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IL SARCHIAPONE DI PESCARA: LA "NON" NOTIZIA.

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Si sa che sono logorroico, involuto (chiedo perdono, once and for all, per gli "incisi"), e che non si capisce bene quello che dico.
Perciò sono il meno indicato per fare un commento "a caldo" sul convegno di Pescara. E allora, non lo farò: questo dunque non è un commento. Chiamiamolo piuttosto un Sarchiapone, così non ci scervelliamo a definirlo.
Quindi non mi dilungherò nell'illustrare i vari interventi: mi limito a dire che sono stati tutti di un livello scientifico e di approfondimento che meritava...il prezzo del biglietto.
Di più: la sensazione generale era quella della, già esistente, forza di un movimento democratico di conoscenza critica e di opinione informata che, attualmente, in Italia non ha paralleli.
Per questo, ha risaltato il momento di "dibbbattito" fornitoci dagli esponenti della "informazione".
Questi, con qualche felice eccezione, - segnatamente Massimo Rocca e Vito Lops, che hanno rispettivamente offerto un quadro del "vincolo europeo" in salsa finanza al controllo dei media e della problematicità dei trattati (per quanto un pò "understated")- ci sono parsi un pò, come dire, "indietro".
E' il concetto di "notizia" che ne viene fuori a dir poco, eufemisticamente, ridimensionato, nel suo senso più autentico: offrire una rappresentazione del "fatto", per come si presenta nell'ordine sociale via via che accade e si connette ai suoi antecedenti ed alle sue (prevedibilissime) conseguenze.

L'impressione nettissima è che se si dice che il dissentire, attraverso una ormai stratificata accumulazione di dati e analisi impressionanti, dalla versione continuativa data dai media circa la "costruzione europea" sia una "non notizia", siamo al paradosso.
La notizia, in verità, a questo punto, la diventano loro, i media.
E infatti, il "sistema" dei blog (e non solo: diciamo il dibattito scientifico libero), ha decostruito la loro versione della crisi in modo tale che i "loro"concetti di "politica" e di "economia", assunti in una rigida separazione che renderebbe la prima un qualcosa che, anche solo in ipotesi, sarebbe separabile dalla seconda, sono la vera notizia.
La notizia sta nell'ostinazione di questa versione "scissa", che porta dritti alla totale incomprensione dei problemi. Una incomprensione semplificatrice, controfattuale, e come tale, inadeguata e, in definitiva, rozza.
La suggestione di questo circolo vizioso che si autoalimenta, creando fattoidi che vivono fuori dalla realtà, quindi simulacri esclusivamente a dimensione mediatica - italiana (nel resto d'Europa e del mondo le cose vanno diversamente) è tale che abbiamo sentito dire che l'euro, con la crisi industriale, comprese le questioni ILVA o Alitalia, non c'entra.
Basterebbe ricostruire la storia della privatizzazione dell'Alitalia, €uro-imposta (almeno nelle proposizioni dei nostri governi), o della competitività del manifatturiero italiano che UTILIZZA L'ACCIAIO (forse c'entrano le scelte della Fiat, e sicuramente la perdita da delocalizzazione e da chiusura definitiva, di larghi settori industriali che manifatturavano con macchinari e prodotti che utilizzavano l'acciaio), per capire la "singolarità" di questa affermazione.
Ma non entrerò ulteriormente nel merito: si fatica a pensare che un giornalista, per quanto "economico", liquidi con tanta apodittica sicurezza quanto esposto da Cesare Pozzi, uno dei più attenti e profondi economisti industriali italiani. Che, oltretutto, non era riuscito a completare la sua esposizione, che aveva delineato un poderoso quadro teorico proiettato a illustrare come dei modelli risalenti alla crisi del '29 e intrecciati con problematiche industriali, e sociali, sopravvenute nella contemporaneità, rendesse insostenibile la finanziarizzazione autoreferenziale dell'economia. E quella europea, dominata dal welfare bancario, quanto e più di quella USA, ne costituisce un esempio eloquente. Direi che, cercando le notizie...economiche, sarebbe stato naturale incuriosirsi per sapere come quelle linee strategiche arrivassero a porsi nelle dinamiche dei settori industriali italiani, cioè la parte dell'esposizione che Cesare, per motivi di tempo, non era riuscito a completare.

Tutto ciò pare figlio di un atteggiamento che, dichiaratamente, è ancora nella fase del dubbio. Dubbio se con la crisi italiana l'euro c'entri qualcosa. E, insieme, con l'euro, il liberismo incentrato sulla banca centrale indipendente pura, strumento di realizzazione "gold standard constrained", per usare le parole di Minsky, del tanto invocato e "progressivo"small government-lassez faire, che corrisponde al programma dei trattati europei, realizzato a colpi di shock economy..."un giorno ci sarà una crisi".
Questo dubbio, alla cui base sta un assetto di cui Massimo Rocca ha fornito una spiegazione velata ma allusivamente molto chiara, spiega come si possa dare alla "politica" ancora quello spazio autonomo e "scisso" - dall'€uropa-, che la nostra informazione continua a ritenere addirittura prioritario.
Ma, in fondo, come ho cercato di evidenziare, anche nel mio intervento, e come sottolineato da Claudio Borghi nella sua introduzione, seguita da quella di Alberto Bagnai, tutto ciò è figlio della non conoscenza dei trattati europei e della stessa nostra Costituzione. Esistevano (e ancora esistono) dei "valori non negoziabili". E, invece, sono stati negoziati, eccome. Solo che il mondo dei media non se n'è accorto.
Ma gli italiani, in una massa inarrestabilmente crescente, se ne stanno accorgendo: perchè negoziati e compromessi i valori fondanti della Costituzione, la politica è ridotta a guerra per bande per...il "nulla" del posizionamento di cariche e postazioni nelle istituzioni elettive, governative e paragovernative (poteri locali).
Postazioni e cariche in cui, lamentandosi genericamente contro un destino cinico e baro (di cui gli italiani sarebbero comunque "colpevoli"), la politica esegue i diktat europei, mentre non rinuncia, come dimostrano le stesse vicende politico-bancarie (sempre più palesi), a quel clientelismo e a quello scambiarsi le poltrone, in un infinito riposizionamento che viene chiamato "casta". Ma senza interrogarsi sulle ragioni che veramente stanno alla base del fenomeno.
Perciò, quando l'Italia continuerà ad oscillare tra stagnazione e recessione, in omaggio ai programmi €uropei di "risanamento", per i nostri media sarà sempre una sorpresa, dovuta all'effetto, cioè casta e clientelismo (concetto che, a ben vedere, oggi significa invocazione delle esigenze privatrizzatrici e organizzative volute dall'Europa), e non alla causa: la costruzione €uropea.
E saranno sempre lì a stupirsi che non agganciamo la ripresa ed a colpevolizzare questa o quella banda che lotta per questo nulla applicativo di veline sovranazionali.
Insomma, saranno sempre lì: rigorosamente indietro sulla "notizia".
Il problema, alla fine, sarà il debito pubblico. Che, secondo loro, non c'entra nulla con l'€uropa, neanche adesso.


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