So che i miei attenti lettori, ormai, ne sanno una più del diavolo in tema di €uro-ordo-liberismo e sulle sue ragioni profonde.
Ma proprio per rendere nitida, in contrappunto, la vera natura delle posizioni "salva-fogno", in pieno orgasmo creativo, "rigorosamente" paludato di idealismo svincolato dall'analisi dei dati economici e della realtà normativa dei trattati, mi piace fare un pò di ricostruzione storica.
E partiamo dalla famosa "spinta ideale" alla pace che si sarebbe riaccesa dopo l'unificazione della Germania. Il Grande Alibi "de fero". Pò esse' piuma, pò esse' fero...ma per lo più è "ferro e fuoco" per la democrazia del lavoro e dei diritti sociali.
I "salva-fogno" ignorano pervicacemente tutto questo, perchè li farebbe inciampare sul nascere delle loro singolari teorie di idealismo-che-riscrive-curiosamente-la-Storia: cioè una Storia che, mentre si svolgeva, non aveva nulla a che fare con le spiegazioni e le giustificazioni attualmente da essi abbracciate, che tendono a creare una continuità con un passato, "ideale", mai verificatosi.
E perciò vi ripropongo il "vero volto €uropeo" di Kohl:
"Il 1996 fu l’anno delle decisioni definitive per l’euro. L’Italia arrivò alla volata finale in difficoltà, e indietro. Il terreno sarà poi recuperato da Prodi e Ciampi – pagando il prezzo suppletivo di una parità troppo alta. Ma la decisione, si poteva scrivere quindici anni fa di questi giorni, era già stata presa:“Kohl dirà un giorno, lo va dicendo da tempo, che Margaret Thatcher e François Mitterrand gli hanno estorto un impegno a “restringere” la Germania nell’euro, in cambio del consenso alla riunificazione. E che questo impegno fecero patrocinare dagli Usa – che invece l’euro non lo amano, per il poco che lo considerano. Il cancelliere lo va dicendo per venire incontro all’opinione pubblica nel suo paese: i giornali, sia conservatori che socialisti pretendono che la Germania non gradisca l’euro, non gradisca cioè un legame stabile con gli altri paesi europei. La verità è però un’altra: Kohl vuole tutti nell’euro, per non avere concorrenze sleali da parte dei partner europei. In particolare ci vuole l’Italia. In disaccordo per questo col suo stesso presidente della Bundesbank, l’amico di partito Tietmeyer. Al quale l’ha detto chiaro, e di questo ne ha reso edotto Lamberto Dini: l’Italia deve entrare nell’euro, alle condizioni di Maastricht, fin dal primo minuto.“Hans Tietmeyer, da buon tecnico, ha escogitato varie soluzioni per una sorta di Euro 2, un secondo livello di paesi europei con vincoli di spesa pubblica meno rigidi. Il suo ragionamento è semplice: l’Italia ha un debito doppio di quello della Germania, non potrà mai stare nei parametri rigidi fissati a Maastricht. Per l’Italia e gli altri paesi indebitati come il Belgio, si può quindi pensare a un Euro 2. Si può pensarci anche come una soluzione a tempo, “per un anno”: finché le economie dei paesi più indebitati si metteranno in condizione di onorare gli impegni di Maastricht.“Il cancelliere invece è di tutt’altro parere: un’Italia fuori dall’euro, e insieme strettamente legata all’industria tedesca, farebbe una concorrenza rovinosa. L’Italia deve quindi essere subito parte dell’euro, alle stesse condizioni degli altri partner.”
Si tratta della dimostrazione, in "soldoni", nella brutale semplicità del linguaggio politico (molto più concreto e, quindi, "rivelatore" delle teorie dei "salva-fogno"), della versione normativa E VINCOLANTE della stessa vicenda quale delineata dal Trattato di Maastricht; e che ritroviamo oggi, scolpita senza equivoci, nei più significativi articoli del TUE (il "mitico" art.3, par.3, con la sua forte competizione e stabilità dei prezzi per realizzare una "economia sociale di mercato"), e del TFUE (artt.123, 124 e 125, quelli che escludono ogni possibilità di "solidarietà" fiscale e finanziaria all'interno dell'UE-UEM, ponendo dei rigidi e vasti divieti).
Per i vari "salva-fogno" che si avventurassero in (improbabili) contorsioni giuridiche sulla proponibilità, originaria, o anche solo in via di trattativa "politica" (come no! Meno male che ci siete voi!), della solidarietà finanziaria e fiscale all'interno dell'UEM, suggerisco (visto che non si fidano delle analisi di questo blog, le uniche giuridicamente approfondite nel panorama italiano), la visione di questa "interpretazione autentica" dei Trattati stessi da parte di Giuliano Amato(è breve e terribilmente chiara).
Una testimonianza, quantomeno privilegiata, che sottrae ogni parvenza di plausibilità al preteso idealismo dei salva-fogno.
La storiella trova piena conferma anche nella testimonianza di Vincenzo Visco, eminente protagonista del governo che ci condusse in questa bella avventura di "pace e prosperità":
Qual è stato il momento più critico del percorso di accesso all’euro?All’inizio sembrava che dovessimo entrare un anno dopo gli altri, perché il governo Dini aveva posto il 1998 anziché il 1997 come temine per rispettare il vincolo del 3 per cento tra deficit e Pil. Ma nessuno si era accorto che Ciampi si era tenuto una strada aperta, scrivendo in una riga del Dpef che si poteva anticipare. Poi Romano Prodi andò in Spagna e José Aznar gli disse che Madrid sarebbe entrata e fu molto sprezzante nei confronti dell’Italia. Quando Prodi tornò fece una riunione con Ciampi, Enrico Micheli, Tiziano Treu, e me. Si decise di provarci comunque per il ’97. Ma l’unico modo era fare una manovra dal lato delle entrate, il lavoro sporco fu delegato a me.E se fossimo rimasti fuori?Un’Italia fuori dall’euro, visto il nostro apparato industriale, poteva fare paura a molti, incluse Francia e Germania che temevano le nostre esportazioni prezzate in lire. Ma Berlino ha consapevolmente gestito la globalizzazione: le serviva un euro deprezzato, così oggi è in surplus nei confronti di tutti i paesi, tranne la Russia da cui compra l’energia. Era un disegno razionale, serviva l’Italia dentro la moneta unica proprio perché era debole. In cambio di questo vantaggio sull’export la Germania avrebbe dovuto pensare al bene della zona euro nel suo complesso
Ora, il punto rimane sempre quello.
O si prende atto del disegno ideologico dell'ordoliberismo, che ha utilizzato gli schemi macroeconomici monetaristi e neo-classici per pianificare la sua strategia di distruzione delle odiate (da "loro") democrazie costituzionali, oppure lo si ignora contro ogni evidenza, finendo oggettivamente per rafforzare gli esiti finali di tale strategia.
Ma in tale secondo caso, tipico dei "salva-fogno", per fare ciò occorre avere delle forti motivazioni. Cioè essere profondamente convinti delle ragioni di Barroso e Padoa-Schioppa nel considerare la democrazia del lavoro e dei diritti sociali (istruzione, sanità e previdenza, su tutti), come dei residui "inefficienti" del passato. Ed essere, almeno si spera, altrettanto convinti che le forme di privatizzazione a cui mira questa visione della società, opposta a quella accolta in Costituzione, siano un vantaggio per coloro a cui si rivolgono.
Altrimenti, li starebbero ingannando.
E anche per fare questo ci vogliono delle forti motivazioni. Ma sarebbe bene che ci facessero capire quali siano...