
Come molti di voi ben sanno, a me piace il modo di vedere le cose di Ha-Joon Chang.
Sergio Govoni, un amico-lettore-costruttore del blog, mi ha regalato l'ultimo libro di Chang,uscito nel marzo 2014, "Economics: the User's Guide". E' una lettura che consiglio, naturalmente.
La sua visione complessiva delle vicende che hanno caratterizzato l'economia mondiale negli ultimi decenni, narrate con linguaggio semplice e diretto (ma non scevro da diversi livelli, o strati, di lettura), è una piccola summa di ciò che i politici e, in generale, la governance capitalistico-finanziaria del mondo "globalizzato", dovrebbero aver ben chiaro.
Anche se in innumerevoli occasioni, abbiamo constatato che questo auspicio (ovvero questo indispensabile presupposto), è in pratica quasi del tutto irrealistico.
Una cosa mi pare importante sottolineare da subito: Chang ci racconta come "la caduta del blocco socialista ci ha fatto transitare in un periodo di "trionfalismo del libero mercato". Qualcuno, come lo scrittore (allora) neo-con Fukuyama, sentenziò la "fine della Storia" (no, non la fine del mondo), basandosi sul fatto che avevamo identificato in modo conclusivo il miglior sistema economico nella forma del capitalismo. Il fatto che il capitalismo si manifesti in molte "varietà", ciascuna con particolari punti di forza e di debolezza, fu beatamente ignorato, nello stato di euforia di quel tempo".
Un tratto unificante, in ogni parte del mondo "avanzato", diciamo quello OCSE, di questo atteggiamento culturalmente e scientificamente approssimativo, è la sua finalità politica: essa consiste nel riaffermare in realtà il liberismo della scuola neo-classica come modello-pensiero unico: certo, opportunamente rivisitato nel nuovo ambiente tecnologico, geopolitico e istituzionale, creatosi tra l'inizio e la metà degli anni '90 del secolo scorso.
Si trattò dunque del ripristino del "capitalismo sfrenato", di cui abbiamo parlato nel post su "Popper e le catastrofi europee", e, al tempo stesso, di nuovi modi di imporre mediaticamente, e quindi nell'ambito democratico-elettorale, ciò che della democrazia è in realtà la negazione in termini.
I punti pregnanti di questo "originario" modello da restaurare sono indicati da Chang nell'imperialismo (ipocritamente mercantilista, cioè fingendo, nelle enunciazioni teorico-scientifiche, di non appoggiarsi alla superiorità tecnologica delle armi), espresso nella imposizione di trattati di free-trade sempre a spese dei paesi politicamente e militarmente più deboli, nella vera e propria occupazione coloniale di questi, nonché, sul fronte interno, nella politica fiscale del pareggio di bilancio (the balanced budget doctrine) e nella politica monetaria incentrata sul gold standard.
Nella nuova "era" dell'imperialismo mercantilista e del gold standard "camuffati" (cioè dell'ordoliberismo, se osserviamo la realtà europea), la dottrina del pareggio di bilancio e le modifiche della distribuzione geografica del reddito sono imposte da svariati organismi sovranazionali, che mimano finalità di aiuto, ma che in realtà, nell'interesse del paese prevalente e creditore - che controlla tali organismi (dal FMI-World Bank, nei contesti extraeuropei, alla Commissione-FMI-BCE in UEM), prestano fondi "salvifici" (dei...creditori)in cambio di"structural adjustement programme" (SAP).
I SAP invariabilmente richiedono "di restringere il ruolo dello Stato nell'economia, tagliando la spesa pubblica e il deficit, riducendo la regolazione (l'odiosa burocrazia causa di ogni male) specialmente nel traffico internazionale di merci servizi e, ovviamente, capitali."
Anche a questo riguardo, abbiamo visto più volte come i trattati UE siano geneticamente asimmetrici e come, in quanto tali, abbiano implicato una ratifica di rapporti di forza corrispondenti (e inevitabilmente incrementali), come l'euro sia una forma "relativa", cioè operante all'interno dell'area UEM, di gold standard, e come, nello sviluppo degli inevitabili eventi che hanno caratterizzato l'area valutaria asimmetrica e intenzionalmente imperfetta, si è arrivati a ripristinare la dottrina del pareggio di bilancio. Per la verità, parrebbe, solo a carico dell'Italia, ma, comunque, non senza aver prima dogmatizzato la follia di un tetto al deficit pubblico di bilancio che non solo è fisso, ma uguale per tutti i paesi UE a prescindere dalle rispettive esigenze di politica industriale e divergenti fasi del ciclo economico.
In Italia, insomma, accecati dal sacro furore di estirpare il nazionalismo, si è gettata nell'oblio la coscienza storica del fatto - ben chiaro a Chang- che le guerre sono innescate dall'imperialismo dominatore dei "liberi" mercati (altrui).
E, parimenti, si è del tutto dimenticato che la via di affermazione privilegiata dell'imperialismo mercantilista o del libero-scambismo (le più tipiche forme del mai domo capitalismo sfrenato, ma non certo l'unica forma del capitalismo in sè) sono i trattati di free-trade.
Questi possono portare dei vantaggi, ma ad inevitabile distribuzione ineguale; questa va poi peggiorando, fino a divenire insostenibile per lo sviluppo ed il benessere della parte che se li vede imporre. E per di più da parte di Stati che, in questo nostro frangente di Italia alla "resa dei conti" (fallimentare), avevano certamente una tradizione imperialista, coloniale e liberoscambista, ovvero militare tout-court, che non poteva dar adito a grandi dubbi sul ripetersi del fenomeno.
Questi possono portare dei vantaggi, ma ad inevitabile distribuzione ineguale; questa va poi peggiorando, fino a divenire insostenibile per lo sviluppo ed il benessere della parte che se li vede imporre. E per di più da parte di Stati che, in questo nostro frangente di Italia alla "resa dei conti" (fallimentare), avevano certamente una tradizione imperialista, coloniale e liberoscambista, ovvero militare tout-court, che non poteva dar adito a grandi dubbi sul ripetersi del fenomeno.
Ora, in piena rassegnata e fanatica adesione a questo schema di neo-colonialismo, la classe dirigente italiana pare letteralmente ossessionata dagli INVESTIMENTI DIRETTI ESTERI. Cioè dal fatto che il nostro sistema industriale venga acquistato da controllori non nazionali: il solo fatto che questi non siano legati culturalmente e politicamente al territorio italiano e alla sua comunità sociale, rende altamente probabile una intrinseca logica finanziaria di questi investimenti. O anche una logica acquisitiva anticoncorrenziale, cioè da parte dei concorrenti, principalmente europei (ma non solo), al fine di controllare la filiera, gli investimenti nonchè il livello occupazionale e salariale, in funzione esclusiva di profitti, rapidi ed immediati, da realizzare e portare nelle sedi estere degli investitori.
Nella totale "financial deregulation", che in UE le autorità bancarie e politiche si rifiutano di affrontare (se non inasprendo miopemente la vigilanza prudenziale e autogestita della banca "universale", qualità che è il vero irrisolto problema), gli IDE assomiglieranno sempre più alle famose "hostile takeovers"; quelle, ci rammenta Chang, viste nel primo film "Wall Street", in cui cambia il controllo dell'impresa contro la volontà del management e degli azionisti di precedente maggioranza.
Con la prospettiva che possa verificarsi lo "asset stripping", cioè la vendita, da parte dei nuovi "controllori", degli assets di maggior valore, senza alcun riguardo per la vitalità di lungo periodo dell'impresa stessa. (Quanti casi del genere, tra Alitalia e Telecom, ex-grandi e solide imprese pubbliche privatizzate in nome dell'€uropa e del "rientro del debito"?).
Al riguardo Chang aggiunge, "'per evitare questo destino, le imprese devono distribuire profitti più rapidamente di prima. Altrimenti, gli azionisti impazienti venderanno, riducendo il prezzo delle azioni ed esponendo così l'impresa ad un pericolo ancora maggiore di takeover "ostile".
E il modo più facile per le società di distribuire profitti veloci, è attraverso il downsizing, cioè il ridurre la forza lavoro e minimizzare gli investimenti oltre quanto necessario, per avere risultati immediati, anche se tali azioni diminuiscono le prospettive aziendali di lungo periodo."
Non si scampa.
E si tratta del normale modo di agire delle maggiori imprese, altamente burocratizzate (nella separazione tra proprietà e gestione), dotate di potere di mercato oligopolistico e che, nella logica tipica del controllo dei livelli salariali tramite il sistematico livello sub-ottimale dell'occupazione, anelano all'abrogazione dell'art.18. Che si rivela così uno scontato acceleratore pro-ciclico della recessione-disoccupazione.
E si tratta del normale modo di agire delle maggiori imprese, altamente burocratizzate (nella separazione tra proprietà e gestione), dotate di potere di mercato oligopolistico e che, nella logica tipica del controllo dei livelli salariali tramite il sistematico livello sub-ottimale dell'occupazione, anelano all'abrogazione dell'art.18. Che si rivela così uno scontato acceleratore pro-ciclico della recessione-disoccupazione.
La realtà dell'euro, aggiungiamo, è anche questa.