1. Sulla questione Grecia si staglia, tragicomico, l'effetto "calciomercato".
Il rinvio continuo della soluzione, in occasione di ogni scadenza "ultimativa", per ulteriori riflessioni, dopo settimane (anzi, mesi), di trattative in cui le parti già conoscevano benissimo cosa e "quanto" fosse in gioco, rammenta la (curiosamente parallela) vicenda Nainggolan.
Più in generale, lo stop and go sulla Grecia - su cui siamo già certi che dovrà fare una manovra di consolidamento fiscale per 2 punti di PIL, ripiombando il PIL in segno nettamente negativo, e cioè in una nuova recessione, socialmente pesantissima-, mette in scena uno spettacolo quasi identico a quelle trattative che si svolgono oggi tra le squadre di calcio italiane, in cui "esigenze di bilancio" e i vari accorgimenti contabili, dominano i comportamenti negoziali. Con grande fortuna degli specialisti mediatici del calciomercato, che possono sfoggiare l'analisi da insider, dimenticando, curiosamente, il dato fondamentale (esattamente come fa la grancassa mediatica orwelliana sulle questioni economiche): anche il calcio italiano risente della crisi determinata dall'euro.
2. Il meccanismo è sotto gli occhi di tutti, come la parabola discendente di quello che dovrebbe essere il riscontro della competitività del prodotto calcistico nazionale (in sè): le varie nazionali di calcio.
Si parte, infatti, da un cambio fisso (sì, alla fine, questo è il senso della moneta unica-marco, priva di governo e con una banca centrale che finge di essere per tutti...ma che è "per nessuno"), con una moneta dal corso troppo alto per il nostro livello inflattivo "naturale"; vincoli di deficit pubblico simultanei; da cui, prima caduta della domanda estera per vincolo monetario sul settore esportativo, poi conseguentecontinuo aumento della pressione fiscale (qui, p.4); e, dunque, ricaduta in un'ulteriore flessione della domanda interna per investimenti e consumi; fino al trend distruttivo che erode la stessa base industriale, smantelladola progressivamente (via via che l'euro si staglia come irrinunciabile e irrevesibile).
3. Nel calcio (in modo paradigmatico), abbiamo così vivai che non producono "merce" competitiva coi prodotti-giocatori esteri; carenza di liquidità che riduce la stessa possibilità di innovazione e investimento (autogenerata come in precedenza); ricorso ad una importazione (investimenti-innovazione con indebitamento estero) sempre più marginale rispetto ai competitori esteri; IDE sempre più diffusi sugli operatori incumbent nazionali, che divengono a proprietà estera o "delocalizzata" (cioè il vero azionista di controllo è un soggetto non residente ai fini gestionali e fiscali ed eventuali profitti non reinvestiti finiscono all'estero).
Il calcio, come settore industriale, risulta dunque affetto da perenne deficit delle "sue" specifiche partite correnti, per continua importazione di beni strumentali (atipici: i giocatori), inclusa la conseguente voce "redditi" (e registra un forte deficit anche come specifica posizione netta sull'estero).
In modo eloquente, in conseguenza della crescita dei costi relativi rispetto al resto dell'€uropa, e dell'ambiente fiscale euro-imposto, subisce la contrazione della domanda interna (incassi per pubblico pagante, sponsor, diritti televisivi legati ad una pubblicità televisiva sempre più asfittica).

Ergo, si deprezzano i valori patrimoniali delle società: le quali, poi, almeno quelle più competitive sul piano dell'avviamento e del marchio (a suo modo un ex orgoglio del made in Italy), o falliscono o finiscono in mano estera a prezzi (corsi azionari) molto convenienti...per gli investitori esteri. Questi, un tempo (quando non eravamo infognati nel...fogno dell'euro), non si sarebbero mai immaginati di venire "in salvataggio" di società che avevano non solo prospettive di crescita, ma potevano aspirare (e riuscivano) ad essere leader del rispettivo mercato.
Ma tutto questo "Alice", - l'Italia sognante e neo-livorosa, a caccia di autorazzismo-, "non lo sa". E non gli interessa di saperlo.
E, infatti, della questione greca non coglie (Alice) la sua vera dimensione di riflesso in uno specchio (deformante), se non per qualche accanimento livoroso (autoriflettente)...