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FLAGS OF OUR FATHER 3- LA FINE DELL'AMERICAN DREAM


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Terza puntata del tractatus di Riccardo Seremedi sulla vicenda statunitense nella sua "involuzione" attuale. Come abbiamo visto, astensionismo e oligarchia finanziaria limitatrice della democrazia vanno di pari passo. In un disegno che le grandi democrazie dell'Occidente, nel loro insieme, non paiono in grado di contrastare, schiacciate dal giogo mediatico e dall'ubriacatura dei diritti cosmetici
Rimane, sempre di più, solo il tecnicismo ideologizzato "pop" a costruire nuovi miti distrattivi di massa, mentre i cittadini rimangono esposti al progressivo smantellamento dei diritti che avevano caratterizzato la crescita del benessere e delle giustizia sociale. E tutto questo col collaborazionismo involontario degli stessi, condizionati da una depressione culturale che va inconsapevolmente di pari passo con l'impoverimento generale.






LA FINE DELL'”AMERICAN DREAM” - Parte seconda              
                                                                                                                                             
1. Due grandi partiti, una sola filosofia
Non è difficile comprendere perché oggi il popolo americano consideri Federal Reserve e Wall Street alla stregua di un manipolo di prestigiatori, e perché si senta tradito da una classe politica che ha abdicato da tempo al proprio ruolo istituzionale – in favore della collettività - per “reggere il sacco” al cartello economico-finanziario, quell' 1% che governa, di fatto, il paese; il circuito informativo mainstream - proiezione mediatica degli stessi potentati finanziari ai quali esso appartiene – perpetua il mito della “libera possibilità di scelta” tra Repubblicani e Democratici, facendo credere all'elettorato che esista una dicotomia fra questi due partiti che porti ad avvalorare l'esistenza di una robusta democrazia dell'alternanza.                                                                                                                               
In realtà, attraverso questo meccanismo, ogni partito politico ha sostenuto che esso rappresentava una filosofia e una linea politica diversa rispetto all'antagonista, quando le azioni sostanziali hanno dimostrato il contrario : grattando via i falsi orpelli ideologici che fungono da specchietto per le allodole/masse, entrambe le parti hanno dimostrato di essere d'accordo sulla vera idea fondamentale, ovvero che la classe operaia, la piccola imprenditoria - e più in generale, il 99% degli americani - devono farsi carico delle perdite della cleptocrazia al potere.
 Le differenze tra il partito democratico e repubblicano sono irrilevanti, nessun principio in cui la classe operaia ha un qualche interesse (...) ogni operaio che ha abbastanza intelligenza per capire l'interesse della sua classe e la natura della lotta in cui è coinvolto troncherà una volte per tutte i suoi rapporti con entrambi "- queste parole furono pronunciate da Eugene Debs- politico, sindacalista e leaderdell'American Railroad Union – più di un secolo fa ma il tempo non ne ha affatto mutato la validità e la sostanza. 
Anzi, tale concetto è stato ribadito recentemente dal professor Kevin Leicht, sociologo alla University of Iowa , quando scrive che il sistema politico americano del “winner-take-all  ha “prodotto quello che il commentatore politico Kevin Phillips ha descritto come "il partito capitalista più entusiasta del mondo (GOP ) [Grand Old Party – soprannome del Partito Repubblicano ndr.] e "il secondo partito capitalista più entusiasta del mondo" (Partito Democratico). Entrambi i partiti fanno appelli transitori a favore della classe media e talvolta anche degli elettori poveri, ma entrambi sono finanziati da ricchi capitalisti [...]” .                                                                                         
E' proprio la mancanza di un soggetto politico realmente interessato a dar voce alle istanze della gente comune che spiega la nascita di movimenti di protesta come “Occupy Wall Street” e  “We are the 99%” , fenomeni che hanno aperto un dibattito all'interno del mondo accademico e culturale sul declino dell'“American Dream” , ma che politici (salvo rare eccezioni) ed “esperti” hanno sostanzialmente ignorato; questi ultimi due – nota Leicht - hanno invece preferito dare seguito a “politiche di spostamento” (le famose “armi di distrazione di massa” ndr.), ossia far parlare l'opinione pubblica di argomenti che non fossero disuguaglianza e denaro, bensì aborto, matrimoni gay, preghiera nelle scuole ecc.


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2. Masters and Servants
Quella che fino a pochi anni fa era solo una parola sussurata - quasi furtivamente, per il timore di essere tacciati di “scarso spirito patriottico” - è ora scandita a chiare lettere: NEO-FEUDALESIMO; sembra un paradosso che il XXI secolo – l'era del “villaggio globale” e della interconnettività - riporti in auge una parola, e il significato che le sta dietro, che si pensava appartenesse ormai ad uno dei periodi più bui della storia umana, e che ciò accada proprio negli Stati Uniti, il paese che propugna al mondo intero l'accettazione e l'omologazione al proprio modello di capitalismo, foriero di benessere e felicità.    
                                                                                                                                           Eppure è così, e l'evoluzione sociale americana degli ultimi decenni non lascia spazio a fraintendimenti ; Chris Hedges () - una delle penne più notee sferzanti del giornalismo indipendente statunitense – ha fornito una visione dell'”american way of life  assai poco consolatoria: 
[...] Le radici dell' apatia di massa sono da ricercarsi nella profonda divisione tra liberali, che sono per lo più bianchi e ben istruiti, e la nostra classe operaia senza diritti, i cui figli e figlie, che non possono ottenere posti di lavoro decenti con benefici, hanno poche opzioni oltre la carriera militare. I liberali, i cui figli sono più spesso in college d'elite che nel Corpo dei Marines, non hanno combattuto il North American Free Trade Agreement nel 1994 e lo smantellamento della nostra base manifatturiera (...) hanno firmato, sostenendo i democratici Clinton e Obama, per lo stupro aziendale effettuato in nome della globalizzazione e della guerra infinita (…) La nostra passività ha portato, però, a molto di più che un avventurismo imperiale e ad una sottoclasse permanente.Un colpo di stato al rallentatore da parte delle corporations che controllano la nazione ha cementato un neofeudalesimo in cui ci sono solo padroni e servi. Ed è un processo che non può essere invertito attraverso i meccanismi tradizionali della politica elettorale [...]”.
Anche Lewis H. Lapham – ex editoredi Harper's Magazine ha lanciato un j'accuse contro l'oligarchia economico-finanziaria che usa “la democrazia come un bancomat : “[...] La formazione della volontà del Congresso e la scelta del presidente americano è diventato un privilegio riservato alle classi equestri del Paese, alias il 20% della popolazione che detiene il 93% della ricchezza, gli 'happy few' che gestiscono le imprese e le banche, possiedono la gestione e il controllo delle notizie e l'industria dell'intrattenimento, stabiliscono le leggi e governano le università, controllano le fondazioni filantropiche, gli istituti di politica, i casinò e le arene sportive [...]”.                                                                                                                                                         
Tra le poche voci discordanti che si levano dal “coro muto” del Congresso degli Stati Uniti, quella di Ron Paulè senza dubbio una delle più squillanti ; l'ex membro del Congresso - in un'intervista a “Russia Today” ha parlato della politica interna americana come di un sistema monopolistico, gestito dai  leader dei due principali partiti : “[...] E 'un monopolio ... e non consentono neppure una seconda opzione (...) che cosa fanno con i nostri giovani?Essi li mandano in tutto il mondo, coinvolgendoli in guerre e dicono loro che devono avere elezioni democratiche (...) Ma qui a casa, non abbiamo una vera Democrazia.Abbiamo un monopolio di idee che è controllato dai leader dei due partiti. Li chiamano due partiti, ma è in realtà una filosofia [...]”.

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3. Il sistema elettorale americano: AAA democrazia cercasi
Benché alcune posizioni politiche di Paul - che taluni accostano, a torto o a ragione, al movimento Tea Party– non appaiano assolutamente condivisibili, nella fattispecie egli ha ragione da vendere. Anche in considerazione del sistema profondamente antidemocratico che contraddistingue l'elezione del presidente degli Stati Uniti, dove i cittadini non votano direttamente i candidati bensì i cosiddetti Grandi Elettori”.  Come molti sanno, infatti, in rappresentanza dei 50 Stati dell'Unione e del District of Columbia (D.C.) vengono eletti 538 Grandi Elettori che sono associati ad un candidato presidente, e proprio a costoro spetta il compito di votare la loro personalità di riferimento, aggiungendo sempre un elemento di suspense legato alla possibilità che qualcuno di loro possa “cambiare casacca” all'atto della votazione : giova anche tener presente che non sempre chi prende più voti ha la vittoria assicurata, e che i cittadini americani - per esercitare il loro diritto - devono registrarsi alle liste elettorali dichiarando l'appartenenza politica, liste che spesso le commissioni statali falcidiano, cancellando persone ritenute non idonee – in genere la parte più povera della popolazione, soprattutto neri e ispanici – a causa di precedenti penali, interdizione dai pubblici uffici o  per altri motivi più o meno opinabili : ne consegue una sorta di manipolazione del voto come nel 2000 – durante la discussa prima elezione di Bush junior– quando la Florida cassò dalle liste 57.700 elettori, per la maggior parte neri e ispanici iscritti come elettori democratici, contesa che si risolse con l'affermazione del candidato repubblicano che sconfisse Al Gore per poco più di cinquecento voti. 
4. Il voto elettronico: quando democrazia fa rima con ricevitoria 
 Va anche ricordato che negli Stati Uniti le elezioni si svolgono con dispositivi per il voto elettronico () e molti elementi sembrano, di fatto, mostrare che la principale utilità delle macchine da voto è quella di facilitare la frode elettorale: l’esempio dell’elezione del senatore repubblicano del Nebraska ed ex Segretario alla Difesa con Obama, Charles Hagel, è sintomatico.                                                  Nel settembre 2006, il dipartimento informatico della prestigiosa università di Princeton ha  reso pubblico uno studio sulla sicurezza di questi marchingegni ; i ricercatori hanno analizzato una delle macchine presente negli uffici di voto negli USA, la Diebold Accuvote-TS : lo studio afferma che"[...] alla luce delle procedure reali di elezione, l’analisi dellamacchina mostra che è vulnerabile ad attacchi molto gravi. Per esempio, una persona che ottiene un accesso fisico, anche per un solo minuto, alla macchina può installarvi un programma pirata; un tale programma può rubare i voti in modo irrilevabile, modificare le registrazioni, diari e contatori in modo tale che siano in accordo con i falsi risultati che ha appena creato [...]”, senza contare che la procedura di voto con un computer rende il risultato inverificabile, non producendo alcuna documentazione cartacea e con il processo gestionale interamente controllato da un’impresa privata.
         
5. La cronica assenza del voto pluriclasse nelle elezioni americane  
Storicamente, gli Stati Uniti hanno una delle percentuali di affluenza al voto più basse tra le democrazie del mondo e per le elezioni presidenziali del 2004 - secondo i dati del“US Census Bureau”  - su  197 milioni di adulti in età di voto solo il 72% si era registrato e l'affluenza alle urne aveva interessato solo poco più del 60% dei cittadini adulti.
                                                                                                                                                                      E' del tutto evidente che in una nazione dove la potenziale base elettorale viene erosa alla fonte dall'esclusione di persone non iscritte alle liste elettorali, dove le principali minoranze “colored” e “latinos”vengono fortemente penalizzate da decisioni poco comprensibili – come l'annullamento della sezione 4 del “Voting Rights Act” - (http://www.thepostinternazionale.it/mondo/stati-uniti/il-voto-delle-minoranze) e da un contesto sociale che le vede ancora emarginate, dove una fisiologica percentuale di astensionismo contribuisce ad ingrossare le fila dei non-votanti, è evidente – dicevamo –che si avrà una ristretta partecipazione alla costruzione dell'assetto politico nazionale, con la progressiva cristalizzazione di segmenti sociali ben definiti; si osserverà pertanto una limitata presenza pluriclasse, in quanto coloro che si recheranno alle urne tenderanno ad essere la parte più anziana, più istruita e più benestante della popolazione: per fare un esempio, va a votare l'81% di chi guadagna più di 100.000 dollari l'anno, mentre la percentuale scende al 48% tra chi è sotto i 20.000 dollari (dati elezioni 2004).                        


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6. La speranza mutilata
La grande speranza di cambiamento che il popolo americano anelava parve concretizzarsi nel novembre 2008 con l'elezione di Barack Hussein Obama II a 44° Presidente degli Stati Uniti d'America, primo afroamericano della storia a raggiungere questo prestigioso traguardo; la situazione interna si presentava molto difficile - eravamo nelle settimane successive al crack di Lehman Brothers e all'inizio del collasso economico, definito in seguito “Grande Recessione” - e l'arrivo alla Casa Bianca di questo semisconosciuto senatore dell'Illinois recava con sé un carico formidabile di aspettative e di speranze per il futuro, speranze che venivano alimentate da una campagna elettorale fortemente connotata di valenze messianiche, dove lo slogan “Yes we can”  riscaldava i cuori di milioni di uomini e donne, operai e diseredati, giovani e vecchi. 
                                 
Improvvisamente negli Stati Uniti e nel mondo intero scoppia “l'Obamania”, stelle e stelline del cinema e del rock scorgono in lui le stimmate del “messaggero celeste” sceso sulla Terra per lenire le ferite di un'umanità sofferente, i suoi comizi si trasformano in grandi happening che ricordano il festival di Woodstock, ilmerchandising con la sua effigie spopola e le magliette con glislogan delle presidenziali vengono indossate ovunque.                                              
Nella serata trionfale di Chicago,  in un passo del discorso celebrativo, Obama afferma: “[...] Ricordiamoci che se mai questa crisi finanziaria ci insegna qualcosa, è che non possiamo avere una Wall Street prospera mentre Main Street soffre[...]”  i banchieri di Wall Street sono nuovamente nell'occhio del ciclone, ancora una volta protagonisti di un rovescio economico-finanziario epocale, con l'opinione pubblica che chiede a gran voce l'arresto dei responsabili" 
Quella di Obama appare a tutti come una dichiarazione di guerra in piena regola : si rivelerà un bluff.

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7. Pecunia non olet – Obama&Wall Street: a love affair  
Le campagne elettorali americane necessitano notoriamente di grandi risorse finanziarie, ed è impensabile giungere alla sfida decisiva, e vincerla, senza avere alle spalle il consenso e la potenza di fuoco dei grandi monopolisti di Wall Street , considerando che all'epoca Obama raccolse la cifrastratosferica di 778.642 milioni di dollari(), la più alta di sempre.
Per giustificare quella messe di denaro e non intaccarne l'immagine di outsider estraneo al “sistema”, media sussidiati, supporters ed entourage obamiano sottolinearono che lo straordinario successo era dovuto alla campagna di “fund-raising”(raccolta fondi) che aveva visto protagoniste centinaia di migliaia di persone comuni donare piccole somme  attraverso internet, un racconto suggestivo e di forte presa emotiva ma lontano dalla realtà: lo studio redatto dal Campaign Finance Institute”- un gruppo indipendente - ha rilevato che la percentuale delle piccole donazioni fino a 200 dollari (o meno) oscillava tra il 24% e il 26% del totale, lo stesso range (25%) che ottenne Bush nel 2004. 
Michael J. Malbin - direttore esecutivo dell'istituto – ha dichiarato in un comunicato: Il mito è che i soldi dei piccoli donatori hanno dominato le finanze di Barack Obama (…) la realtà della raccolta fondi di Obama è stata impressionante, ma la realtà non corrisponde al mito; sempresecondo codesto studio, Obama ha ricevuto circa l'80% del denaro dai grandi donatori, definiti come coloro che hanno dato 1.000 dollari o più, piuttosto che dai piccoli. 
Diversi mesi prima della vittoria alle presidenziali, Reutersscriveva cheWall Street puts its money behind Obama, illustrando icasticamente quanto scritto poco sopra ;  del resto basta scorrere la lista dei “top contributors” per  rendersi conto che i maggiori finanziatori di Obama sono proprio le multinazionali e le big banks , una realtà fattuale che cozza con l'immagine di fustigatore che Obama cerca di proiettare in pubblico,attaccandole banche mentre rastrella i quattrini a Wall Street”. 

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 8. Culto pagano 
E' realistico pensare che un paese come gli Stati Uniti, storicamente governati da un'oligarchia petro-finanziaria, potessero esprimere un presidente così “anticiclico” proprio nel momento di maggior difficoltà della stessa?
La risposta l'ha già fornita la Storia :Wall St. Firms Have Already Earned More Under Obama Than During Entire Bush Presidency” - Huffington Post   7 novembre 2011.
Già nel 2008 più di un osservatore aveva avuto dei sospetti sulla narrazione mistica dell'”Uomo giusto al momento giusto” ; scriveva Mark R. Levin: 
“[...] Onestamente non ho mai pensato di vedere una cosa del genere nel nostro paese - non ancora comunque - ma ho la sensazione che quello che sta accadendo in queste elezioni è un'incoscienza e l'abbandono della razionalità(…) C'è come un'atmosfera di culto intorno a Barack Obama - che la sua campagna ha fabbricato attentamente e con successo  - che mi preoccupa. 
Il complesso del Messia. Gli svenimenti di membri delpubblico durante le manifestazioni.Speciali bandiere Obama e un sigillo presidenziale di Obama. Un grafico con la rappresentazione del globo e il nome di Obama su di esso (...) I bambini delle scuole che cantano canzoni lodanti Obama. Adolescenti che indossano abiti mimetici e marciano in ordine militare cantando il nome di Obama [...]”.
L'elezione a presidente degli Stati Uniti di un parvenu come Obama è da ritenersi un disperato atto diversivo, dettato dall'istinto di autoconservazione dell'oligarchia petro-finanziarianel bel mezzo della “tempesta perfetta”, un volto “presentabile” e telegenico – per di più di colore – da dare in pasto alla classe media proletarizzata e ai sotto-occupati dei suburbi e delle grandi periferie come specchietto per le allodole - gattopardismo a stelle e strisce - un finto elemento di discontinuità rispetto a figure come Hillary Clinton, immediatamente associabile - anche grazie all'opera del marito – alle consorterie elitarie che gravitano attorno a Wall Street.

9. L'idolo in controluce: Webster Tarpley racconta il “fenomeno Obama” 
Secondo il giornalista investigativo Webster Tarpley, la scelta di Barack Obama rientra in quest'ottica; nel suo libro Obama, The Postmodern Coup - Making of a Manchurian Candidate” - uscito durante l'ubriacatura mediatica pre-elezioni 2008, a giochi ancora aperti  – il giornalista americano definisce Obama  “uno di destra, un elitista, una creatura di Wall Street , un affabulatore che attraverso “un messianismo vago e insulso e luoghi comuni utopistici” ha carpito la buona fede di milioni di persone.                                         
Obama è stato una pedina nella lotta per la sopravvivenza che ha visto fronteggiarsi fazioni contrapposte all'interno del sottobosco politico statunitense - “bellum omnium contraomnes”, per dirla à la Hobbes - il protégé di Zbigniew Brzezinski, della Commissione Trilaterale e dell'ala “leftist” della CIA :“[...] Una massiccia mobilitazione della comunità d'intelligence era in corso contro la Clinton. Allo stesso tempo era chiaro che il candidato di Wall Street e dell'intelligence altri non era che lo sconosciuto outsider Obama[...]”. (pag.16) 
Tarpley pensa che la Clinton sia stata ostacolata a causa di una sua possibile politica economica più attenta a “Main Street (termine coniato, in ovvia contrapposizione a WallStreet, per indicare la gente comune) ; nondimeno sembra poco probabile– visti i precedenti di “Casa Clinton”- che Hillary si sarebbe “allontanata dalla retta via”, e l'”operazione Obama” è da ricondursi ad una sorta di lifting imperiale, come scrive lo stesso autore:  
“[...] Il problema più immediato della 'City' di Londra e di Wall Street è mantenere la dominazione Anglo-Americana nel mondo di fronte a numerose sfide. Esse devono conservare la loro egemonia monetaria e finanziaria, ripristinare la loro credibilità diplomatica, raggruppare e ricostituire le loro forze militari, rinnovare le loro alleanze, intimidire i loro satrapi e vassalli per riportarli all'obbedienza e prepararsi ad un regolamento di conti con le recalcitranti superpotenze Russia e Cina. 
Con Bush-Cheney o McCain, esse hanno chance di successo molto limitate […] una presidenza Obama, per contro, darebbe all'imperialismo Anglo-Americano un oratore ammaliante, aria nuova, un lifting e una nuova prospettiva di vita. Se Obama non fosse stato disponibile, i banchieri lo avrebbero inventato. E infatti, lo hanno inventato, iniziando probabilmente un quarto di secolo fa, quando Obama e Brzezinski erano entrambi (come studente e professore ndr.) al campus della Columbia University a New York City nel 1981-1983 [...]”. (pagg. 23-24).

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10. Totalitarismi post-moderni
Il giornalista americano dipinge – dopo averne analizzato diversi elementi - l'intera vicenda comeun coup d'état con iper-toni progressisti e 'di sinistra',  effettuato non da una junta di anziani generali reazionari, ma piuttosto da un giovane demagogo di centro-sinistra che avanza circondato da sciami di giovani”, dove il “culto della personalità” e l'aura di misticismo attorno alla sua figura - alimentati ad arte dal circuito mainstream e da “intellettuali” organicinon possono non richiamarealla memoria le stesse forme di propaganda che caratterizzarono i funerei totalitarismi del “secolo breve”.
Questo è tuttavia un totalitarismo “soft”, che tiene molto alle apparenze e si guarda bene dall'esteriorizzare certe forme ormai desuete di coercizione, cercando invece il dominio attraverso la fascinazione ed il consenso forgiato dagli spin doctors, inducendo convinzioni e atteggiamenti pianificati per guidare le scelte delle popolazioni.                                                                            
Tant'è vero che lo zeitgeist - plasmato dalle stesse élites  impone una serie di cosiddetti “diritti cosmetici” che hanno solo superficialmente la “certificazione di autenticità”. Come è stato fatto notare da molti scrittori e sociologi – tra i quali, Gabriele Kuby -le tematiche “politically correct” come l'ideologia gender  nascono per relativizzare la società e per portarla a quello che Aldous Huxley aveva descritto nel suo romanzo distopico “Il Mondo Nuovo” , una società serializzata e asessuata nella quale il classismo è perseguito attraverso la scienza, in cui individui atomizzati e spersonalizzati vengono condizionati da continui e ipnotici slogans che portano “alla creazione di un 'uomo' senza punti di riferimento, affettivamente instabile e quindi facilmente utilizzabile , sia sotto forma di 'consumatore perfetto' che come anonimo 'tassello sociale' facilmente manipolabile”. (E. Perucchietti – G. Marletta – “Unisex” )                                                                                     


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11. Luogocomunisti d'oltreoceano 
La retorica di Obama attinge a piene mani da codesti stilemi; ritroviamo quindi – da una parte - le “adunate oceaniche” dove l'”hombre vertical”  si lancia in affermazioni, come “Adesso è il momento”, “Abbiamo bisogno di cambiamento”, Sì, possiamo” , che vengono()  ripetute più volte e costituiscono i mantra della dossologia obamiana, e - dall'altra – le tematiche LGBT, usate strumentalmente anche come arma di pressione geopolitica verso la Russia.    
Il giornalista William Allen White una volta ebbe a scrivere che“ la politica è dopotutto una delle branche minori della prostituzione” , e questo concetto vale doppiamente per Obama, il cuigabinetto” - absit iniuria verbis -è infarcito di ideologi ultraliberisti e di “wallstreeters;alla faccia del “cambiamento” - e delle sue pulcinellate pubbliche contro i “fat cats” -  chedoveva costituire la cifra distintiva della sua amministrazione; così si scopre che per l'inquilino della Casa Bianca quello che è turpe e laido in pubblico, in privato diventa deterso e profumato.
L'amministrazione Obama ha infatti assegnato posizioni di primaria importanza nella gestione della crisi a soggetti che – direttamente o indirettamente - erano coinvolti nelle operazioni e nei soggetti finanziari protagonisti del tracollo dei mutui subprime, una galleria di personaggi controversi tra i quali si distinguono l'ex presidente della NY FED  Timothy Geithner- già pesantemente compromesso nella crisi del 2008 e nominato Segretario al Tesoro da Obama nel 2009 -, Bill Daley– banchiere alla JPMorgan e  “Chief of Staff” alla Casa Bianca 2011-2012 – , Jacob “Jack” Lew, attuale Segretario al Tesoro ed ex di Citigroup ecc.  


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12. Molto rumore per nulla
Non desta quindi nessuna meraviglia che nell'intera vicenda non si sia visto un solo atto di accusa, o il perseguimento di qualcuno degli “alti papaveri”di Wall Street responsabili della truffa sistemica del 2008, una condotta che getta disdoro sul Dipartimento di Giustizia di Obama, in particolare sul capo della sua sezione penale - il già citato Lanny Breuer– che non ha mai nemmeno tentato di incriminare i responsabili di alto livello, adducendo come scusa la difficoltà di prevalere in questi casi penali; le uniche azioni intraprese – come abbiamo visto (una piccola parte) con JPMorgan– sono state solo unaserie di forti multe pecuniarie che, grazie ai denari derivanti dall'”encopressia monetaria” della Federal Reserve,hanno permesso ai banksters di pagare l'obolo e farla franca per l'ennesima volta, in barba ai più elementari princìpi giuridici che dovrebbero garantire atutti i cittadini, di qualsiasi grado e condizione, un trattamento paritario di fronte alla Legge.
Invece, come ha scritto John W. Whitehead:() “[...] Oggi viviamo in un sistema a due livelli di giustizia e di governance. Ci sono due tipi di leggi: uno per il governo e le imprese, e un altro per voi e per me (…) le leggi che si applicano alla maggior parte della popolazione consentono al governo di fare cose come controllarvi il retto durante una sosta lungo la strada, o ascoltare le vostre telefonate e leggere tutti i messaggi e-mail, o  incarcerarvi a tempo indeterminato in una cella di detenzione militare (…) poi ci sono le leggi costruite per l'élite, che permettono ai banchieri che fanno cadere l'economia di camminare liberi [...]” , un pensiero al quale è accomunato anche il giurista di Harvard Larry Lessig, quando scrive cheviviamo in un mondo in cui gli architetti della crisi finanziaria cenano regolarmente alla Casa Bianca". 
                                                                                                                                                      L'ex senatore democratico Ted Kaufman si è speso con inesausto vigore per fornire ai funzionari del Dipartimento di Giustizia tutti i fondi di cui avevano bisogno per svolgere le indagini penali,  facendo anche pressioni per costringerli a farle; eppure, quando lui e il suo staff si riunivano con Breuer e gli altri funzionari del Dipartimento di Giustizia, tutto quello che veniva loro presentato erano procedimenti contro piccoli broker ipotecari, in risposta ai quali Kaufman diceva: "No. Non mi mostrate i ragazzi dei piccoli mutui in California.Quello che è accaduto riguarda totalmente Wall Street.... Stiamo parlando di indagare gli alti dirigenti di Wall Street, anche a livello di Board ".                                                                                                                                        
Come Kaufman e il suo gruppo chiariscono, i funzionari di Obama erano chiaramente disinteressati nel perseguire penalmente i top bankers, e la ragione per cui non ci sono stati tali sforzi l'ha fornita l'ex regolatore bancario Bill Black in un'intervista a Bill Moyers nel 2009 : "Timothy Geithner, il segretario del Tesoro, e gli altri dell'amministrazione - con le banche - sono impegnati in un insabbiamento per impedirci di sapere che cosa è andato storto”.
                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                                

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