


Di fronte a questa 6a puntata del report di Riccardo Seremedi, come al solito accuratamente documentata nelle fonti, si è portati a dire: "non avrei mai POTUTO pensare che...".
Il "crescendo" cui assistiamo in questa stessa puntata, ci fa capire come, nella massa in aumento dei nuovi e vecchi diseredati,un lavoro tipo "Walmart" sia tutto sommato una prospettiva accettabile: l'alternativa, infatti, è il concreto pericolo di incorrere in un sistema di repressione penale e poliziesca che trasformerebbe l'eventuale "recalcitrante" alla normalizzazione nel nuovo, evoluto, mercato del lavoro adeguatamente flessibile, in un homeless o peggio in un gangster (che vuol dire "appartenente alle gang dei ghetti", non un appartenente alla criminalità organizzata, detto, in american english "mobster").
Cioè, il pericolo, per il "recalcitrante", è di essere trasformato in "materia prima" da immettere in un ben oliato ingranaggio militar-poliziesco-giudiziario, che metabolizza il disagio sociale attraverso la sua fisica eliminazione o segregazione.
Cioè, il pericolo, per il "recalcitrante", è di essere trasformato in "materia prima" da immettere in un ben oliato ingranaggio militar-poliziesco-giudiziario, che metabolizza il disagio sociale attraverso la sua fisica eliminazione o segregazione.
Ma poichè, come abbiamo visto nella 5a puntata, il sistema stesso del lavoro-consumo low-cost è generatore della povertà, allargata strutturalmente agli "occupati", ne risulta una colossale deriva verso status diversificati di cittadinanza, de facto istituzionalizzati: tale deriva è tale da far ipotizzare (ed è in effetti, come leggerete, implicitamente "programmato") che, al prossimo crollo di Wall Street, ben si potrebbero verificare scenari apocalittici.
A questo punto, non c'è da aspettarsi che gli USA possano essere culturalmente predisposti ad una qualche forma di pietà "umanitaria", o scrupolo etico, di fronte alla situazione greca, intesa come paradigma estremizzato della realizzazione del vincolo €urocratico e della conseguente condizionalità: al contrario, lo "spettacolo" sociologico offerto dagli Stati Uniti, fa presumere che solo concreti motivi di convenienza economica delle elites finanziarie "regnanti" possano (lontanamente?) far ritenere che la prosecuzione del modello UEM divenga un costo troppo alto per questa stessa convenienza.
Come abbiamo già detto, la sostanza dell'utilità "strategica" dell'euro è quella della omogeneizzazione dei rispettivi sistemi socio-economici dalle due parti dell'Atlantico: ergo, mercati del lavoro e sistemi di welfare (se così possono essere chiamati) che tendano a coincidere.
Al raggiungimento di questo obiettivo gli USA avrebbero, appunto, l'attualizzazione dell'interesse al TTIP (e connesso peg col dollaro), con aree, specialmente mediterranee, ormai abbastanza deindustrializzate sul manifatturiero da essere spazi coloniali, e non concorrenziali, nonchè di espansione del mercato dei servizi finanziari corrispondenti agli ex settori "core" dell'abrogato welfare pubblico.
Insomma: questo 6° capitolo, ancora una volta, ci riguarda.
E se in passato, infatti, ci aveva riguardato il paradigma deflazionista e finanziario del "vincolo esterno", sospinto in avanti dagli stessi USA, a partire dalla seconda metà degli anni '70, oggi non è ragionevole pensare che le oligarchie finanziarie possano attendere un' ulteriore trasformazione ultradecennale, prima di passare alla fase realizzativa di ciò che si aspettano accada in UEM.
Non a caso, le vicende di questi giorni, imperniate significativamente sulla spesa pensionistica (pubblica), nascono "da", e ci riportano a, quel clima di "fate presto!" caldeggiato dai sostenitori del vincolo esterno. Che, - inutile ripeterlo ancora?- non è altro che la proiezione mediatica-pop, in sede €uropea, della via scelta dall'ordine internazionale dei mercati per giungere alla "condizionalità"; un tempo riservata ai paesi del c.d. terzo mondo ma oggi, più che mai, in arrivo (a valanga) sugli "entusiasti" Stati-comunità (denazionalizzati e desovranizzati) sostenitori della "costruzione €uropea".
Dalla "scarsità di risorse" (naturalmente "dello Stato", possibilmente minimo e con 'sto "perimetro da ridurre", affichè sia "come una famiglia"), vista ciecamente come assioma incontestabile, laddove occorrerebbe tutto il contrario, si scende in un attimo nell'inferno della Grande Società. Solo che l'equilibrio della "sotto-occupazione" non regge: semplicemente non può reggere.
Altro che soluzione cilena: qui si prospetta, in pochi anni, una soluzione "The Jungle", con annesso Gulag privatizzato, che renderebbe il Cile di Pinochet quasi un esperimento rudimentale.
E' proprio vero che, economicamente (non nella sempre più diffusa e consolidata "dottrina politica") Hayekè superato, un residuo dialettico degli anni '70 (sebbene sia pur sempre l'anima del "profetico" rapporto Werner, già in sè contenente tutto, ma proprio tutto, l'attuale disegno €uropeo): neanche lui avrebbe probabilmente osato sperare che la Grande Società arrivasse a questa intrinseca perfezione...orwelliana.
1. Bidonville Valley
Nella Silicon Valley - poco lontano dal quartier generale di Apple – nel dicembre scorso è iniziato lo smantellamento di“The Jungle” , la più grande baraccopoli degli Stati Uniti - 68 acri lungo le rive fangose del Coyote Creek- abitata da oltre 300 persone e situata nei pressi di San José; la bidonville ha causato grande imbarazzo alle amministrazioni pubbliche divenendo il simbolo dell'esplosione degli “homeless” nella Silicon Valley, con San José e la circostante contea di Santa Clara che hanno stimato – nel 2013 - circa 7.600 persone senza fissa dimora (più di San Francisco), il 75% delle quali dormiva all'addiaccio sui marciapiedi, nei parchi e sotto le scarpate autostradali, una percentuale maggiore rispetto a qualsiasi altra grande area metropolitana degli Stati Uniti; “The Jungle” era diventata negli ultimi anni il rifugio per centinaia di persone troppo povere per rimanere nella zona, se pensiamo che a San José l'affitto medio per un appartamento con una camera da letto arriva a 2.154 dollari al mese.
La chiusura di “The Jungle” si inserisce in una situazione già molto difficile tra i dipendenti della Silicon Valleye gli altri abitanti della California occidentale, dove il costo della vita è salito a causa della bolla immobiliare generata dai soldi affluiti alle imprese hi-tech; a San Francisco, i residenti - con la rabbia montante per i numerosissimi sfratti - stanno organizzando la resistenza e attaccano gli autobus che portano gli ingegneri di Google, Facebooke Apple ai loro posti di lavoro, diventando il simbolo inaspettato di una crescente lotta sociale :"E 'una 'tempesta perfetta' di ricchezza estrema, una comunità di tecnologia in forte espansione e persone escluse da prezzi fuori mercato”, ha commentato Jennifer Loving, direttore esecutivo dell' associazione “Destination Home”, nell'intervista al “Los Angeles Times”.
Le problematiche della Bay Area in California sono speculari a quelle che stanno attanagliando il resto degli Stati Uniti, dove gentrificazione e bassi salari sono i fattori principali dell'esplosione demografica avutasi nelle periferie, dove oggi si concentrano molti dei “nuovi poveri” post recessione ; tuttavia, la diffusione della povertà non è avvenuta in modo uniforme ma si è raggruppata e concentrata in quartieri difficili e ad alto tasso di indigenza, vanificando i piccoli miglioramenti ottenuti alla fine degli anni '90.
2. Come si muove la povertà: uno studio del “Brookings Institution”
Lo studio più accreditato e citato negli Stati Uniti, riguardo ai flussi migratori verso le periferie urbano-rurali, è quello di Elizabeth Kneebone e Alan Berube - “Confronting Suburban Poverty in America” - ricercatoridel “Brookings Institution”; nel primo decennio del Duemila - a causa delle due recessioni ravvicinate e con il successivo aumento e sviluppo della povertà - il numero dei quartieri degradati negli Stati Uniti, quelli censiti con tassi di povertà del 40% o più, è salito di quasi ¾ e la popolazione che vive in tali quartieri è cresciuta in proporzioni simili (il 76%, ovvero 5 milioni di persone) perraggiungere 11,6 milioni nel periodo 2008-2012 : di quei residenti, 5,4 milioni erano poveri.
Il tasso di “povertà concentrata” rimane più alto nelle grandi città dove, nel periodo 2008-2012, quasi ¼ dei cittadini nullatenenti (23%) risiedeva in un quartiere degradato rispetto al 6,3% in periferia ; tuttavia, in questo periodo di tempo le comunità suburbane hanno sperimentato un ritmo di crescita più veloce nel numero degli abitanti poveri che vivono in “povertà concentrata” : tra il 2000 e il 2008-2012, il numero dei diseredati che abitano nei quartieri fatiscenti di periferia è aumentato del 139%, quasi tre volte il ritmo di crescita nelle città.
3- Il profilo razziale ed etnico- la vuota sceneggiata del politically correct: eguaglianza nella miseria, redenzione…per nessuno.
Il profilo razziale ed etnico dei quartieri periferici - sia a bassa che ad alta povertà - è cambiato: i quartieri a minore indigenza hanno assunto una maggiore eterogeneità , anche se i residenti di questi agglomerati rimangono in gran parte bianchi ; al contrario, i quartieri a livelli più elevati di indigenza – una volta “feudi” incontrastati di afro-americani e ispanici – hanno visto un incremento nella presenza dei bianchi, ora al 23% : tuttavia, le minoranze continuano a costituire lo zoccolo duro dei residenti, con punte del 53% tra i “colored”e del 54% tra i “latinos”.
Quasi tutte le maggiori aree metropolitane del Paese hanno visto la crescita della povertà nelle loro periferie, ma quelle meridionali della “Sunbelt” hanno registrato alcuni dei maggiori aumenti (almeno il 20%) nella quota degli abitanti poveri suburbani, come ad esempio Winston-Salem, Augusta-Richmond County, Greenville, e soprattutto Atlanta; la capitale della Georgia è una delle città degli Stati Uniti dove la maggior parte degli indigenti vive nei suburbi (88%) e quella dove, nel periodo 2000-2011, l'incremento della popolazione povera della periferia si è ampliato del 159%, laddove l'analoga popolazione urbana è invece rimasta sostanzialmente piatta.
Il fatto che le persone più umili siano costrette a trasferirsi in periferia potrebbe anche essere visto come un'occasione per uscire dalla miseria, a patto che questa “scelta” di vita sia bilanciata dalla possibilità di avere buone alternative di lavoro, alloggi a prezzi onesti e scuole di livello accettabile; purtroppo, la povertà è aumentata così rapidamente che molte di queste aree non sono in condizione di far fronte alle esigenze di una popolazione in crescita, mancando di infrastrutture e servizi all'altezza della situazione.
4. Vite ai margini
Discorso ancor più penoso è quello relativo alle sorti degli “homeless” , le persone che non dispongono di un tetto sotto cui vivere : il “Department of Housing and Urban Devolpment (HUD) ha presentato recentemente al Congresso l'”Annual Homeless Assessment Report(AHAR) che presenta le cifre ufficiali del fenomeno.
Secondo questi dati, nel gennaio 2014 i senzatetto negli Stati Uniti ammontavano a 578.424 persone ; quasi 2/3 (il 63% - 362.163 persone) erano individui singoli e, di questi, 209.148 erano ospitati presso strutture d'emergenza o in programmi abitativi transitori, mentre 153.015 persone vivevano in luoghi non riparati ; il rimanente 37% (216.261 persone) era composto da persone di famiglie senza dimora, con la maggior parte di esse (191.903 persone) ospitate in rifugi appropriati, al contrario dei 24.358 individui più sfortunati, censiti in ripari improvvisati come sotto viadotti, macchine o edifici abbandonati; particolare di non poco conto, quasi¼ di tutti gli “homeless” (23% - 135.701) sono bambini/ragazzi sotto i 18 anni.
L'amena e soleggiata Californiaè lo Stato con la maggior percentuale di senzatetto - il 20% (113.952 persone) - di tutti gli Stati Uniti, seguita da New York (14% - 80.590), Florida (7% - 41.452), Texas (5% - 28.495) e Massachusetts (4% - 21.237), le 5 realtà dove si concentrano la metà di tutti gli “homeless” americani : per inciso, la Californiaè anche il luogo dove chi si trova ai margini della società deve sopravvivere in condizioni peggiori che altrove, poiché il 62,7% dei clochardscaliforniani non beneficia di strutture riparate.
Non si pensi di liquidare il problema dei senzatetto, o anche di coloro che si arrabattano nei sobborghi metropolitani, ricorrendo - in maniera semplicistica - alla sterile “equazione del benpensante” homeless=accattone ; chiunque abbia anche solo una sufficiente dimestichezza con la lingua inglese potrà trovare centinaia e centinaia di storie, famiglie e persone comuni – come potrebbe essere ognuno di noi - che dopo intere vite di onesto e duro lavoro sono state travolte da terribili avversità - la perdita dell'occupazione o una grave malattia o tutt'e due - e si sono ritrovate dall'oggi al domani in mezzo ad una strada: le loro sono testimonianze tristi che ci ricordano come, nelle vertiginose mutazioni dell'epoca moderna, il confine tra un'esistenza dignitosa e l'indigenza sia molto più sfumato di quel che si creda, dove il “fantasma di Tom Joad” è una presenza costante che può manifestarsi di repente anche nei nuclei familiari in apparenza solidi.
5. “Non è un paese per poveri”
“Non è un paese per poveri” - parafrasando un celebre film dei fratelli Coen – potrebbe essere il titolo didascalico più acconcio per descrivere il clima di “dagli all'untore” che aleggia intorno ai senzatetto americani; infatti, le leggi anti-homeless- che vanno dal divieto di dormire in auto alle restrizioni sui comportamenti da tenere in pubblico - sono in aumento secondo quanto riportato da un nuovo studio pubblicato dal “National Law Center on Homelessness & Poverty”( NLCHP), e il numero di città che proibiscono di sedersi o sdraiarsi in spazi pubblici è aumentato da 70 nel 2011 a 100 nel 2014 - un balzo del 43%: anche dormire in macchina viene considerato un reato da reprimere - nel 2011 le città che lo proibivano erano 37, ora salite a 81 (+ 119%) - come, ad esempio, a Palo Alto in California dove i “trasgressori”vengono sanzionati con 1000 dollari di multa o 6 mesi di carcere.
Proprio la Californiasi è mostrata particolarmente zelante nell'applicazione delle nuove misure ; infatti, 58 città californiane hanno approvato almeno una legge che limita l'attività dei senzatetto (tutte assieme, queste città hanno superato un totale di 500 leggi “ad personam”) e solo San Francisco emette 3.000 citazioni all'anno per reati come dormire, sostare in piedi o elemosinare in pubblico : gli arresti di persone senza fissa dimora sono in aumento, e in tutto lo Stato il tasso di arresto per reati riferiti a "vagabondaggio"è aumentato del 77% dal2000.
Non si vuole certo negare che un minimo grado di decoro urbano vada garantito, ma il fatto che le misure repressive verso i clochards stiano aumentando proporzionalmente ai livelli di indigenza e alla radicalizzazione del fenomeno, lascia piuttosto pensare che sia l'ostensione della crescente povertà a fare paura alle élites, come scrive lo stessoZygmunt Bauman, questo acuto “reporter” della nostra contemporaneità : “[...] Oggi il difendere la purezza della soddisfazione consumistica si esprime sempre più chiaramente nella tendenza a criminalizzare i problemi sociali creati appunto dalla ricerca di tale soddisfazione. Dire che ogni ordine tende a criminalizzare chiunque si opponga ai suoi princìpi e a mettere fuori legge gli avversari reali o immaginari, è fare un'osservazione ovvia e banale. Meno ovvio – ma non per questo meno vero – è il fatto che ci si accanisce a estirpare proprio quei fenomeni che, a un esame più approfondito, si rivelanoespressioni radicalizzate (talvolta portate all'assurdo) dei princìpi stessi su cui si fonda l'ordine costituito [...]”. (Z. Bauman – Il Disagio della Postmodernità ; pagg.17-18)
E così mentre a New York City – dovegli homeless superano la soglia record delle 60.000 unità e rendono la “Grande Mela”prima metropoli della nazione in questa poco invidiabile classifica - l'amministrazione municipale incentiva con spregiudicati abbattimenti fiscali un lussuoso ed elitario mercato immobiliare, con interi isolati chiusi per la maggior parte dell'anno, a Fort Lauderdale (Florida) Arnold Abbott - signore 90enne della no-profit “Love Thy Neighbour” - e due pastori della “SanctuaryChurch” , sono condannati a 60 giorni di carcere e sanzionati con una multa pari a 400 euro per aver dato da mangiare ad alcuni senzatetto: Lee Feldman, city managerdi Fort Lauderdale, ha affermato che l'attuazione di tali misure si è resa necessaria per rispondere alle preoccupazioni di quei cittadini che vedono nei senzatetto “una minaccia alla sicurezza e alla redditività degli affari”.
Una società che “dimentica” e mortifica i sentimenti più elementari di compassione e di pietà, dove impera il disconoscimento di tutte le ragioni di tipo non economico, è una società destinata ad un progressivo “imbarbarimento di ritorno” e avviata verso la propria inevitabile autodistruzione.
6. La crisi razziale negli Stati Uniti del XXI secolo
L'uccisione dell'adolescente nero disarmato Michael Brown a Ferguson– un sobborgo di St. Louis– e l'ondata di disordini che ne sono seguìti mostrano che la crisi razziale nella società americana è ancora ben lungi dall'essere risolta; ciò che ha scioccato la nazione non è stata tanto la notizia della morte di un adolescente afro-americano per mano di un poliziotto bianco (nelle citta americane, le persone di colore vengono uccise da poliziotti bianchi quasi ogni giorno di ogni settimana), quanto la ferocia nella risposta della polizia verso coloro che protestavano contro l'uccisione: per diverse notti, le immagini televisive provenienti dal Missourierano tali che chiunque le avrebbe potute confondere con filmati realizzati durante le rivolte del 2005 nelle banlieues francesi.
La crisi di Ferguson ha dato la stura alle polemiche sul notorio “doppiopesismo” delle
amministrazioni americane in tema di “diritti umani”, sempre pronte ad ingerirsi nelle crisi interne di altri Paesi (molto spesso provocate ad arte, proprio dagli stessi USA) quando ciò rechi loro vantaggi di varia natura e, viceversa, assai reticenti nel fornire spiegazioni all'opinione pubblica internazionale se fatti analoghi – o ben più gravi – accadono "a Washington"; è da rilevare, peraltro, il silenzio assordante dell'Unione Europea e dei suoi azzimati “quaquaraquà”, forse turbati all'idea di contrariare, con improvvide dichiarazioni, l'ingombrante alleato: non una parola, non un moto di sdegno; e dire che il putschdi Kiev– in cui i neonazisti erano assurti al rango di “pacifici manifestanti” - aveva consegnato agli annali della Storia una pleiade di “statisti” così preoccupati per il rispetto dei “diritti umani”, che anche solo un briciolo della loro “sospetta” e parossistica loquacità dell'epoca sarebbe bastato alla causa delle persone oppresse negli Stati Uniti (di qualunque “colore”), e avrebbe avuto un altro e ben più valido banco di prova per testare la sincerità di quelle convinzioni.
A rendere ancor più stridente l'inazione del politburoazzurro-stellato ha contribuito il rapporto, a dir poco clamoroso, rilasciato dal “Committee on the Elimination of RacialDiscrimination” (CERD) , una commissione delle Nazioni Unite che ha analizzato lo stato attuale della giustizia razziale negli Stati Uniti; nel rapporto, oltre all'esplicito biasimo verso l'incredibile brutalità della polizia, si legge: “[...] questo non è un evento isolato e illustra un problema più grande negli Stati Uniti, come ad esempio i pregiudizi razziali tra i funzionari delle forze dell'ordine, la mancanza di una corretta applicazione delle norme e dei regolamenti chedisciplinano l'uso della forza, e l'inadeguatezza della formazione dei funzionari delle forze dell'ordine (…) la discriminazione razziale ed etnica rimane un problema grave e persistente in tutti i settori della vita dalla segregazione scolastica 'de facto', l'accesso all'assistenza sanitaria e all'alloggio […]”.
L'assassiniodi Brown ha riaperto – ammesso e non concesso che si fosse mai chiuso – il dibattito sulla “cultura” della polizia americana nei confronti della comunità nera, così come la crescente militarizzazione delle forze dell'ordine, dovuta ad un programma federale del Pentagono – il “1033 Program” - che prevede la fornitura di attrezzature militari alle forze di polizia metropolitane: il tenente colonnello Jon Belmar – l'ufficiale di polizia più alto in grado nella Contea di St. Louis– ha giustificato l'ampio impiego di attrezzature militari e di blindati affermando che : “[…] se non avessimo avuto la capacità di proteggere gli agenti con quei veicoli, temo che avremmo dovuto affrontare le persone con le nostre armi da fuoco. Credo davvero che l'uso dei blindati ci abbia consentitodi non aver dovuto premere il grilletto [...]”.
7. “To protect and serve”
Gli eventi luttuosi in Missouri sono stati il seguito di un altro episodio, parimenti tragico, accaduto qualche settimana prima a New York City, dove il 43enne (padre di 6 figli) Eric Garner– sospettato di vendita illegale di sigarette e disarmato – veniva immobilizzato da un agente di polizia con una reiterata presa alla gola (vietata dalle disposizioni del NYPD) con l'interno dell'avambraccio, scaraventato a terra e successivamente paralizzato da altri poliziotti in una posizione di forte costrizione respiratoria, con il primo agente che, lasciato il collo, premeva ora violentemente il volto di Garner contro il marciapiede; a questo punto, Garner ha ripetuto più volte “I can't breathe” prima di perdere conoscenza e rimanere lì, esanime per diversi minuti, fino all'inutile arrivo dell'ambulanza: Garner è giunto al “Richmond University Medical Center” già deceduto.
L'autopsia ha confermato che quello di Garner è stato “un omicidio”, causato da compressioni al collo provocate dallo strangolamento e per " la compressione del petto e la posizione prona durante l'immobilizzazione fisica da parte della polizia"; nonostante questi risultati, il Gran Jury ha deciso incomprensibilmente – come a Ferguson – di non procedere penalmente nei confronti del responsabile, provocando un'ondata diveementi proteste.
8. “Se non state attenti, i media vi faranno odiare le persone che vengono oppresse e amare quelle che opprimono”
L'elenco delle brutalità della polizia americana è sterminato e non ci interessa fare una cronistoria; sono viceversa da biasimare gli esempi di pessimo giornalismo, che non aiutano a rasserenare gli animi e danno letture fuorvianti della realtà: è il caso di due “giornalisti” dell'”Huffington Post” , che in un articolo ossequioso verso il NYPD arrivano a scrivere : “Eric Garner era sovrappeso e in cattive condizioni di salute. Era un fastidio per i proprietari del negozio che si lamentavano del suo vendere sigarette non tassate per la strada. Quando la polizia è venuta ad arrestarlo, ha resistito. E se poteva dire ripetutamente, "non posso respirare" vuol dire che riusciva a respirare [...]” ; dobbiamo quindi pensare, come lasciano intendere questi “Bonnie & Clyde” della cartastampata, che chiunque si macchi del “terribile” reato di vendere sigarette illegali (che non sono state trovate) all'angolo di una strada – probabilmente per mettere insieme il pranzo con la cena – debba come contrappasso venire strangolato con una presa di wrestling da un esaltato supercop newyorchese; ma dove spietatezza e viltà d'animo strabordano è giungere a negare la veridicità delle richieste di aiuto di una persona in stato disoffocamento, solo per il semplice fatto che egli fosse in grado di pronunciarle: secondo questa “ferrea logica”, un bagnante in difficoltà che si agita, annaspa e grida non sta realmente annegando perché … si agita, annaspa e grida.
9. Potere assoluto: la militarizzazione dei Dipartimenti di polizia
Come ci ha mostrato Edward Snowden, gli Stati Uniti sono a tutti gli effetti uno Stato di Polizia, dove i cittadini “sono tutti in libertà provvisoria”; il quotidiano “The Guardian” ha scoperto che il dipartimento di polizia di Chicago gestisce un centro interrogatori anonimo e non registrato, nel quale i sospettati sono arrestati senza figurare nei database ufficiali, percossi ed ammanettati per periodi prolungati, negando anche l'accesso degli avvocati alla struttura "protetta": l'edificio – definito dagli stessi avvocati come l'equivalente nazionale di un “black site” della CIA - èuno scialbo magazzino sul lato ovest di Chicagoconosciuto come “Homan Square”, all'interno del quale sono presenti celle per gli interrogatori e altre strutture all'uopo specializzate.
A detta di molti sociologi e analisti politici, sono proprio le precedenti analisi delle odierne dinamiche socio-economiche americane a rendere Ferguson“l'episodio pilota” di un esperimento di carattere strategico-militare, il luogo ove si sono tenutele prove generali per la repressione di sommosse di vasta portata che saranno generate dall'inevitabile futuro crollo borsistico, allorquando lo schianto dell'economia imporrà il contenimento di masse esasperate ed il controllo della forza lavoro superflua.
A riprova di queste affermazioni vi sono gli innumerevoli programmi di armamento pesante che stanno coinvolgendo i Dipartimenti di polizia delle maggiori città degli “States” , come
ad esempioNew York City oLos Angeles: Matt Apuzzo - giornalista del “New York Times” - ha scritto qualche mese fa:“[...] Durante l'amministrazione Obama, secondo i dati del Pentagono, i dipartimenti di polizia hanno ricevuto decine di migliaia di mitragliatrici, quasi 200.000 caricatori di munizioni, migliaia di pezzi per la mimetizzazione e attrezzature per la visione notturna e centinaia di silenziatori, blindati ed aerei . L'apparecchiatura è stata aggiunta alle armerie dei dipartimenti di polizia chegià sembrano e agiscono come unità militari. Squadre di polizia SWAT sono ormai schierate decine di migliaia di volte ogni anno, sempre più in lavori di routine. Poliziotti mascherati e pesantemente armati hanno fatto irruzione in Louisiana in una discoteca nel 2006 nell'ambito di un controllo sui liquori. In Florida, nel 2010, agenti in tenuta SWAT e con le pistole spianate hanno effettuato incursioni in saloni di parrucchiere che hanno portato principalmente solo ad accuse di 'barbering' senza licenza [...]”.
10. La “war on drugs” degli anni '80 e '90: conseguenze postume
L'uso della forza e l'inasprimento della repressione interna muovono i primi passi già negli anni '80 quando, sull'onda della supposta “emergenza” nella lotta agli stupefacenti (la cosiddetta “war on drugs”), le amministrazioni americane emanano leggi ad hoc e forniscono alle vecchie e nuove agenzie di sicurezza - come la DEA(Drug Enforcement Administration)– adeguati strumenti per il restringimento delle libertà, nonché l'assistenza militare per il rafforzamento di tali leggi; contestualmente, il governo intraprende una campagna di pubbliche relazioni - anche per mezzo di una serie di spot televisivi e radiofonici - per ottenere il sostegno pubblico in questa sua continua "guerra"; le montanti preoccupazioni riguardo produzione, vendita e uso di droghe illegali ottengono l'effetto voluto e portano l'opinione pubblica a chiedere al governo di "fare qualcosa" per questa escalationdi sostanze proibite: tale clamore ha aperto la porta alla militarizzazione della polizia nazionale ed ha ampliato l'attività interna delle agenzie, in conformità con la politica riguardante la sopracitata militarizzazione: per dare un'idea, nel 1980 cifurono circa 375.000 arresti per droga, ma alla fine del decennio il numero era giàsalito a quasi un milione.
In seguito, diversi giornalisti - tra i quali Robert Parry - hanno chiarito come dietro all'invasione di cocaina e crack negli Stati Uniti degli anni'80 e '90 vi fossero le pesanti responsabilità delle amministrazioni americane (Reagan in primis) e della CIA; a tal proposito, ci corre l'obbligo di parlare, en passant, di Gary Webb – giornalista vincitore del premio Pulitzer– che nel 1996 scrisse sul “San José Mercury News” una serie di articoli documentati nei quali esponeva la chiara complicità della CIA nel contrabbando di tonnellate di cocaina vendute negli Stati Uniti, i cui proventi servivano a finanziare i Contras, gruppi ribelli appoggiati dalla CIA in Nicaragua; i tre grandi giornali dell'establishment(Washington Post, New York Times, Los Angeles Times) fecero fronte comune ed ebbero il compito di screditarlo, permettendo - come si legge in un documento della CIA, pubblicato da“World Socialist Web Site“- di contenere le ricadute delle rivelazioni di Webb sull'opinione pubblica, il tutto proprio grazie alla “campagna di relazioni” che l'Agenzia aveva intessuto con i media: da quel momento, la carriera di Webb cominciò a declinare e la sua parabola umana si concluse nel 2004 con uno strano suicidio.
Ma il Tempo è galantuomo e gli ha dato ragione ; lo scorso ottobre, è infatti uscito il film“Kill the messenger” dove viene ripercorsa la storia della sua inchiesta e, prima dell'arrivo della pellicola nelle sale, sono arrivate anche le prime ammissioni: Jesse Katz - un giornalista del Los Angeles Times – ha raccontato in un'intervista radiofonica che il suo giornale, all'epoca,formò una "squadraGary Webb" di ben 17 giornalisti che lavorarono sistematicamente per produrre materiale che lo denigrasse.
11. La privatizzazione del sistema carcerario statunitense
La "drug crisis" negli Stati Uniti ha così fornito una chiara opportunità a polizia e forze militari per espandere le loro operazioni, aumentare il personale e ampliare a discrezione i bilanci, ma non solo loro hanno tratto beneficio da codesta Nuova Crociata; forse non tutti sanno che anche il sistema penitenziario americano è largamente privatizzato e i gruppi che posseggono le strutture detentive - la cui principale fonte di reddito è legata ai contratti governativi - hanno “lavorato” essi stessi per espandere e perpetuare la guerra alla droga; è chiaro che il reddito per queste “imprese” dipende direttamente dal numero di individui incarcerati, e l'aumento delle pene per i reati di droga - sostenuto dagli stessi sindacati di polizia - ha reso quello delle prigioni private un businessparticolarmenteredditizio: per fornire un contesto, si consideri che le entrate delle due grandi aziende carcerarie private ammontano a 3 miliardi di dollari l'anno (Corrections Corporation of America2010).
Il “GEO Group Inc.” – uno dei principali operatori privati nel settore carcerario degli Stati Uniti - individua esplicitamente i cambiamenti della politica verso gli stupefacenti come una minaccia per la redditività del proprio business : "[…] La nostra crescita dipende dalla nostra capacità di assicurarci contratti per sviluppare e gestire nuove strutture correzionali, detentive e di salute mentale (…) le modifiche rispetto alla depenalizzazione delle droghe e delle sostanze controllate potrebbero influenzare il numero degli individui arrestati, detenuti, condannati e incarcerati, quindi potenzialmente ridurre la domanda di istituti penitenziari per ospitarli. Allo stesso modo, la riduzione dei tassi di criminalità potrebbe portare a riduzioni di arresti, condanne e sentenze che richiedono la carcerazione in istituti penitenziari [...]". (vedi link pagg. 496-497)
Queste dichiarazioni dimostrano, in maniera inequivocabile, quali e quanti interessi concorrano non solo a mantenere lo status quo, ma anche ad auspicare l'aumento del numero di persone da incarcerare, facendo forti pressioni sui governi affinché vengano approvate leggi ancor più rigorose che garantiscano un flusso continuo di “pensionanti”.
Il boom della privatizzazione delle carceri ha avuto inizio negli anni '80 sotto i governi di Ronald Reagan e di Bush sr., ma è con la presidenza Clinton che si consolida il nuovo paradigma gestionale della “rieducazione”, quando il programmato taglio della forza lavoro federale porta i Dipartimenti di Giustizia ad appaltare alle imprese carcerarie private la detenzione dei lavoratori irregolari e dei detenuti ad alta sicurezza; attualmente, i due maggiori contractors sono “Corrections Corporation of America”(CCA) e “GEO Group Inc.” (ex“Wackenhut” ) che insieme controllano il 75% del “mercato”: le carceri private ricevono un importo garantito di denaro per ogni prigioniero, indipendentemente dal costo pro capite sostenuto, e secondo Russell Boraas - un amministratore di una prigione privata in Virginia- "il segreto per bassi costi di esercizio è avere un numero minimo di guardie per il maggior numero di detenuti".
11-bis. “Arcipelago Gulag”
Se le spinte emergenziali per la “war on drugs”avevano già ristretto diverse libertà civili e aumentato il numero della popolazione carceraria, è la successiva “guerra al terrore”post 11/9 - con l'emanazione del “Patriot Act”(ottobre 2001) e dell'”Homeland Security Act” (novembre 2002) - a trasformare l'America in un “Arcipelago Gulag” : da meno di 300.000 detenuti nel 1972 si è arrivati al milione di unità negli anni '90 , per giungere ai 2 milioni negli anni 2000; l'analogo e consequenziale discorso va applicato alla presenza delle carceri private - appena 5 strutture solo dieci anni fa, con una popolazione di 2.000 detenuti – arrivate oggi a 100, con 62.000 persone internate.
A tutt'oggi, sono oltre 2 milioni i reclusi “ospitati” in prigioni statali, federali e private in tutto il paese e – a detta del “California Prison Focus" - nessun'altra società nella storia umana ha imprigionato così tanti suoi cittadini ; i dati mostrano che gli Stati Uniti hanno rinchiuso più persone di qualsiasi altro paese - un milione e mezzo più della Cina, che ha una popolazione cinque volte superiore– avendo, da soli, il 25% della popolazione carceraria mondiale, e questo nonostante il contributo americano alla popolazione planetaria sia appena il 5%.
Abbiamo accennato in precedenza alle attività di lobbying esercitate dalle corporations del settorenei confronti dei regolatori, affinché la legislazione repressiva non venga attenuata; così abbiamo persone che, in base a leggi federali, possono scontare 5 anni di carcere - senza possibilità di libertà condizionale - per il possesso di soli 5 grammi di crack o 3,5 once di eroina, e 10 anni per il possesso di meno di 2 once di rock-cocaine o di crack ; oppure detenuti che per aver rubato una macchina e due biciclette hanno ricevuto tre condanne a 25 anni, in base alle “three strikes laws” (la prigione a vita dopo essere stati condannati per tre reati).
13. I nuovi servi della gleba
Si tratta di pene evidentemente sproporzionate rispetto alla gravità dei crimini commessi, ma funzionali alla creazione delle migliori condizioni per l'altro business, ovverosia la fornitura di mano d'opera “IG Farben style”, tutti lavoratori a tempo pieno, mai assenti o in ritardo, senza noiose seccature come scioperi o sindacati, in parole povere : il ritorno istituzionalizzato della schiavitù.
Esagerazioni?
Esagerazioni?
Niente affatto; almeno 37 Stati hanno legalizzato l'amministrazione del lavoro carcerario per le società private operanti all'interno delle prigioni di stato; l'elenco contiene la crema delle aziende statunitensi: IBM, Boeing, Motorola, Microsoft, Texas Instrument, Dell, Compaq, ecc. che, tra il 1980 e il 1994, hanno accresciuto i profitti da 392 milioni a 1,31 miliardi di dollari.
Di solito, i detenuti nei penitenziari statali si vedono riconosciuto il salario minimo per il loro lavoro, ma ciò non accade ovunque; in Colorado, ad esempio, i reclusi ricevono circa 2 dollari all'ora - ben al di sotto del minimo - mentre nelle prigioni gestite da privati la “diaria” (nell'accezione originale latina) è meno di 17 centesimi all'ora per un massimo di sei ore al giorno, l'equivalente di 20 dollari al mese; la prigione privata che “paga meglio” è un complesso della “CCA”in Tennessee, dove i prigionieri ricevono 50 centesimi all'ora per quelle che essi chiamano "posizioni altamente qualificate" .
Con tariffe così “concorrenziali”, assistiamo al paradosso di aziende che cessano attività lucrose in zone economicamente depresse e – per incrementare ulteriormente i profitti - trasferiscono le commesse nelle carceri degli Stati Uniti: una società operante come maquiladora (impianto di assemblaggio vicino al confine) in Messico ha chiuso la sua produzione ed harilocalizzato al San Quentin State Prison in California, mentrein Texas, una fabbrica ha licenziato i suoi 150 lavoratori ed ha subappaltato i servizi ai prigionieri-lavoratori del carcere privato di Lockhart Texas, dove sono assemblati i circuiti per aziende come IBM e Compaq : la prassi è oramai talmente consolidata che i politici stessi non si peritano di pubblicizzare la convenienza delle strutture detentive presenti nei territori di loro pertinenza, come l'ex rappresentante di Stato dell'Oregon, Kevin Mannix, che ha recentemente esortato Nikea ridurre la sua produzione in Indonesia e a trasferirla nel suo stato, corteggiando il produttore di scarpe con argomenti del tipo : "non ci sarà alcun costo di trasporto; qui stiamo offrendo lavoro carcerario competitivo".
Con tariffe così “concorrenziali”, assistiamo al paradosso di aziende che cessano attività lucrose in zone economicamente depresse e – per incrementare ulteriormente i profitti - trasferiscono le commesse nelle carceri degli Stati Uniti: una società operante come maquiladora (impianto di assemblaggio vicino al confine) in Messico ha chiuso la sua produzione ed harilocalizzato al San Quentin State Prison in California, mentrein Texas, una fabbrica ha licenziato i suoi 150 lavoratori ed ha subappaltato i servizi ai prigionieri-lavoratori del carcere privato di Lockhart Texas, dove sono assemblati i circuiti per aziende come IBM e Compaq : la prassi è oramai talmente consolidata che i politici stessi non si peritano di pubblicizzare la convenienza delle strutture detentive presenti nei territori di loro pertinenza, come l'ex rappresentante di Stato dell'Oregon, Kevin Mannix, che ha recentemente esortato Nikea ridurre la sua produzione in Indonesia e a trasferirla nel suo stato, corteggiando il produttore di scarpe con argomenti del tipo : "non ci sarà alcun costo di trasporto; qui stiamo offrendo lavoro carcerario competitivo".
Il rapporto di “Human Rights Advocates” è molto chiaro e avverte chela privatizzazione delle carceri non è compatibile con il mantenimento degli standards basilari di diritti umani, un sistema nel quale chi è vittima di un arresto o di un'incarcerazione illegale ha spesso difficoltà insormontabili nell'ottenere giustizia, poiché i soggetti privati non hanno lo stesso grado di responsabilità che è proprio di istituzioni e funzionari pubblici.
Vi è un profondo pericolo – fanno notare gli estensori - nell'iniettare la logica del profitto “sempre e comunque” anche nell'ambito carcerario, come testimonialo scandalo “Cash-for-Kids” della contea di Luzerne (Pennsylvania), dove per quasi un decennio, due giudici – Mark Ciavarella e Michael Conahan – e i responsabili di 2 centri privati di detenzione minorile avevano pianificato uno schema per assicurarsi che gli impianti sarebbero rimasti sempre pieni, e quindi redditizi; il compito dei funzionari di contea era, infatti, quello di far eseguire più carcerazioni possibili : il risultato è stato che centinaia di minorenni, molti dei quali non avevano precedenti penali, sono stati condannati a trascorrere diverso tempo dietro le sbarre per assurde infrazioni minori, tutto in cambio di pagamenti per più di 2,6 milioni di dollari. (pagg. 4-5)