi frattalica, naturalmente, è imperniata sull'Italia e sui suoi rivolgimenti; ma di certo implica l'interdipendenza con uno scenario planetario in cui le forze più importanti agirono da cornice "attiva", anzi determinante. Gli USA, lo sbarco anglo-americano, gli eventi ad est, con l'avanzata russa in occidente, la stessa liberazione della Francia da parte degli alleati sempre anglo-americani.
Questi macroeventi di scenario, se riferiti all'euro-break o exit, non li ritroviamo. E quindi l'ipotesi frattalica, definita da taluni "atlantista", si rivelerebbe un vicolo cieco.

Ma se noi ci imperniamo sul diverso evento costituito dalla fine dell'ideologia "von Hayek" nelle sue complessive propaggini(non necessariamente della sua specifica dottrina economica), le cose cambiano alquanto.
La questione "Le Pen" in Francia, consistendo in un recupero dichiaratamente keynesiano dell'interesse nazionale, realizzato nell'interventismo socio-economico dello Stato, assume un senso del tutto diverso.
Allo stesso modo, la nostra alleanza con la valorosa "guida" alemanna, ci fa comprendere come, seppure in modo contraddittorio e imperfetto, la nostra dottrina ossessiva della "costruzione europea" costituisca lo strumento di dissipazione definitiva della stagione costituzionale dei diritti sociali.
Quindi, non certo la manifestazione di una fede "internazionalista" cooperativa che, come i fatti attestano prepotenti, in sostanza è l'ultimo dei problemi che si pone la Germania (e l'UEM in genere). Interessata piuttosto ad imporre la distruzione dello Stato "altrui" (il famoso von Hayek per fessi), la Germania instaura invece, al suo interno, un tipo di Stato nazional-liberista che, anche nei meccanismi assistenziali pubblici delle riforme Hartz, finisce per essere esclusivamente servente al mercantilismo imperialista.
Questi aspetti ci riportano ad uno strano quadro frattalico, ibridato di caratteristiche sia dello scenario che diede inizio alla prima guerra mondiale che di quello che, invece, pose fine alla seconda. Confesso, che elementi come il cerchiobottismo USA sull'Europa, riguardo al recupero della finalità di benessere democratico dell'intervento statale (quale definito da Minsky), frutto di un irrisolto scontro di potere al suo interno, tengono la situazione "in sospeso". Un indecifrabile e ormai surreale "sospeso".
E questo pur in presenza di prevalenti esigenze dettate dall'interdipendenza delle economie globali, che vedrebbero gli USA, come Stato-comunità, interessatissimi al recupero della crescita nell'area UEM, cosa che, per molte voci americane (parliamo dei premi Nobel Krugman e Stiglits, anzitutto), è chiaramente ottenibile solo con la dissoluzione dell'area euro ed il recupero di quella stessa capacità di intervento pubblico in deficit che, però, loro stessi si stanno precludendo.Un bel rompicapo, non c'è che dire.

Abbandonando, per attuale carenza di indizi sufficientemente chiari (almeno per ora) il riferimento frattalico alla seconda guerra mondiale, quello che risalta è la mancanza di un modello politico-economico, condiviso come praticabile a livello mondiale.
La teoria dello Stato "von Hayek", funzionale alla dissoluzione sovranazionale di ogni riconoscimento del conflitto sociale, è considerata (tranne che in Italia, dove peraltro si lamenta l'inefficiente ritardo nel realizzarla!), ormai recessiva, nei paesi avanzati. Gli USA stessi se ne rendono conto, pur avendone realizzate grosse porzioni; noi in Italia, non avendolo fatto, abbiamo classi di governo e dirigenti fanaticamente convinte di tale ideologia.

In generale, ci si sta rendendo conto che le implicazioni di una domanda sostenuta, e quindi l'occupazione e il connesso potenziale di consumi e risparmi che viene deprivato accogliendo la visione deflattiva e monetarista (gold standard shaped), svolgono (grande ri-scoperta!) un ruolo essenziale nella stabilizzazione del ciclo economico. E, anzi, persino, a essere realistici, rispetto alla stabilità finanziaria e bancaria, connesse, in definitiva, alla possibilità di ripagare i debiti e di ristabilire la fiducia, che non può più, ormai, essere sconnessa dalla crescita dei redditi degli esseri umani, e cioè, facendo di questi solo delle pedine seriali per i calcoli allucinati nelle stanze dei bottoni dei "mercati" prima e poi, a seguito della crisi, delle banche centrali, "catturate" dalle multinazionali del settore.

Si sa ormai, anche se viene dichiarato solo implicitamente nei G20, che la nuova macroeconomica classica non ha funzionato e ha prodotto solo danni ("lo si sa" sempre con l'eccezione dell'Italia e - ma con diversi presupposti- della Germania: questo restringendoci ai paesi economicamente più importanti nell'ambito delle democrazie "mature").
Tuttavia, una domanda: fino a quando l'Italia potrà continuare a fare "l'oca giuliva" che combatte con il massimo entusiasmo nelle fila di un esercito sempre più sfaldato, che appare potente digrignando i denti coi suoi comandanti, ma che nei ranghi è già sfaldato nel morale?Solo in Italia, sono così "gasati" e compattamente credono nella vittoria, contando su una falange mediatica e di orientamento politico che non ha pari.
Basti pensare a come è stato narrato, qui da noi, lo shutdown USA, senza mai menzionare che alla sua base c'era proprio l'attacco, abbastanza disperato, dei tea-party contro l'intervento pubblico a favore della crescita, nella ottusa fede nello spiazzamento a favore del privato come sistema di uscita dalle crisi.
Negli USA tutto ciò è oggetto di un dibattito aperto e violento.
In Italia neppure si sa che, a rigore (in tutti i sensi), tutte le nostre forze politiche sarebbero state decisamente sulla stessa linea dei tea-party. Molto più della classe politica della stessa Germania, che realizzando finora dei surplus esteri, ed avendo un basso livello di disoccupazione (certo, mascherata dalla sottoccupazione e definitiva emarginazione sociale di larghi strati della popolazione), si trova ben più lontana di noi -per ora- dalla situazione degli USA.

Ora questo vuoto di paradigma condiviso è certamente anche un fatto mediatico: la finanza sovranazionale controlla istituzioni di governo (finanziandone direttamente o indirettamente le forze politiche) e, più ancora, i media. Ma essa stessa è indecisa; tra backstop bancari, a carico pubblico, e deleverage - comunque a carico dei cittadini e proprio mediante la fiscalità statale-, sa di essere seduta sopra una bomba atomica e non vede come sfangarla.
O meglio, l'impressione è che coesistano diverse visioni. Ma tutte con lo stesso irrisolvibile dilemma (parliamo della classe oligarchica degli a.d. executive, che finora non ha visto dimunire i suoi vertiginosi compensi e, in paesi come l'Italia, ha visto anzi aumentare la propria "intangibilità" dalle conseguenze della congiuntura): posso sfangarla grazie allo Stato - includendo in ciò anche la natura essenzialmente pubblica dei POTERI lasciati alle banche centrali-, ma a fino a che punto lo Stato può sopravvivere ed avere queste dimensioni di intervento se ne distruggo il substrato comunitario e solidaristico?
Un mondo di disoccupati senza casa, e senza speranza, non può nè essere tassato, nè tosato dei suoi depositi bancari, nè essere ricattato su prospettive di lavoro che vengono definitivamente distrutte.
Non siamo ancora a questo punto, ma, specialmente in UEM, si rendono conto che è solo questione di tempo. Anche se non lo dicono.
Solo in Italia i giannizzeri del PUD€ credono ancora ad una realtà in via di dissoluzione (e che, in effetti, non è nemmeno mai esistita).

Viewing all articles
Browse latest Browse all 1237

Latest Images

Trending Articles