
Questo nuovo capitolo della "narrazione" a puntate di Riccardo Seremedi, appare descriverci una "ordinaria follia" che delinea, anticipandolo dappresso, il nostro arrembante futuro.
Certamente, che questo quadro sconcertante della società incomba più che mai su di noi, ce lo dice una parola, anzi un acronimo, il TTIP.
Se la definitiva finanziarizzazione privata del welfare non sarà comunque un'opera intrapresa dal "sogno €uropeo" - e direi che siamo a buon punto- con il TTIP non avremo alcuna via di scampo: è inutile illudersi.
Sulla "falsificazione" dei dati di disoccupazione USA e sulla perplessa lettura di quelli nostrani, anche, abbiamo più volte detto.
Precarizzazione, aumento della povertà degli occupati, disoccupazione formale e "sostanziale" (cioè part-time involontario e sotto-occupazione forzata), depatrimonializzazione delle famiglie ormai incapaci di risparmiare, privazione effettiva dell'accesso alle cure sanitarie e alla previdenza (dignitosa), sono tutte belle conquiste a cui ci stiamo adeguando a grandi passi.
Ma anche il destino degli immigrati e dei loro figli quale prefigurato nei lavoratori delle piantagioni di tabacco USA, - rapportato a quantioggi sono "accolti", nella disperazione, in una terra, la nostra, destinata implacabilmente a fecondare ulteriormente tale disperazione-, dovrebbe rammentarcicome questo presente prepari UN FUTURO INEVITABILE.
E' questo che ESSI vogliono e non ci piove. Ma è questo che vogliamo veramente?
EUTANASIA DI UNA SOCIETA'–
1. L'esplosione delle disparità sociali e il deterioramento nella qualità della vita
L'America di oggi rappresenta il “ritratto di Dorian Gray” del capitalismo postmoderno, la proiezione delle brutture e della corruzione morale di quest'ultimo nell'utopia di “un'eterna giovinezza”, un ritratto in bianco e nero che ritrae un paese disilluso e stanco, fortemente polarizzato, in cui le disparità sociali si stanno sempre più amplificando: il “coefficente di Gini”- che misura la disuguaglianza nella distribuzione di reddito e/o ricchezza – ce lo conferma, attestando che gli Stati Uniti - fin già dagli anni Settanta - avevano una delle più disuguali (forse la più disuguale) distribuzioni di reddito tra le nazioni ricche del mondo, una forbice che si è allargata a dismisura– a favore dell'1% della popolazione – negli anni Novanta e Duemila, e nel futuro - recita il paper - “non vediamo alcun forte motivo per aspettarsi una inversione o anche un rallentamento del trend di crescita che caratterizza gli ultimi decenni”. (pag.96).
Molti altri indicatori manifestano il deterioramento progressivo della qualità della vitanegli Stati Uniti; alla fine del 2013, il "Program for International Student Assessment” ha pubblicato un rapporto con i risultati dei test condotti su studenti 15enni provenienti da 65 nazioni: la relazione indica che gli studenti americani si sono classificati al 17° posto in lettura e al 21° in matematica, una prestazione che ricalca il giudizio della “Pearson” - una multinazionale di servizi educativi – che ha collocato negli Stati Uniti al 20° posto nel mondo per "livello di istruzione", ben dietro la Polonia e la Repubblica Slovacca.
Il “Social Progress Index” - sviluppato da Michael Porter , professore in business ad Harvard– ha classificato gli Stati Uniti (2014) al 23° posto in accesso all'informazione ealla comunicazione, al 24° nella nutrizione e cure mediche di base, al 31° in materia di sicurezza personale, al 34° in acqua e servizi igienico-sanitari, al 39° nell'accesso alla conoscenza di base, al 69° in sostenibilità degli ecosistemi, e al 70° in salute e benessere.
L'estensione della povertà diffusa, soprattutto tra i bambini, rimane uno dei fardelli del paese; un rapporto stilato nel 2013 dal “Children's Fund” delle Nazioni Unite ha riferito che, dall'analisi dei 35 paesi più economicamente avanzati, gli Stati Uniti sono risultati penultimi, superati solo dalla Romania che ha avuto una percentuale maggiore di bambini che vivono in povertà.
2. Infanzia: un diritto negato
“Quanto pesa una lacrima? - Dipende: la lacrima di un bambino capriccioso pesa meno del vento, quella di un bambino affamato pesa più di tutta la terra”.
Ci piace pensare che l'indimenticato Gianni Rodari – il poeta ”amico dei bambini” - si sarebbe trovato d'accordo con noi nell'utilizzare questi suoi magnifici versi, quanto mai appropriati, per glossare le notizie di cui sopra e per introdurre alcune informazioni riguardanti quella forma di schiavitù – mai completamente cessata – chiamata “lavoro minorile”, assai più comune di quanto venga fatto credere, con bambini di 12-13 anni che si ritrovano in cantieri edili a tagliare cemento con una sega o a movimentare un “bobcat”.
Ha destato molto scalpore negli Stati Uniti il rapporto di “Human Rights Watch” - ”Tobacco's HiddenChildren”, dal quale emerge un vasto utilizzo di fanciulli nella raccolta e lavorazione del tabacco; lo studio, pubblicato nel maggio 2014, nasce dalle interviste a 141 bambini e adolescenti - tra i 7 e 17 anni – impiegati nella “tobacco belt”, la “cintura” di 4 Stati (North Carolina, Kentucky, Tennessee e Virginia) nella quale viene coltivato il 90% del tabacco americano, destinato alle grandi multinazionali come la Philip Morris.
Ai mini-lavoratori del tabacco si richiedono spesso dalle 50/60 ore settimanali(turni di 10-12 ore giornaliere - a volte anche 16, con pause di riposo irrisorie - pagati, quando va bene, 7,25 dollari l'ora - il minimo salariale) e l'uso di attrezzi e macchine pericolosi, nonché il sollevamento di carichi proibitivi ; circa ¾ degli intervistati ha lamentato la comparsa improvvisa di gravi disturbi come nausea, vomito, difficoltà respiratorie ecc, tutti sintomi della “green tobacco sickness” - l'avvelenamento da nicotina – che si manifesta a causa del lavoro in condizioni di caldo e umidità eccessivi, allorché l'alcaloide si lega all'umidità delle foglie diventando più facilmente assimilabile al contatto con la pelle: i bambini – in prevalenza figli e figlie di immigrati ispanici, benché cittadini americani a tutti gli effetti– hanno motivato la loro presenza come un aiuto per le primarie necessità familiari o per consentire l'acquisto di articoli essenziali come vestiario, scarpe e materiale scolastico.
3.Il sistema sanitario americano: privato è bello
Il sistema sanitario americano ed i costi per la salute sono anche peggio ; uno studio del “Commonwealth Fund” ha rilevato che il sistema sanitario degli Stati Uniti è il più costoso al mondo, ma con un rendimento inferiore in rapporto ad altri paesi; tra le 11 nazioni studiate in questa relazione - Australia, Canada, Francia, Germania, Paesi Bassi, Nuova Zelanda, Norvegia, Svezia, Svizzera, Regno Unito, e Stati Uniti - gli Stati Uniti sono all'ultimo posto.
La differenza principale tra gli Stati Uniti e gli altri paesi industrializzati è l'assenza di una copertura assicurativa sanitaria universale, una mancanza che è – da sempre – una delle caratteristiche negative del modello sociale americano, che preclude l'accesso alle prestazioni sanitarie a chi non possa permettersi economicamente un'adeguata assicurazione medica, un “lusso” che la crisi economica ha esacerbato: secondo “Gallup”, nel 2014 un americano su tre ha rimandato un trattamento medico per sé o per i familiari a causa dei costi elevati.
Ogni anno 45mila adulti muoiono solo perché non hanno l'assicurazione sanitaria, mentre sono 84mila i decessi annuali causati da malattie prevenibili che sarebbero state curate in altri paesi come la Francia, l'Italia ecc.
La crisi sanitaria era cresciuta fino a proporzioni tali che per le elezioni del 2008 non poteva più essere ignorata: ciò è stato un importante tema della campagna presidenziale ed è stato sfruttato dalle grandi industrie del settore che hanno investito pesantemente nei candidati, in special modo su Barack Obamache ha ricevuto più donazioni da industrie connesse con l'assistenza sanitaria di qualsiasi altro candidato.
4. ObamaCare: BigPharma scrive la legge e i cittadini ringraziano
Negli ultimi anni - per porre rimedio ai problemi testé evidenziati - si era parlato in termini entusiastici del nuovo “MediCare”, la riforma sanitaria presentata proprio da Obama che aveva l'ambizioso obiettivo di ampliare l'accesso alle prestazioni sanitarie a tutti i cittadini; “ObamaCare” - com'é stata ribatezzata - è una assicurazione federale che si è posta, alle origini, l’obiettivo di rivoluzionare il sistema assicurativo sanitario nazionale, offrendo una copertura dei costi per le spese mediche ad un bacino di cittadini più ampio del precedente: i dati diffusi dalla Casa Bianca lo scorso aprile riportavano 7 milioni di nuovi iscritti, ma tali numeri, però, sono stati smentiti a novembre dalla stessa amministrazione Obama che – su pressione dei Repubblicani - ha dovuto ammettere di aver gonfiato due volte i numeri di iscrizione ad ObamaCare, probabilmente per abbellire delle cifre che – a detta di molti osservatori – sono al di sotto delle previsioni iniziali.
La riforma di MediCareè stata, fin dall'inizio, oggetto di un feroce dibattito tra Democratici e Repubblicani riguardo alla copertura dei costi, con questi ultimi che hanno attaccato ObamaCare per ragioni di parte – spesso palesemente disonesti nelle loro critiche – e per il presunto carattere “socialista” della riforma, che è invero l'opposto della realtà ; per contro, l'amministrazione Obama e i suoi alleati nel mondo “no profit” contribuiscono alla confusione generale dipingendo la riforma proprio come il “Sacro Graal” delle “cure mediche per tutti”.
Anche a livello di opinione pubblica vi è una decisa contrapposizione tra favorevoli e contrari, probabile corollario del pandemonio politico e mediatico che ne è seguìto; la riforma, se comparata con la popolazione, ha interessato un numero esiguo di persone e , allo stesso tempo, non è una virata verso il welfare (o quel che ne resta) europeo - come ha fatto intendere , in maniera capziosa, la “sinistra salottiera” nostrana - poiché l’assicurazione sanitaria federale prevede quasi sempre il pagamento di un premio annuale per tutti coloro che sono indigenti, ma non così tanto da aver diritto a cure gratuite o a un sostegno per l’acquisto di farmaci.
In un paese come gli Stati Uniti dove tutto èbusiness, il sistema sanitario nazionale è uno dei più indicati per fare quattrini sicuri - gestito nella quasi totalità da privati - e le industrie che traggono profitto dall'attuale sistema sanitario sono quelle che hanno scritto la legge e fortemente influenzato i regolamenti per proteggere e migliorare i loro interessi.
Per informazioni in merito chiedere di Elizabeth Fowler - uno degli “architetti” di ObamaCare– che prima di entrare nel gruppo di Max Baucus, il cui comitato ha preso il comando nella predisposizione della normativa, è stata il vice presidente per la “Public Policy andExternal Affairs” (ovvero lobbying informale) alla “WellPoint”- la più grande assicurazione sanitaria della nazione.
Cosa ancor più sorprendente, quando la Casa Bianca ha avuto bisogno di qualcuno che sorvegliasse l'attuazione dell'ObamaCare,dopo l'approvazione della legge, ha scelto. . . Liz Fowler: dopo aver svolto “egregiamente” il proprio compito,la Fowler ha lasciato l'amministrazione Obama per tornare tra le braccia amorevoli e redditizie del settore sanitario privato, avendo ricevuto un incarico di alto livello presso la multinazionale “Johnson & Johnson”(una delle sostenitrici della riforma), dove ella riceverà ampie ricompense mettendo a disposizione del nuovo boss la sua precedente influenza nel governo e traendo vantaggio dalla sue conoscenze dei meccanismi interni di ObamaCare.
5. I costi per le coperture sanitarie aumentano: chi l'avrebbe detto
Se perfino un servizio di così vitale importanza per il bene comune viene collocato in un sistema basato sul libero mercato, la gente avrà solo la quantità di cure sanitarie che si può permettere, piuttosto che quelle di cui ha realmente bisogno e ObamaCare porta questo fallito sistema “mercatocentrico” ad un livello completamente nuovo, costringendo i non assicurati ad acquistare piani sanitari privati (pena il pagamento di una multa) e usando il governo per venderli e sovvenzionarli; di conseguenza, meno persone - anche quelli con assicurazione sanitaria - possono permettersi l'assistenza medica di cui hanno bisogno a causa degli alti costi “out-of-pocket”, e si trovano pertanto costretti a stipulare piani sanitari a bassa copertura:.
La principale promessa del legislatore era invece che le persone avrebbero potuto mantenere le polizze precedenti se lo avessero desiderato, ma molti hanno scoperto che questo non sta funzionando: “Kaiser Health News”,nell'ottobre 2013 scriveva che" le convenzioni sanitarie stanno inviando centinaia di migliaia di lettere di cancellazione a persone che acquistano la loro copertura, frustrando alcuni consumatori che vogliono mantenere ciò che hanno e costringendo gli altri a comprare polizze più costose”.
Come era lecito attendersi, sono le compagnie di assicurazione che stanno realizzando i più grandi profittie il pericolo di un rialzo dei premi assicurativi – paventato da Robert Lenzner nell'articolo – si sta puntualmente verificando; un altro degli altri aspetti negativi della riforma è stato – sempre secondo Lenzner - il presunto trattamento iniquo verso i proprietari di piccole imprese che hanno dovuto affrontare premi assicurativi potenzialmente maggiori per i loro dipendenti: è stata la paura dei costi sanitari più elevati che ha portato a preferire molte assunzioni di lavoratori part-time, ai quali non viene corrisposta l'assicurazione sanitaria.
Purtroppo, un'ulteriore conferma del carattere fondamentalmente regressivo della “riforma”è venuta dai vertici del colosso della vendita al dettaglio “Wal-Mart”, che hanno deciso di eliminare l’assicurazione sanitaria offerta a una parte dei propri dipendenti a partire dal primo gennaio 2015, un provvedimento che colpirà 30 mila dipendenti, circa il 2% della forza lavoro; il comunicato ufficiale della compagnia ha fatto riferimento al continuo “aumento dei costi sanitari”, che hanno reso così necessarie “decisioni difficili”.
6. Una vita, una storia
Con ObamaCareaumenterà il numero di persone che hanno un'assicurazione inadeguata, che richiede alti costi extra e non copre tutti i servizi necessari, riducendo in modo significativo quella che viene considerata una corretta copertura assicurativa, rammentando altresì che anche chi possiede una buona assicurazione - parametrata agli standard americani - si viene a trovare in balìa degli eventi in caso di patologie gravi.
La storia di Donna Smith– ex giornalista di successo a Newsweek– apparsa su “La Stampa”è emblematica per capire la follia di un sistema sanitario privatizzato, e - sebbene il titolo “furbetto” lasci presagire il contrario - lalettura integrale dell'articolo rende evidente che :
1)se la signora Smith è ancora viva lo deve al sistema sanitario cubano, definito da Margaret Chan - direttrice generale dell'Organizzazione Mondiale Della Sanità - un “esempio per tutti i paesi del mondo”;
2)ObamaCare non ha affatto reso più convenienti le cure mediche- anzi - e si è rivelato piuttosto un formidabile atout per “Big Pharma” ;
3)la sventura di ammalarsi in maniera grave si accompagna sovente al dissesto finanziario, con intere famiglie che - per pagare le costose cure mediche di uno o più congiunti - devono vendersi anche l'abitazione, come accaduto alla Smith: in America, le spese mediche e le malattie sono infatti le maggiori cause di fallimento e, come riporta il “Consumer Financial Protection Bureau”, vi sono circa 43 milioni di americani che hanno debiti per spese mediche non pagate sui loro rapporti di credito.
7. Il banchiere e la morale dei nostri tempi
Rammentiamoci bene queste cose quando ascolteremo qualche “disinteressatoespertone” televisivo che ci magnificherà la supremazia dell'imprenditoria privata, tutta “qualità” e” servizi premium” , rispetto “alle gran lordure” della sanità pubblica italiana, tutta “costi” e “sprechi”, e lo stesso Draghi - quando dichiara che “il modello sociale è morto” e che i Paesi europei devono liberalizzare prodotti e servizi– non fa altro che aprire la strada alle multinazionalidella salute per il sacco prossimo venturo; scrive Giovanna Cracco: “[...] Nel progetto neoliberista, la privatizzazione dell’economia a controllo pubblico doveva riguardare non solo i settori bancario, industriale e delle utility (acqua, luce, gas ecc.), in gran parte già attuata, ma anche l’area del welfare: il tassello ancora oggi mancante (…) con strabiliante acrobazia il banchiere europeo riesce a mettere insieme le due richieste del Capitale, collegando la dipartita del welfare all’eccessiva rigidità del mercato del lavoro, e suggerendo di estendere la precarietà [...]”.
8.Memorie dal passato
“Ogni individuo ha diritto ad un tenore di vita sufficiente a garantire la salute e il benessere proprio e della sua famiglia, con particolare riguardo all'alimentazione, al vestiario, all'abitazione, e alle cure mediche e ai servizi sociali necessari;ed ha diritto alla sicurezza in caso di disoccupazione, malattia, invalidità, vedovanza, vecchiaia o in altro caso di perdita di mezzi di sussistenza per circostanze indipendenti dalla sua volontà”.
Questo enunciato non proviene dal ciclostile di un collettivo di “Tupamaros” , ma appartiene alla Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (art. 25 – par. 1), approvata e proclamata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel dicembre 1948, un periodo storico in cui il termine “DIRITTI UMANI” vedeva ancora coincidere “significante” e “significato”, prima che diventasse il peloso pretesto per “bombardare eticamente“ nazioni sovrane sparse per il mondo, depredandone le risorse. All'epoca appariva chiaro che un “essere umano”, nella sua accezione più completa ed esplicitata, dovesse trovare la propria realizzazione sociale in un lavoro, decoroso e pagato il giusto, che rendesse la vita degna di essere vissuta, nella diuturna lotta per sollevare la condizione umana a livelli sempre più alti.
Tutto il contrario di quello che oggi offre il Pensiero Unico totalizzante che, per mezzo dei suoi araldi, proclama sconcezze quali “illavoro non è un diritto” e ritiene necessario “attenuare quel diaframma di protezioni che nel corso del Ventesimo secolo hanno progressivamente allontanato l’individuo dal contatto diretto con la durezza del vivere, con i rovesci della fortuna”.
9. L'inarrestabile erosione dei salari e l'aumento della povertà
Abbiamo visto sin dall'inizio di questo nostro percorso che mentre l'oligarchia finanziarias'ingrassa, la società americana annaspa : analizziamo alcune cifre.
Si è già accennato, in termini generali, all'erosione dei salari negli Stati Uniti, e se si osservano i dati scomposti della “Social Security Administration” la situazione è ancora più sorprendente;nel 2013, il 50% di tutti i lavoratori americani ha ottenuto meno di 28.031 dollari all'anno, mentre il 39% di loro ha portato a casa meno di 20.000 dollari, la retribuzione media per il 2013 è stata di 43.041 dollari - 79 dollari in meno rispetto all'anno precedente e 508 dollari al di sotto del livello del 2007 - tenendo presente che la "retribuzione media"è in realtà distorta dai milionari e miliardari nella parte alta dello spettro:è stato stimato che ci vogliano circa 50.000 dollari l'anno per sostenere lo stile di vita di una famiglia “middle class” di quattro persone, e il fatto che il 72 % di tutti i lavoratori guadagni una somma inferiore dimostra quanto sia obiettivamente difficile la situazione per le famiglie, a maggior ragione per quelle che cercano di sbarcare il lunario con un solo capofamiglia.
Il tasso ufficiale nazionale di povertà nel 2013 è stato del 14,5%, 45,3 milioni di persone che vivono alle soglie (o al di sotto) dell'indigenza, e dopo essere salito nel 2010 non è cambiato in modo significativo per il terzo anno consecutivo; per una famiglia- tipo di 4 persone tale soglia coincide con un reddito annuo di circa 23.800 dollari : nel 2007 la percentuale degli americani che viveva in povertà era il 12,5%, una differenza di circa 7 milioni in confronto al 2013.
Anche il “New York Times” - giornale di stretta osservanza obamiana – dopo aver annunciato più e più volte il “recovery” ha dovuto ammettere, suo malgrado, che l'odierna tipica famiglia americana rende meno, in termini di salario, rispetto ad un'analoga famiglia di 15 anni fa, il risultato peggiore dai tempi della Grande Depressione che viene definito “il grande rallentamento dei salari del 21° secolo”, salvo poi glissare, con insuperata disinvoltura, sulle cause del fenomeno e lanciarsi in spericolate circonvoluzioni dialettiche tese a magnificare l'operato del conducător.10. La classe media ha perso: cronache di una resa incondizionata
Uno studio della “Russell Sage Foundation” ha rilevato che, nel 2003, il patrimonio netto della famiglia-tipo era quantificato – depurato dell'inflazione - in 87.992 dollari, sceso dieci anni dopo a 56.335 dollari, un calo del 36% che attesta lo sfaldamento della classe media e la facilità con cui le persone negli Stati Uniti possono scendere i gradini della scala sociale e ritrovarsi a sperimentare stili di vita con basse aspettative, che spesso conducono a nuove sacche di povertà.
In effetti, lo spettro di un'incipiente indigenza sembra incombere su un numero crescente di famiglie, e la cosa sconvolgente è che circa tre quarti degli americani vivono di stipendio per lo stipendio, con poco o nessun risparmio in caso di necessità, e meno di uno su quattro ha risparmi sufficienti per coprire almeno sei mesi di spese, o che siano abbastanza per attutire la perdita del posto di lavoro, un'emergenza medica o qualche altro evento imprevisto.
Le considerazioni sopra esposte si legano anche alla tipologia dei lavori post-recessione; il rapporto del “National Employment Law Project” ha osservato che la profonda crisi del 2008 ha spazzato via i lavori ad alto e medio salario, sostituiti da impieghi scarsamentequalificati e a bassa retribuzione in luoghi come centri commerciali e fast-food,conquesti ultimiche guidano la maggior parte della “crescita” degli impieghi nella parte bassa.
Così, centinaia di migliaia di americani disoccupati - che avevano posizioni di responsabilità e buoni stipendi prima del collasso economico - hanno accettato giocoforza lavori meno retribuiti rispetto alle precedenti incombenze, un fattore che se da un lato ha consentito loro di “galleggiare” in attesa di tempi migliori, dall'altro ne ha inibito le possibilità di risparmio e – come detto – ha sancito il loro “slittamento sociale” dalla classe media verso le file dei lavoratori poveri.
11. La manipolazione del tasso di disoccupazione
La crisi del lavoro mondiale è stata affrontata anche nel “Global Employment Trends 2014” dell'”International Labour Organization” (ILO), l'agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la giustizia sociale in questo settore; nel rapporto si parla di “rischio jobless recovery”, un termine che appare spesso quando si parla della “grande ripresa” americana e - in effetti, leggendo tra le righe - nelle considerazioni finali (pag.5) si nota che le criticità elencate sono la perfetta fotografia degli Stati Uniti contemporanei, “[…] con sempre più lavoratori potenziali scoraggiati e comunque al di fuori della forza lavoro [...]”, con l'aumento del rischio di degrado e diobsolescenza delle competenze e dove “[...] solo piccole quantità di spesa pubblica vanno in misure attive del mercato del lavoro [...]”.
Destano sempre molte perplessità – anche per i forti sospetti di manipolazione dei dati- (http://www.tmnews.it/web/sezioni/top10/falsi-dati-su-disoccupazione-usa-per-favorire-obama-alle-elezioni-20131119_170612.shtml), cioè sulle cifre sul tasso di disoccupazione reale rilasciate dal “Census Bureau”, che utilizza come misura ufficiale il parametro U3- in luogo del più congruo U6 – assai accomodante rispetto all'effettiva portata dei senza lavoro, che è quasi il doppio di quella riconosciuta formalmente.
Ndr: il dato lo abbiamo più volte mostrato in questo grafico:

Si deve aggiungere al postutto che – nonostante le interpretazioni strumentali del governo - i dati sembrano confermare che la disoccupazione è scesa solo perché più persone non lavorano e, scoraggiate dalla congiuntura negativa, sono “scomparse” dai rilevamenti statistici; il crollo del tasso di partecipazione alla forza lavoro nel mese di settembre 2014 è scivolato dal 62,8% al 62,7% - il più basso in oltre 36 anni, corrispondente ai minimi delfebbraio 1978 – toccando il record di 92.600.000 di persone “non in forza lavoro”, a cui vanno aggiunti8.979.000 di disoccupati “ufficiali”.
12. Se la pensione non basta
Per spiegare questo fiasco sono state formulate alcune ipotesi, come la mancanza di opportunità di lavoro, una certa dose di indolenza dei giovani americani e i milioni di presunti pensionamenti tra i “Baby Boomers” ; in realtà, quest'ultima supposizione è stata confutata da “Forbes” che mostra l'esatto contrario : i “Baby Boomers” e gli americani più anziani stanno scivolando nella povertà, “troppo fragili perlavorare, troppo poveri per andare in pensione”, e per sopravvivere devono continuare o ritornare a esercitare un mestiere, anche part-time.
Non vi è ormai alcun dubbio che il grande esperimento “401(k)”, - modello contributivo che lega la pensione, percepita o da percepire, all'andamento borsistico, degli ultimi 30 anni-, è stato un disastro, visto che le sicurezze previdenziali promesse si sono sciolte come neve al sole, alla “luce” degli attuali eventi; Teresa Ghilarducci, professoressa di economia presso la “New School for Social Research”, ha stimato che il 75% degli americani in via di pensionamento nel 2010 aveva meno di 30.000 dollari nei conti pensione - troppo pochi per vivere in maniera decorosa - e nel futuro le cose non miglioreranno, poiché – rebus sic stantibus– le proiezioni indicano che quasi la metà dei lavoratori della classe media, il 49%, vivrà la pensione in povertà, con a disposizione un bilancio alimentare di circa 5 dollari al giorno: occorre anche tenere nel dovuto conto che la politica dei tassi negativi, adottata dallaFED, si è rivelata un disastro per chi è andato in pensione dopo il 2000, perché ha costretto e costringe le persone a riprendere l'attività lavorativa, nella consapevolezza dell'impossibilità di vivere con i magri risparmi della pensione, praticamente senza interessi, e con limitati benefici sanitari che abbisognano (vedi ObamaCare) di nuove coperture assicurative e – in ultima analisi - di più soldi.
13. Con i soldi degli altri
Intanto, all'orizzonte, si stagliano minacciosi i banchieri di Wall Street, “protendendo dita adunche di predatori, e fiutando caninamente”; un elemento chiave dei loro istinti ferini è il progetto di impossessarsi dei 3.000 miliardi di dollari in fondi pensione governativi, e quasi un quarto di questi ha già trovato la sua strada nei cosiddetti "investimenti alternativi", come gli hedgefund, private equity e real estate, circa 660 miliardi di dollari di denaro pubblico ora sotto gestione privata, investito in attività spesso arcane e opache, ma che offrono alte commissioni di gestione e di collocamento ai finanzieri di Wall Street.
Nel 2011, il Wall Street Journalha riportato che “Blackstone Group” - una delle più grandi società di private equity al mondo, con un pool di investimento di 111 miliardi di dollari – ha "circa 37 dollari ogni 100" dei suoi fondi che derivano da investimenti da parte dello Stato e dei piani pensionistici locali, una somma enorme. E non sorprende che Blackstoneblandisca i politici affinché continuino ad orientare i denari delle pensioni verso i suoi forzieri.
David Sirota, un giornalista che si è occupato spesso di queste vicende, ha pubblicato per “Pando Daily” un reportage in cui rivela, tra le altre cose, che il contratto di un hedge fund di Blackstone, nel qualeha investito il sistema pensionistico del Kentucky,contiene termini come: "esiste la possibilità di una perdita parziale o totale del capitale" , "non ci può essere alcuna garanzia che l'investitore riceverà una qualche distribuzione" e "il Fondo dovrebbe essere preso in considerazione solo da persone che possono permettersi una perdita del loro investimento": nonostante gli avvertimenti di cui sopra, oltre 80 milioni di dollari del fondo pensioni del Kentucky sono ora gestiti da Blackstone, senza che vi sia stato un reale dibattito pubblico.