Immaginate, secondo questa ipotesi, una crescita reale del PIL dell'1,5% e un deflattore, cioè un livello dell'inflazione, pari al 2%, cosa che determinerebbe grosso modo una crescita nominale del PIL pari al 3,5%, e immaginate che l'Europa ci conceda di calcolare il nostro debito al netto dei crediti che vantiamo a seguito dei versamenti effettuati per salvataggi bilaterali di altri paesi e per contribuzione ai fondi di salvataggio.
Il fiscal compact sarebbe (sempre ipoteticamente) sostenibile, perchè ridurremmo il debito pubblico persino più di quanto richiestoci.
Solo, si frappone una serie di piccoli particolari: una crescita nominale del 3,5%, non pare affatto realizzabile, meno che mai una "reale" all'1,5, perchè comunque l'inflazione sarebbe ben al di sotto del 2%. Quest'ultimo un problemino non da poco, visto che, viceversa, lo spettro concreto è quello della deflazione e che l'inflazione al 2% pare un livello dimenticato e volutamente trascurato quando sia "in aumento". Tanto agognata ma tanto dannosa, ben oltre il problema dei "conti in ordine".
Ma non solo, realizzando queste ipotetiche condizioni che contrastano il quadro generale di tendenza dell'economia italiana - dato che implicano un impossibile super saldo delle partite correnti, superiore anche a quello ipotizzato dal governo nell'1%, ed anzi pari ad oltre il 2%, e, al tempo stesso, la ripresa di consumi e investimenti, mentre quantomeno quelli pubblici, nonchè la spesa corrente, sarebbero destinati a diminuire per effetto di tutta la politica fiscale già in atto e che si vuole acuire-, potremmo permetterci un deficit (fabbisogno) all'1,2% (per il 2015, se ci atteniamo al fiscal compact; dal 2014 se ci atteniamo al pareggio di bilancio costituzionalizzato: grande è la confusione sotto il cielo).
Ma questa molto ipotetica condizione, è stata già rinunciata, in partenza per il 2014: infatti, l'obiettivo tendenziale programmatico su cui sono tarate le misure fiscali conformi al DEF è quello di un deficit 2014 al 2,5%.
Dunque, a rigore, si sarebbe dovuta effettuare, e tutt'ora incombe, (anche seguendo l'ipotesi di crescita nominale del PIL al 3,5 e di inflazione al 2%, per l'appunto), una manovra per 1,8 punti nel corso del 2014 per rispettare il pareggio di bilancio costituzionalizzato; ovvero con effetto sul 2015, tenendo conto del triennio concesso per il pareggio decorrente, secondo il fiscal compact, dall'ultimo esercizio in cui siamo stati in "indebitamento" eccessivo: cioè, per l'esercizio successivo al triennio decorrente dal 2011.
Infatti, essendo il deficit 2013 più o meno al 3%, questo sarebbe, sempre seguendo l'ipotesi illustrata, il differenziale effettivo di consolidamento ulteriore corrispondente a tale previsione di crescita (beninteso).
Ma l'attuale manovra corregge, come abbiamo visto, solo per circa 0,6 punti di PIL (effetto aritmetico del dato programmatico indicato nel DEF e, in questa misura, "vistato con perplessità" dalla Commissione UE).
Ergo, o procediamo a tagli della spesa pubblica per oltre un punto di PIL - laddove, invece, nella migliore delle ipotesi, la spending review opererebbe nel 2014 per mezzo punto di PIL circa (è quanto si ricava dalle stime di Cottarelli per...sottrazione-, o procediamo a privatizzazioni per la quisquilia di 1 punto di PIL all'anno.
O a fare tutte e due le cose insieme: cosa che in misura inevitabilmente compromissoria sarà la via confusamente intrapresa (sperando che l'€uropa accetti una rinegoziazione).
Quest'ultima, in realtà, diviene un'evenienza che più che "probabile", è "inevitabile": infatti, l'€uropa non si muove di un millimetro (e noi ne invochiamo anzi di più), e la crescita nominale sarà, con ogni probabilità, e proprio a seguito delle manovre "inevitabili", o ottimisticamente vicina allo zero, o addirittura negativa, ove si applicasse il moltiplicatore corretto (almeno quello del FMI) al taglio della spesa pubblica.
Ed allora, la crescita sarebbe, - ma, paradossalmente, proprio per rispettare queste ipotetiche condizioni di sostenibilità del fiscal compact, (in assenza del quale non ci sarebbe bisogno di correzioni e neanche di porre ulteriori obiettivi di riduzione del deficit), - prevedibilmente non a +0,7 (previsti dall'Istat), ma molto più realisticamente circa tra -0,7 e -1%.
Infatti, in presenza di possibili fattori esterni di rallentamento della domanda mondiale ("mondiale", non europea che certo non si riverserà in una crescita dell'importazione dai vicini, cioè proprio quello che le politiche "€uropee" stanno contrastando), - dovuti a fattori già ora scontati e ad altri "incombenti", che tutti paventano - cioè a shock finanziari dovuti alle più varie bolle immobiliari e sui vari derivati e settori azionari iper-valutati nel mondo (ed ai conseguenti interventi sul sistema bancario e dei pagamenti)-, la variazione del PIL (nominale?) ben potrebbe collocarsi all'interno di una forchetta tra -0,7 - ove tutto andasse per il meglio e si realizzasse il previsto saldo delle partite correnti a +1% insieme ai suddetti volumi di spending review- e un valore superiore a -1%, ove il saldo CAB fosse, non imprevedibilmente, inferiore, e la correzione fiscale si dovesse urgentemente manifestare come superiore.
Col risultato che il deficit 2014 tenderebbe a collocarsi proprio a quel superiore livello del 3%, o anche, nell'altra ipotesi di scoppio delle bolle e di recessione superiore, ad una cifra più alta.
Solo che, in entrambe le ipotesi, il PIL, denominatore, sarebbe decrescente e pertanto il fiscal compact imporrebbe un abbattimento del debito ben superiore a quello aritmeticamente ipotizzabile in caso di crescita.
Cioè, mentre in quest'ultimo caso dovremmo puntare a 1 punto all'anno di privatizzazioni (e simultanea spending review, comunque prevista, almeno per mezzo punto, che si trasformano in un calo più che doppio del PIL per effetto del solito moltiplicatore), nel caso di recessione dovremmo comunque intaccare lo stock patrimoniale non solo pubblico, ma anche privato, di una ulteriore misura corrispondente alla decrescita effettivamente registrata nel suo valore nominale ed al maggior indebitamento fiscale.
Insomma, se il 2013 vedesse riconosciuto un debito, al netto dei crediti (formali) verso paesi UEM e fondi salvastato, del 133%, il dato che si presenterebbe alla fine del 2014, per effetto di un deficit attestato al 3 virgola qualchecosa %, e di un PIL nominale diminuito in misura corrispondente a circa 0.7-1 punti (ripeto è un'ipotesi neppure troppo pessimistica),è quello di un rapporto debito/PIL superiore al 137% circa (bisogna scontare che proseguiranno le nostre contribuzioni all'ESM proseguiranno e che forse la Grecia, o la Spagna, o il Portogallo, potrebbero richiedere nuovi interventi e parte del fabbisogno sarebbe ipoteticamente scorporabile come credito),.
Il che, in assenza di crescita, appunto, ci obbligherebbe a dimnuirlo con bel altro che 1 punto di privatizzazioni e una spending review nella misura immaginata attualmente.
Usando il criterio linkato, il debito aumenterebbe in misura pari al rapporto tra "decrescita" nominale (circa lo 0,7 "ottimistico") moltiplicato per 1,33 (percentuale del debito/PIL effettiva a fine 2013), ma essendoci il segnalato calo del denominatore-PIL, con l'aggiunta di almeno 3 punti corrispondenti a un deficit realizzato in recessione. .
E in più "potremmo permetterci" un deficit "lecito", cioè conforme al pareggio di bilancio costituzionalizzato nonchè all'altro simultaneo obbligo posto dal fiscal compact, di circa 1,2 (cioè lo 0,5 ammesso e poi corretto dal "ciclo" recessivo del PIL nominale in prosecuzione).
La correzione a fine anno, dunque, dovrebbe essere di circa 4 punti a titolo riduzione del debito e di circa 1,3 punti, dando per buono il deficit tendenziale programmatico al 2,5%.
Ma abbiamo visto che la recessione, anche minimalisticamente considerata, riporterebbe il deficit almeno al 3% se non oltre. Quindi, realisticamente, cioè applicando il moltiplicatore (che ha finora sempre segnalato il dato esatto a consuntivo), almeno 4 punti + 1,8 di riduzione del deficit, quindi una correzione ben superiore a 5 punti di PIL (vicina a 6 punti: e sempre se ci riconoscono il criterio del debito al netto della contribuzione UEM).
Poichè privatizzazioni nella misura di queste dimensioni non sono realisticamente realizzabili (data anche l'ovvia depressione dei valori di attività poste in offerta alla disperata), aspettatevi che decidano manovre patrimoniali straordinarie, sia sulle attività finanziarie liquide (super-prelievo forzoso sui conti correnti bancari), sia di ulteriore inasprimento dell'imposizione sugli immobili: anzi, l'enfasi sulle riforme, sul taglio ai costi della politica, è dichiaratamente funzionale proprio a far accettare quest'ultima linea, perseguibile attraverso la consistente revisione in aumento delle rendite catastali (prevista dalla legge-delega fiscale che aspetta solo di essere definitivamente approvata).
Col non trascurabile incombente pericolo di:
a) contrazione dei consumi per la repentina contrazione del risparmio per una tassazione patrimoniale da fronteggiare inevitabilmente col reddito;
b) ulteriore contrazione degli investimenti, sia per l'inasprimento del credit crunch sia per la ovvia diminuzione della propensione in situazione di contrazione ulteriore della domanda;
c) aumento delle insolvenze sui mutui dovuta alla inevitabile ulteriore contrazione dei prezzi immobiliari;
d) fuga ulteriore di capitali all'estero, date le aspettative così innescate.