
In continuità col post di ieri, in cui la questione "astensionismo elettorale" era proiettata sulla incomprensione, da parte della politica, degli effetti del modello economico e sociale che l'acritico "più Europa" sta imponendo al nostro Paese, vi riporto questa significativa conversazione nata da un commento di Flavio.
Quest'ultimo rispondeva a sua volta a questa mia notazione:
"...ad essere pratici, entro poco, il problema sarà "essere rieletti o andare a lavorare". In Italia. Fattore da non trascurare...
Tanto più che Confindustria vaga nel buio, non pervenuta neppure a se stessa, visto che l'unica cosa che sanno ripetersi è che con l'euro pagano meno le importazioni e il costo del lavoro può essere illimitatamente compresso.
Peccato che, mentre si estinguono (i fatturati e la proprietà italiana), gli altri europei hanno praticamente già mollato l'UEM".
Tanto più che Confindustria vaga nel buio, non pervenuta neppure a se stessa, visto che l'unica cosa che sanno ripetersi è che con l'euro pagano meno le importazioni e il costo del lavoro può essere illimitatamente compresso.
Peccato che, mentre si estinguono (i fatturati e la proprietà italiana), gli altri europei hanno praticamente già mollato l'UEM".
Così, dunque, Flavio:
"Collegandomi a importazioni e costo del lavoro, segnalo l'interessante studio di Klodian Muco dell'Università di Argirocastro, Albania.
Fa specie leggere (soprattutto dopo dati snocciolati da Poggio):
Fa specie leggere (soprattutto dopo dati snocciolati da Poggio):
"...nell’ultimo decennio oltre ventisettemila aziende italiane hanno delocalizzato la produzione all’estero, creando oltre 1.5 milioni di posti di lavoro esteri e lasciando allo stato una fattura da 15 miliardi di euro per gli ammortizzatori sociali... soltanto il 10% di queste aziende sono andate oltre i confini europei (soprattutto in Asia) mentre la restante parte sono rimaste in Europa, in Austria, Svizzera, Germania, e soprattutto nei paesi balcanici...
Secondo un studio condotto dalla Confindustria Balcani nel 2012, il salario medio in Romania è di 350 euro mentre in Albania è ancora più basso, 250 euro. Il salario medio nell’area balcanica è di 411 euro, circa tre volte in meno rispetto al salario medio in Italia.
Ma il livello dei salari non è l’unico vantaggio per spostare la produzione nell’area balcanica. Anche le condizioni fiscali sono molto attraenti per gli imprenditori stranieri. Per queste ragioni un grande numero di imprese italiane si è spostato nell’area in questione: 17.700 imprese di cui 15700 solo in Romania.
Nelle imprese italiane con sede nell’area balcanica lavorano oltre 900.000 persone, di cui 800.000 soltanto in Romania (Confindustria Balcani, 2012).
Questo trend negli ultimi anni sta cambiando: secondo stime non ufficiali, l’entrata della Romania nell’UE ha determinato la “fuga” delle imprese italiane in altri paesi non aderenti all’UE, come per esempio l’Albania... le aziende che spostano la produzione all’Est non chiedono solo una manodopera a bassissimo costo e relativamente specializzata ma vogliono anche una manodopera poco tutelata..."
"E poi dicono che l'UE non è "solo" un trattato free-trade, con tutti i suoi effetti di specializzazione irreversibile e di depauperamento strutturale dei paesi industrialmente meno attrezzati (e parliamo di cultura, a partire dall'alto, cioè da chi riveste il ruolo di imprenditore).
Sottolineo che "l'eccesso di tutela" del lavoro che ora viene ritenuta esistere persino in Romania, null'altro è che l'indice di una "cultura di impresa" ormai divenuta religione unica per gli operatori economici italiani. Una vocazione che altro non è che l'abbandono, - per motivi in definitiva valutari e di staticità nel concepire prodotti e processi-, delle filierecapital intensive a caratterizzazione IRS.
Che è poi l'altra faccia della medaglia della fuga dei cervelli, o quantomeno del personale qualificato, - con sostanziale trasferimento, a favore di paesi terzi più dotati di imprenditori desiderosi di mantenere tali filiere strategiche-, della spesa pubblica investita nel creare queste competenze.
Il che spiega anche perchè, in fondo, nell'investimento in istruzione, ricerca e formazione, i nostri governi, condotti con mano salda da questa cultura "imprenditoriale", non credano ormai più.
E non si rendono conto che attrarre i famosi IDE, cioè imprese multinazionali che trovino conveniente produrre in Italia avendo, nelle illusioni del mainstream, competenze e know-how "di punta", non è questione che sia risolvibile allineandosi al ribasso, per retribuzioni e prima ancora per qualificazione della manodopera, ai paesi dell'Est europeo."
Sottolineo che "l'eccesso di tutela" del lavoro che ora viene ritenuta esistere persino in Romania, null'altro è che l'indice di una "cultura di impresa" ormai divenuta religione unica per gli operatori economici italiani. Una vocazione che altro non è che l'abbandono, - per motivi in definitiva valutari e di staticità nel concepire prodotti e processi-, delle filierecapital intensive a caratterizzazione IRS.
Che è poi l'altra faccia della medaglia della fuga dei cervelli, o quantomeno del personale qualificato, - con sostanziale trasferimento, a favore di paesi terzi più dotati di imprenditori desiderosi di mantenere tali filiere strategiche-, della spesa pubblica investita nel creare queste competenze.
Il che spiega anche perchè, in fondo, nell'investimento in istruzione, ricerca e formazione, i nostri governi, condotti con mano salda da questa cultura "imprenditoriale", non credano ormai più.
E non si rendono conto che attrarre i famosi IDE, cioè imprese multinazionali che trovino conveniente produrre in Italia avendo, nelle illusioni del mainstream, competenze e know-how "di punta", non è questione che sia risolvibile allineandosi al ribasso, per retribuzioni e prima ancora per qualificazione della manodopera, ai paesi dell'Est europeo."
Aggiungeremmo un ulteriore chiosa: l'imponente aumento del carico fiscale sulle imprese e sul lavoro, nasce in Italia dal concomitante effetto di:
a) contrazione della base imponibile dovuta all'adozione di una moneta unica imperniata sulla sostanziale (ed immutabile) parità col marco ed ai suoi effetti di perdita della domanda estera (o di aumento delle importazioni, che produce lo stesso effetto di squilibrio), riduttiva del PIL;
b) imposizione immediata, a partire dall'applicazione dei criteri di convergenza di Maastricht, di limiti imperativi (derivanti da un trattato internazionale e contrari all'art.11 Cost. per i loro obiettivi effetti "in partenza) alla riduzione del deficit e dello stesso debito pubblico, con conseguente contrazione della domanda interna, e quindi del PIL (sotto la voce consumi e investimenti, pubblici e privati), determinata dalle misure che hanno attuato, lungo oltre 20 anni, tali limiti fiscali;
c) interazione e induzione reciproca di questi due fattori nel determinare il calo della base imponibile e quindi la crescente impossibilità di raggiungere i target fiscali medesimi, se non a costo di una continua escalation di nuove tasse e tagli alla spesa pubblica.
Va poi considerato che quest'ultima tende a riespandersi per via della disoccupazione crescente così indotta in via strutturale, che obbliga qualsiasi Stato ad effettuare interventi, in ogni forma, di sostegno ai disoccupati così creati. E ciò a prescindere dalla specifica legislazione che sia prevista in un singolo ordinamento per questi stabilizzatori "automatici" attivati in caso di diffusa e crescente disoccupazione.

INUTILE DIRE CHE LA CORRUZIONE NON C'ENTRA NULLA. E CHE L'EVASIONE, IN UNA SITUAZIONE DEL GENERE, DIVIENE L'ALTERNATIVA QUASI NECESSITATA DI CHI, NON VOLENDO RICORRERE ALLA DELOCALIZZAZIONE E ALLA ELUSIONE FISCALE (che implicano perdita di ricchezza e di gettito ben più imponenti), tenta disperatamente di sopravvivere producendo in Italia.
Alla disperazione di imprese sopravvissute (ma per quanto ancora?) e di disoccupati non vengono fornite risposte, se non acuendo tale schema distruttivo per via delle pretese €uropee, ribadite in occasione di ogni manovra fiscale italiana.
Questo spiega l'astensionismo.
MA NON SPIEGA PERCHE' L'INFORMAZIONE ITALIANA NON SIA IN GRADO DI PARLARE DI QUESTA MACROSCOPICA REALTA' PATOLOGICA...
