Quantcast
Channel: Orizzonte48
Viewing all articles
Browse latest Browse all 1237

LA CRISI COME (SANO) "AGGIUSTAMENTO AL CAMBIAMENTO" E LE ORIGINI DEL PAREGGIO STRUTTURALE DI BILANCIO

$
0
0
creazione

1. Qual'è l'origine del concetto di pareggio strutturale del pubblico bilancio su cui oggi si impernia la politica economica che la commissione UE impone, senza particolari adattamenti, ai paesi aderenti all'Unione monetaria?
Non sorprendentemente, tale concetto di politica fiscale è tratto dalle teorie, che si svilupparono durante la Grande Depressione seguita alla crisi del '29 negli USA, come reazione "liberista" alle politiche espansive, cioè in c.d. deficit spending, predicate sia dagli economisti variamente connessi all'Amministrazione Roosevelt sia, successivamente, definite come keynesiane.
Per trovare un'interessante rassegna de "The Depression-Era Case Against Expansionary Policies" suggeriamo la lettura di questo paper.
Teniamo conto della circostanza che, - proprio perchè la convinzione assoluta e persistente era quella che lo Stato dovesse agire come una famiglia e, quindi, non indebitarsi in alcuna circostanza e, semmai, risparmiare, cioè realizzare un surplus di pubblico bilancio al di fuori della condizione di "guerra"-, negli anni immediatamente anteriori alla crisi del '29, e fino allo stesso anno, il bilancio federale USA era in attivo.

Dai grafici che seguono, noterete anche come fino all'inizio del 1930 questo attivo sia stato mantenuto. Si può vedere come un sostanziale pareggio di pubblico bilancio (dopo una serie di deficit) fosse stato ripristinato intorno al 1936, allorchè, appunto, si è verificato il c.d. double dip, cioè la ricaduta in una fase recessiva del PIL USA negli anni 1937-38.







2. Una lezione per i seguaci delle teorie neo-classiche dell'equilibrio marshalliano? Niente affatto.
Hoover, presidente fino al 1932 e primo "gestore" della Grande Recessione, riteneva che una politica fiscale espansiva fosse da evitare per quanto possibile. 
Nel dicembre 1931 indirizza alla Nazione questo messaggio, le cui parole rieccheggiano "stranamente" (e, se volete, clamorosamente) le identiche frasi e formule utilizzate, poi, dai tecnocrati e dai governanti €uropei negli attuali frangenti di crisi economica dell'area euro:
"Il nostro primo passo verso la ripresa è di ristabilire la fiducia e ripristinare così il flusso del credito che è la base della nostra vita economica.

Il primo requisito della fiducia e della ripresa economica è la stabilità finanziaria del governo degli Stati Uniti.
Anche con un'accresciuta tassazione, lo Stato non oltrepasserà il limite assoluto di sicurezza della sua capacità di indebitarsi, nei limiti della spesa per la quale avviamo già preso impegno...Andare oltre questi limiti...distruggerà la fiducia, depriverà il commercio e l'industria, metterà in pericolo il sistema finanziario, e, in effetti, amplierà la disoccupazione e la depressione dell'agricoltura piuttosto che attenuarla."

3. Anche dopo l'arrivo di Roosevelt e il concepimento in varie - e, per il vero, notoriamente ondivaghe-, forme di intervento pubblico, la resistenza degli economisti e dei politici "neo-classici" al deficit spending non fu mai veramente abbandonata, tanto che solo i bruti risultati, fallimentari, dei vari tentativi di ristabilire un bilancio dello Stato in (almeno tendenziale) pareggio - appunto come in un famiglia- condussero al livello di pubblico intervento accresciuto che, lentamente, risolse la situazione e proprio con il verificarsi della massiccia spesa pubblica legata alla seconda guerra mondiale.
In tale direzione riportiamo un'eloquente opinione di Schumpeter, che esprime una convinzione tanto dura a morire da rimanere intatta, in tutta la sua potenzialità, nello stesso dopoguerra (laddove il deficit, come si vede dai grafici soprastanti, scomparve per alcuni anni dell'immediato post conflitto, ma, in verità, per la diminuzione improvvisa dell'economia di sovraproduzione "bellica", ovviamente finanziata dalla spesa pubblica). 
Ecco il lapidario pensiero di Schumpeter, che riporta come vi fosse un pregiudizio avverso"le politiche di stimolo fiscale come rimedio alla recessione, in quanto in sè, erano atte a produrre problemi aggiuntivi nel futuro...
Ciò in quanto le Depressioni non sono semplicemente dei "mali", che dovremmo tentare di sopprimere, ma...forme di qualcosa che si rende necessario ("which has to be done"), cioè degli aggiustamenti al cambiamento...e la maggior parte di ciò che sarebbe efficace nel porre rimedio ad una depressione, sarebbe egualmente efficace nell'impedire tali (benefici) aggiustamenti".

4. In questa cornice si spiega come, nello stesso immediato dopoguerra, si fosse subito riorganizzata la pressione verso l'abbandono delle politiche di deficit spending. Un gruppo di uomini d'affari "liberali" (whar else?) si organizzò (cfr; Galbraith "Storia dell'economia", pag.280) in un "Committee for Economic Development", il cui scopo era studiare come si potesse diminuire la disoccupazione e aumentare la produttività una volta tornata la pace. 
Tra i componenti del Committee, un ex-professore (di non grande popolarità accademica), poi divenuto executive di una catena di grandi magazzini, Beardsley Ruml, escogitò la formula del "pareggio strutturale di bilancio". 
Il concetto è che il finanziamento della spesa pubblica in disavanzo fosse una prova di irresponsabilità e che, dunque, il bilancio federale dovesse essere in balance - "pareggio".
Pur rifiutando espressamente di tributare un qualsiasi riconoscimento alle teorie keynesiane, nondimeno, Ruml concesse che il pareggio in equilibrio corrispondesse alla situazione di "piena occupazione", ammettendosi dunque delle deviazioni, cioè un bilancio in situazione di deficit, durante i periodi di maggior disoccupazione e per il tempo strettamente necessario a ripristinare il tasso di piena occupazione. 
Si tratta, a ben vedere, praticamente della stessa formula utilizzata nel "nuovo" art.81 (al secondo comma) della Costituzione!

5. Per farla breve, ecco come, oggi, in perfetta "Restoration" di questa ideologia economica, aggiornata e riproposta in totale avversione e "damnatio" delle politiche anticliche keynesiane, si giunge al fiscal compact ed alle formule odierne di pareggio strutturale.
Quest'ultimo viene così legato a un livello "indicizzato" di occupazione "piena", ritenuto funzionale e strettamente corrispondente al livello di inflazione desiderato, il cui target "ideale", com'è noto, viene posto al 2%: tale livello di disoccupazione, per l'Italia, è un tasso del 10,5%. 
Esso, peraltro, nel quadro del fiscal compact (art.3) dovrebbe corrispondere a un deficit al livello minimo inferiore dello 0,5%.
Ergo, il pareggio "strutturale", (con una serie di formule matematiche), viene considerato compatibile con un certo deficit ("l'obiettivo di medio termine"verso il pareggio) laddove la disoccupazione sia superiore a tale livello di disoccupazione (inflattivamente) "sana"
Ad es; l'Italia, in ciclo negativo (cioè di recessione a partire dal 2011 e ininterrottamente fino ad...oggi, Istat permettendo- v.par.14), può avere un deficit superiore allo 0,5, in quanto si registra un ciclo economico negativo con una disoccupazione intorno al 13% (poi si può vedere di quanti decimali aumenti o diminuisca; sempreche ciò abbia veramente un senso in termini di effettiva ripresa del prodotto interno....).

6. Ovviamente, per le regole del fiscal compact, questo deficit strutturale di medio termine dovrebbe, oggi, essere comunque inferiore a quello attualmente registrato dall'Italia; esso quindi "devia" dall'obiettivo legal€ di medio termine...confermando così che la ripresa responsabile e basata sulla fiducia, e cioè sulla austerità fiscale e il pareggio di bilancio, non si verifica affatto... 

La legge di Okun spiega in che termini sta il rapporto tra disoccupazione e PIL. 
In particolare la legge stabilisce che è necessaria una crescita (nominale) del PIL del 2.7%, affinché il tasso di disoccupazione rimanga stabile (invariato). 
Invece, per ridurre il tasso di disoccupazione dell’1%, occorre aumentare del 2% il tasso "reale" di crescita del PIL (la c.d. regola del 2 a 1).
Questo tanto per capire come, per ottenere un livello di crescita che consenta di ridurre di circa 3 punti la disoccupazione (preferibilmente creando occupazione effettiva e non "apparente"), ed avuto riguardo al moltiplicatore della spesa pubblica, il deficit dovrebbe - teoricamente- essere aumentato in un anno di circa 4 punti di PIL, da impiegare in spesa pubblica(anche considerando che l'inflazione attuale è negativa e, comunque, molto prossima allo zero).
In sostanza, per non far aumentare la disoccupazione (effettiva) occorre circa un punto di PIL di aumento della spesa e, per farla diminuire fino a un presumibile livello intorno al 10%, occorrerebbero altri 3 punti di deficit. E non di sgravi fiscali (che hanno un moltiplicatore dimezzato, sicchè tali incrementi di deficit dovrebbero essere raddoppiati).

8. Ma, dovendosi avere un deficit di circa 7 punti di PIL (cioè i 3 attuali più i quattro correttivi della disoccupazione), essendo noi vincolati in un'area valutaria imperfetta, cioè priva di strumenti fiscali "federali" di correzione degli squilibri commerciali, questo stesso incremento non gioverebbe, con affidabile certezza, ad una crescita corrispondente del livello necessario, cioè in grado di ridurre la disoccupazione (vi osterebbe il peggioramento delle partite correnti e la flessione corrispondente del PIL).
Occorrerebbe avere un cambio flessibile e, anche, un sistema industriale ancora efficiente.
Ma questo è un altro discorso (peraltro già svolto varie volte).



Viewing all articles
Browse latest Browse all 1237

Trending Articles