
Oggi ho fatto un giro per il centro di Roma. Ma di quelli veri: non distratto dal vincolo del percorso verso l'ufficio e con l'occhio al traffico e all'orologio. Una lunga passeggiata che ha abbracciato i principali luoghi del centro, storico-politico-commerciale, della Capitale.
Siccome era un bel pò che non mi capitava, ho fatto caso allo scenario che mi si presentava: all'incirca un negozio su tre, dopo il normale orario di apertura, non era aperto. E parliamo della zona centrale di maggior richiamo turistico, quella percorsa da folle di stranieri, (per la verità neppure loro dall'aspetto troppo bene in arnese), trascinati variamente in visita ai più famosi monumenti.
La mia libreria preferita, era chiusa: il cartello diceva "per inventario", senza precisare date di riapertura.
Lo stesso era capitato all'agenzia turistica da cui mi servivo (nei tempi ante operatori on line, che peraltro, sono intermediari spesso legati alle multinazionali, che si prendono e si esportano i profitti di intermediazione). Non ha più riaperto. E questo l'ho già visto con altri negozi in liquidazioni finali che, dopo tanti annunci a lettere cubitali, si sono tristemente rivelate vere.
Non pretendo di aver fatto uno studio congiunturale sul campo. Vi trasmetto solo qualche impressione.
Quasi per caso sono entrato nel negozio di tessuti dove da oltre 30 anni mi servo: ho fatto una scoperta niente male.
Il tessuto per sostituire un vestito invecchiato (dopo oltre 20 anni), alla fine, mi è costato meno di 20 anni fa, al tempo della lira. L'avevo pagato, appunto, circa 45.000 lire al metro: ora sta a circa 23 euro. Dopo 20 anni. Me l'hanno presentato come offerta in saldo. Ma non era esposto tra le offerte indicate come tali; l'ho additato e mi hanno dispiegato la pezza, suggerendomi un prezzo e uno sconto ulteriore.
Dall'ottico in cui mi sono recato per sostituire gli occhiali che mi sono rotti (contribuendovi un incidente in moto di circa un anno fa...da cui conseguì un periodo di riposo forzato che ha partorito..."Euro e/o democrazia costituzionale"), ho appreso che rimane in attività avendo smesso di utilizzare fornitori diretti delle grandi marche e rifornendosi sui magazzini retail dei colleghi con eccessi di giacenze (sulle quantità imposte dai distributori stessi). Diversamente non potrebbe più tenere aperto.
Naturalmente, l'amico ottico mi ha raccontato le consuete vicissitudini di colleghi e conoscenti su scoperti bancari, mutui ipotecari di gente che non sa più come pagare e morosità di canoni di locazione su un mercato in cui l'affitto, in posizione supercommerciale, da lui stesso pagato, era alla fine praticamente dimezzato.
Intorno uno scenario, mai visto in tutta la mia vita, di "invenduto": vecchi ristoranti, alcuni un tempo pieni comme-il-faut, ai tempi dell'edonismo di B., sono stati chiusi: così, da pochi mesi o nelle ultime settimane.
Alcuni sostituiti da moderni investimenti in ristorazione formal-multietnico, da servizio per business da pranzo e cena più o meno "fashion-lounge". Compìti addetti scrutavano il mondo esterno speranzosi di clienti che entrassero, magari attratti da odori e colori e dall'aura "nuovo di zecca". Ma tutto mi è parso oscillare tra il mezzo-vuoto e la desolante desertificazione.
Ammortamento dell'investimento? Trovate delle linee di credito? Come? Lasciamo perdere...Di sicuro non si sa quanto potranno durare.
Come anche il negozio di abbigliamento sportivo che un tempo aveva di tutto e di più e che ora mi proponeva varietà limitate di articoli nuovi e, specialmente, di residuati dal magazzino degli anni scorsi. Ma in poche taglie e in pochi colori. Un effetto "Jugoslavia" anni '80, sul lato dell'offerta, teoricamente un tempo tipica dell'attivismo italiano (vi risparmio i nomi dei marchi), che, più o meno, mi ha rammentato la limitatezza della gamma di articoli che avevo trovato nei negozi analoghi dei luoghi più turistici in...Egitto.
Che volete che dica?
Questa è solo una piccola cronaca di una passeggiata.
Davanti a Montecitorio, l'ennesima manifestazione di qualche gruppo di pubblici impiegati che issavano dei cartelli contro il "nuovo" art.97 Cost. (sul pareggio di bilancio delle singole amministrazioni), e che rivendicavano "la p.a. non si svende al primo venuto". Ah no? Sono 20 anni che lo stanno facendo e nessuno se ne era accorto?
Una "leader" col megafono annunciava l'imminente arrivo di una deputata che li avrebbe ascoltati.
Non faccio nomi: ma è una di quelle che quando vanno in TV parlano di tagli alla spesa pubblica e di riduzione della burocrazia per risanare l'economia.
La coerenza e la comunicazione politiche ormai sono un percorso da "Qualcuno volò sul nido del cuculo", ma nella parte seguente all'operazione di lobotomia.
Non ci sono grandi dubbi: LA DEFLAZIONE E' QUI. Ed e' una brutta bestia, difficile da mandar via.
Specie perchè, a far scendere l'inflazione, basta ridurre deficit e spesa pubblica, con opportuni vincoli su debito e indebitamento pubblici e una bella Banca centrale "indipendente", per portare gli interessi reali in positivo. CON UN BEL VINCOLO VALUTARIO CHE SOPRAVVALUTI LA MONETA E LIMITI LA DOMANDA ESTERA.
Da lì tutto un percorso di destrutturazione dell'offerta del lavoro e di deflazione salariale che, posta in termini di competitività di prezzo, non può che andare verso retribuzioni reali in calo e consumi a debito; finchè reggono.
Ma a farla riaumentare, a 'sta inflazione, riaprendo la speranza di investimenti e consumi, non è così facile; specie dopo 20 anni di politiche deflattive, che stimolate da mancati investimenti in riceerca e innovazione, hanno depauperato per sempre la struttura produttiva dell'economia reale, distrutto intere filiere e posto definitivamente nel dimenticatoio fiumi di manodopera con know-how che non aveva più senso ancora ricercare e rinnovare. Quanto semmai "delocalizzare". For ever and ever.
A un livello complessivo, questa politica deflattiva, prolungata oltre il limite in cui l'inflazione costituiva una qualche forma di problema, e alla ricerca della "competitività" (di prezzo, mica quella IRS), ed accentuata istericamente per ovviare alla crisi finanziaria e, specialmente, di posizione netta sull'estero, aggravatasi negli ultimi 10-12 anni= gli anni dell'euro, HA PRODOTTO DANNI IRREVERSIBILI.
Ancora una volta, a vedere la risposta della politica italiana, a questa situazione così clamorosamente sotto gli occhi di chiunque voglia osservare la realtà senza il filtro dei media di regime, LA RISPOSTA DEVE ESSERE: NO.
Ma, nella ridda di riforme costituzionali e del lavoro, e della "burocrazia" che si affastellano, come cavoli a merenda, nella visione, ora militarizzata, di SLOGAN SCOLLATI DALLA REALTA' con cui stanno ubriacando i teleutenti pre e post-lobotomizzati, QUELLA CHE PREOCCUPA DI PIU' E' LA REAZIONE DELL'OPINIONE PUBBLICA.
Non tanto per il suo comportamento elettorale:quest'ultimo certamente privilegia due forme di tea-party che predicano politiche accentuative della crisi da domanda, trascinando, tale opinione pubblica, a sostenere ed acclamare livorosamente ciò che renderà irreversibili i problemi in cui è impanatata a causa della disinformatja mediatica.
No; quello che è veramente preoccupante è che, nella sostanza, la stessa opinione pubblica è lontanissima da qualsiasi consapevolezza, collegata in orizzontale, solidale e collettiva, del gioco in cui sta per essere stritolata.
Nè in alto- nei livelli dei governanti-margravi del Sacro Romano Impero neo-germanico-, nè "in basso", c'è dunque traccia della risorsa che può riattivare la "traiettoria culturale": LA CULTURA CIVILE, DEMOCRATICA, ECONOMICA, in una parola COSTITUZIONALE, che possa rendere percepibile questo disegno allucinante e talmente evidente da risultare incredibile.
Ti stropicci gli occhi, incredulo, ma, come un miraggio che tale non è (più), il "mostro" rimane sempre lì. Unica cura?
Attualmente, pare quella di accettare di essere lobotomizzati e vivere infelicemente senza capire...MA CON LIVORE, SI INTENDE.