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STIGLITZ, KRUGMAN E L'AUTOLESIONISMO DEL CAPITALISMO SFRENATO "INTERNAZIONALISTA"

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Come spesso accade i miei lettori mi "illuminano" e mi confortano.
Ad esempio, questo intervento di Neri , (intrecciato in un dialogo con il grande Poggio), e riferito a una delle analisi di Stiglitz sull'internazionalismo liberista-globalizzato di cui vi parlerò:
"...Mi dispiace solo che gli argomenti di questo blog (e Quarantotto non sarà mai ringraziato abbastanza) rimangano tuttora defilati. Ma questo è ovvio: il rumore di fondo confonde e la scalata alla vetta sempre aspra. Resto tuttavia fiducioso.
Se finalmente vengono discussi ormai pubblicamente argomenti ovvi, ma tabù fino a poco tempo fa (come i rimedi macroeconomici contro una depressione, indotta da shock, che produce deflazione e disoccupazione), confido che verrà il tempo del piatto forte.
Immagino che il libro farà da traino pubblico (me lo auguro) per dare agli innumerevoli antipasti irrilevanti (detto con grande affetto e riconoscenza per tutti coloro che faticosamente e con determinazione li confezionano) o immangiabili (la stragrande maggioranza), il ruolo che gli compete: quello di entrée (oltre che distrarre la tensione al main course).
Che personaggi come Stiglitz comincino a parlare chiaro di un argomento così centrale è confortante. Senza nascondersi che le armi della mistificazione sono potenti: la questione ha visto altre denunce (anche assai autorevoli) negli ultimi trenta anni restare senza seguito. Ma ora forse ... è differente."
Vi riporto la mia risposta, perchè il tema merita di essere focalizzato come "stella polare" nel marasma del "brevissimo periodo" in cui istericamente prosegue un dibattito politico interno, che ha ormai del tutto perso la bussola, (dai "numeri statistici", infatti, mi accorgo come, anche fra "voi consapevoli" riscuota molta più popolarità l'inseguimento della cronaca contingente ed allucinata):
"Neri hai ragione (e non perchè...mi dai atto di un percorso: in fondo precisi che sono "defilato").
Gli argomenti di questo blog, dal controllo dell'informazione e del paradigma culturale (rammento due post di Sofia) a Oil and finance - http://orizzonte48.blogspot.it/2013/03/oltre-il-pud-2-oil-and-finance-thats-all.html- "anticipano" di mesi e forse di anni quello che diverrà il clou delle discussioni "a babbo morto" che affaticheranno l'opinione mediatica e la rincorsa politica.
Sottolineo in "Oil and finance" la risposta data a Poggio (unico commento) a distanza di mesi.
Ora la frontiera Stiglitz sul liberoscambismo e sul potere transnazionale formalmente (è da sottolineare) e non più "de facto" limitatore della sovranità democratica, è in fondo il tema dei temi.

Nel libro peraltro, dammene atto, ciò è ampiamente trattato. Speravo che se ne potesse parlare a Pescara, se non altro in sede di presentazione del libro. Ma occorreva che fosse stato letto :-)
Ora sta a "noi" coltivare questa visione anticipatrice e "salvifica" (nulla di profetico: solo uso della capacità previsionale della ragion critica).
Ma veramente sta a "noi", includendo chi oggi si allinea in questa visione. Che peraltro si riallaccia ai temi oggi scottanti (comunque e sempre trattati a "babbo praticamente morto").
"Ora forse è differente", rispetto agli ultimi 30 anni, in questa denuncia? Me lo auguro: ma se lo è (sarà) ciò deve necessariamente passare per il recupero del senso valoriale e non "procedurale" della democrazia COSTITUZIONALE. Senza il quale non ci sarebbe nulla da contrapporre alla deriva che si denunzia.
Quanti siamo nella consapevolezza di questo aspetto?
ESSO IMPLICA DI CREDERE IN UN "DIVERSO" CAPITALISMO, già fiorente alla metà del secolo scorso; ma AGGIORNANDOLO al diverso scenario ambientale e tecnologico. Nulla a che fare con la globalizzazione, che non è un evento atmosferico, ma l'epifenomeno del capitalismo sfrenato neo-liberista; e che, con esso, cade nella sua dimensione di oltraggio alla democrazia.
Checchè tutt'ora ne dicano i soloni del PUD€"

"Il recupero del senso valoriale e non "procedurale" della democrazia COSTITUZIONALE", è in realtà l'unica arma dei popoli per frenare ciò che è, appunto, "sfrenato". E tanto è un problema che, in assenza della sua soluzione, ogni denunzia, in tutto il mondo democratico "occidentale" (ex "progredito" ma sempre più "regredito") rischia di rimanere un'arma spuntata...e per pochi.
Perciò vi riporto questo articolo di Krugman, tradotto da Sofia e tratto dall"International New York Times" di ieri, dove il problema è trattato in un modo che, credo vi parrà evidente, è esattamente applicabile alla medesima - direi, ancor più grave- distonia allucinata, in cui ci ha piombato l'€urofollia.

"L’Economia mutilata dell’America.

Cinque anni e undici mesi sono passati da quando l’economia americana è entrata in recessione.
Ufficialmente, quella recessione è finita a metà del 2009, ma nessuno sosterrebbe che ci sia stato un recupero completo.
La disoccupazione ufficiale è rimasta alta, e sarebbe molto più alta se così tante persone non avessero abbandonato la forza lavoro.
La disoccupazione nel lungo termine – il numero delle persone che sono state fuori dal lavoro per sei mesi o più – è quattro volte di più di quanto fosse prima della recessione.
Questi numeri secchi si traducono in milioni di tragedie umane – case perdute, carriere distrutte, giovani che non possono ottenere prospettive di vita.
E molte persone hanno supplicato tutte insieme per politiche che mettano al primo posto la creazione di lavoro. Le loro richieste, tuttavia, sono state soffocate dalle voci che agitano la "prudenza convenzionale".
“Non possiamo spendere più soldi per i lavori pubblici”, dicono queste voci, “perché ciò significherebbe più debito. Non possiamo nemmeno assumere lavoratori disoccupati e mettere il risparmio di inattività al lavoro costruendo strade, gallerie, scuole. Non importa il breve periodo, dobbiamo pensare al futuro!”

L'ironia amara, quindi, è scoprire che, non potendo affrontare la disoccupazione, stiamo sacrificando anche il futuro. Ciò che passa in questi giorni dai toni della politica è in realtà una forma di auto-mutilazione economica, che paralizzerà l'America per molti anni a venire.
O almeno così dicono i ricercatori della Federal Reserve, e sono spiacente di dire che io ci credo. Sto scrivendo questo dalla grande conferenza di ricerca che supporta ogni anno l’International Monetary Found.
Il tema centrale di quest’anno sono le cause e le conseguenze della crisi economica, e la gamma di notizie buone (la sorprendente stabilità negli ultimi anni dell’America Latina) e cattive (la crisi in Europa).
È abbastanza chiaro, tuttavia, che l’argomento di successo della conferenza sarà quello che si concentra veramente sul tema più brutto: la prova che tolleriamo l’elevata disoccupazione che abbiamo inflitto ma questo provocherà danni enormi sulle nostre prospettive di lungo periodo.
In che modo? Secondo lo studio della Fed (con il titolo senza pretese "Offerta aggregata negli Stati Uniti: gli ultimi sviluppi e le implicazioni per la conduzione della politica monetaria"), la nostra crisi apparentemente senza fine ha fatto danni a lungo termine attraverso molteplici canali. I disoccupati di lunga durata alla fine finiscono per essere visti come inabili al lavoro; gli investimenti delle imprese in ritardo grazie alle vendite deboli; nuove imprese non iniziano, e le aziende esistenti lesinano in materia di ricerca e sviluppo.
Cosa c'è di più, gli autori - uno dei quali è il direttore del Federal Reserve Board di ricerca e statistica, quindi non stiamo parlando di accademici oscuri - hanno messo un numero su questi effetti, ed è terrificante.
Essi suggeriscono che la debolezza economica ha già ridotto il potenziale economico dell'America di circa il 7 per cento, il che significa che ci rende più poveri per la somma di più di 1 trilione di dollari all'anno. E non stiamo parlando di perdite di un solo anno, stiamo parlando di danni a lungo termine: 1000 miliardi di dollari all'anno per più anni.
Tale stima è il prodotto finale della considerazione di un certo complesso di “dati-scricchiolio”, e si può disquisire con i dettagli.
“Ehi, forse stiamo solo perdendo 800 miliardi di dollari l'anno…”.
Ma ci sono prove schiaccianti che, non potendo rispondere efficacemente alla disoccupazione di massa tanto da non fare della disoccupazione nemmeno una priorità politica - abbiamo fatto a noi stessi danni immensi a lungo termine.
Ed è, come ho detto, una ironia amara, perché uno dei motivi principali per cui abbiamo fatto così poco per la disoccupazione, è la predicazione della “condanna morale” inflitta al deficit (pubblico) da parte di coloro che si sono avvolti nel manto della responsabilità di lungo periodo– “motivo” che sono riusciti a tenere fortemente impresso nella mente del pubblico comprimendo così il debito pubblico.

Questo non ha senso, anche nei termini propri dello stesso assunto. Come alcuni di noi hanno cercato di spiegare, il debito, mentre può porre dei problemi, non rende la nazione più povera, perché è denaro che dobbiamo a noi stessi. Chiunque parla di come stiamo prendendo in prestito dai nostri figli proprio non ha fatto i conti.
È vero, il debito può indirettamente renderci più poveri, se il deficit fa salire i tassi di interesse e quindi scoraggi gli investimenti produttivi. Ma questo non è accaduto. Invece, l'investimento è basso a causa della debolezza dell'economia.
E una delle cose principali che mantiene l’economia debole è l’effetto deprimente dei tagli alla spesa pubblica – in particolare, tra l’altro, i tagli agli investimenti pubblici – tutti giustificati in nome della tutela del futuro e della minaccia selvaggiamente esagerata del debito eccessivo.

C'è qualche possibilità di invertire questo danno? I ricercatori della Fed sono pessimisti, e, ancora una volta, temo che probabilmente hanno ragione. L'America probabilmente trascorrerà decenni pagando per le priorità sbagliate degli ultimi anni.
E 'davvero una storia terribile: un racconto di autolesionismo, reso ancora peggiore perché è stato fatto in nome della responsabilità. E il danno continua mentre parliamo.
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