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CRISI €CONOMICA E POLITICA INTERNA- DEMOCRACY (fractalic) UPWARD TREND

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Abbiamo parlato nel precedente post della dimensione internazionale della crisi attuale, indicando lo scenario giuridico-economico in cui vanno collocati i trattati in genere, e, quale punta di diamante del neo-liberismo (ordinamentale), quello UE-UEM.
E cercando di chiarire come non si possa proporre, in un corretto intendimento del fenomeno dei trattati, un'alternativa "ideologica" degli stessi con la Costituzione, inevitabilmente basata su un arbirtrario accostamento di fonti disomogenee per legittimazione, gerarchia, funzione e destinatari.
E' cioè del tutto improponibile, sul piano della teoria generale delle fonti, rivendicare una pari vincolatività giuridica dell'internazionalismo rispetto alla determinazione sovrana dell'assetto democratico propria delle Costituzioni, per il diverso piano su cui si muovono i due fenomeni giuridici: l'uno volto a ratificare i rapporti di forza socio-economici tra i soggetti "Stato", che si svolgono nell'agone della comunità internazionale, l'altro nascente dal "potere costituente" formato dall'identificazione comunitaria di un popolo, che si autoorganizza per fissare i diritti fondamentali, che caratterizzano la sovranità democratica e le istituzioni che li dovranno tutelare.
Eppure questo capolavoro ossimorico è riuscito ai "costruttori dell'€uropa", ma come la stessa moneta unica, è una costruzione insostenibile, non solo logicamente, ma anche economicamente. E i suoi effetti insopprimibili la travolgeranno.

Oggi facciamo alcune schematiche considerazioni di politica interna.
Lo schema "frattalico" ci suggerisce qualcosa che ha a che vedere con la "omotetia" interna al susseguirsi delle situazioni storico-politiche che tendono a riprodursi.
Il principio ha anche a che vedere con la realtà delle dinamiche sociali e con la ciclicità delle ascese che seguono alla compressione di una qualsiasi forza.
Come nel mercato dei titoli, quotati o over the counter, l'upward trendè insito nel prezzo troppo basso formatosi su un certo bene, allorchè la sua sostanza reale (cioè sociale), rappresentata dal fenomeno di intrapresa economica sottostante, non giustifichi quel prezzo in assenza di un eccesso di offerta (ad es; sovraproduzione o espressione del prezzo di offerta in una valuta sopravvalutata, specie in un sistema di cambi fissi), o di una debolezza della sua domanda.
Ciò vale per la democrazia nel suo complesso: se questa è tutela dei diritti fondamentali sociali da parte di istituzioni che devono perseguirli, ritraendo esclusivamente da ciò la loro legittimazione, e se l'euro, in primo luogo, unitamente ai "vincoli" fiscali e istituzionali che gli si accompagnano, si risolve nella negazione programmatica del perseguimento di tali diritti fondamentali sociali, la conseguente espropriazione delle politiche monetarie, fiscali ed economiche, in nome della adozione e della conservazione della stessa moneta unica, si risolve in un deprezzamento della democrazia.

Ma poichè la stessa corrisponde a un fenomeno sociale di dignità umana diffusa (pluriclasse), istituzionalizzata da norme superiori che non possono essere giuridicamente oscurate dai vincoli europei (come paradossalmente dimostra l'atteggiamento istituzionale tedesco), - fenomeno che determina la stessa crescita del benessere e la promozione di quel progresso economico, culturale, tecnologico, in un substrato sociale che è abituato a considerarlo come un dato "esistenziale"-, questo deprezzamento della democrazia non ha alcuna giustificazione sociale, economica o giuridica.
Anche se tentano di giustificarlo come "globalizzazione", come pretesa interdipendenza dall'ascesa economica di altre aree del mondo, che sottrarrebbero le mitiche quote di mercato, e di ricchezza, e di occupazione, alle nostre comunità sociali.
Quanto questa bizzarra teoria sia legata alla fallace idea della "competizione" tra Stati visti come maxi-imprese in concorrenza tra loro, affidando il presunto benessere dell'uno alla sottrazione di quote di mercato all'altro, e trascurando la prevalente e insopprimibile rilevanza della domanda interna, ci venne illustrato da Krugman (nel 1994, a "prima lettura" del trattato di Maastricht), nella famosa metafora circa l'illusione che la crescita della Coca-Cola potesse realizzarsi solo vendendo il prodotto ai dipendenti della Pepsi.
Sul piano economico, è vero piuttosto il contrario, e cioè che la capacità esportativa di un paese dipende dagli investimenti effettuabili nel medio-lungo periodo, che a loro volta dipendono dal livello del risparmio e dalla presupposta crescita della domanda interna.
Quest'ultima, a sua volta, è costituita dai consumi e dagli investimenti privati e certamente anche da quelli pubblici, mentre, invece, l'idea che reprimendo drasticamente questi ultimi, procedendo alle "mitizzate" privatizzazioni, e tagliando drasticamente il livello dell'intervento pubblico portasse a maggior crescita degli investimenti e dei profitti privati (crowding-out), cioè tutto quanto si accompagna all'ulteriore limite della moneta unica modulata sulla disinflazione e sulla riduzione dell'indebitamento pubblico, porta, al contrario, ad un sequenza infernale di caduta dell'occupazione, dei redditi, delle stesse entrate fiscali: e con ciò, inevitabilmente, alla caduta di risparmio e investimento, costringendo, in una logica che ricalca quella del gold-standard, a poter soltanto predicare una ulteriore deflazione salariale come unico mezzo di ripristino della "competitività" e dell'attivo delle partite correnti. Effetti effimeri, se realizzati a costo del "deserto" della deindustrializzazione inevitabile.

Dunque la democrazia, come sopra connessa all'uso razionale degli strumenti della sovanità monetaria e fiscale, diviene così un "bene scarso", e proprio mentre la domanda di tale bene raggiunge il massimo dei suoi livelli legittimi, in misura direttamente proporzionale al livello della disoccupazione e inversamente proporzionale a quello dell'inflazione.
Perciò, se fossi un ipotetico investitore in "titoli" della fenomenologia politico-economica, oggi, data la scarsità e la simultanea forte domanda, al prezzo basso, anzi ridicolo, che gli si continua ad atttribuire, predicando come impossibile l'uscita dall'euro e il "più Europa" come unica soluzione, punterei con decisione sul bene "democrazia".

E non fatevi "emozionare" dalle vicende cui assistiamo in questi giorni: sono solo rigurgiti ante mortem di un sistema di potere basato sulla irresponabile comprensione delle ragioni della crisi economica.
Gli attuali attori, per "nuovi" che credano di essere, si ritroveranno solo ad acuire le ragioni della crisi che non hanno compreso e che, anzi, non possono geneticamente (sul piano politico-culturale), comprendere.
Mantenendo il sangue freddo, come si addice a chi ha capito l'irrazionalità suicida in cui spesso si avvita il "mercato", basterà attendere l'autoeliminazione di questi attori crepuscolari, tutti, nel loro insieme ambiguo e tortuosamente legato a dissimulare la fascinazione liberista a cui non trovano alternative.
Sulla questione dell'euro, in particolare, si verificheranno, nei prossimi mesi (ma forse, tristemente in ritardo, "anni"), scissioni e riposizionamenti a 180°, oggi inimagginabili (nella "loro" visione culturale alterata).

Non potrà sopravvivere nessuno di quelli che, prima e specialmente oggi (ultimo tocco della "campana"), avevano l'ultima occasione per abbandonare ogni ambiguità e puntare sulla democrazia e sul recupero della sovranità (democratica), cioè sull'eliminazione delle ragioni strutturali e programmatiche della crisi.
La loro occasione l'hanno avuta: potevano scegliere tra la guerra e il disonore(dell'ammettere di aver sbagliato un "enorme investimento politico"); hanno scelto il disonore (contro la democrazia) e avranno la guerra (di liberazione).
Be patient: abbiamo subito tanto a lungo, che adesso possiamo aspettare ancora un poco...Poco (non pochissimo).

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