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PERCHE' IL CASO GRECIA CI FA CAPIRE CHE DOVREMMO USCIRE AL PIU' PRESTO DALL'UE (magari prima dell'Armageddon cino-globale)

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1. Uno dei vantaggi derivanti dall'attuale crisi dell'Unione €uropea, - che consiste nel paradosso che, proprio perchè il "fogno" sta avendo successo, i rispettivi popoli devono essere distrutti (per essere sostituiti da "qualcosa", un "meticciato di viscidi esseri inferiori", eugeneticamente più adatto agli obiettivi che ESSI stanno realizzando)- è il cedimento involontario della facciata marmorea della disinformazione espertologo-mediatica (anti)italiana.  
Su di essa, infatti, si regge il controllo sociale degli spaghetti-ordoliberisti-tea party (indispensabile per condurre a termine l'eliminazione identitaria e, possibilmente, fisica, delle Nazioni democratiche).

2. Mentre sul Sole24ore, gli editoriali, oltre ad auspicare il suicidio (incartato di solidarismo) del Fondo di redenzione, finiscono per ammettere che"in 17 anni, ossia da quando si è vincolata all'euro, l'Europa non ha ancora trovato un meccanismo che sostituisca degnamente quello di cui si è privata dal 1° gennaio del 1999, ossia la flessibilità del cambio", un po' ovunque, nei talk a reti unificate a ciclo continuo, si è costretti a dire che la Grecia non ha una struttura industriale capace di reggere all'uscita dall'euro e quindi si troverebbe con una moneta svalutata a dover importare di tutto e di più.
La grande scoperta (raffazzonata ed incompleta) delle condizioni di Marshall-Lerner, rispetto alla Grecia, - che censura il fatto che, comunque, la cura inflitta alla Grecia dal 2010 ha portato a una deindustrializzazione del 30% e che la svalutazione, dal punto di vista del turismo, e persino di quello delle privatizzazioni degli assets pubblici, (aumentandone la redditività), darebbe una spinta enorme all'afflusso di valuta forte dal resto d'€uropa e del mondo- porta al fastidioso inconveniente che l'argomento, in termini logici, deporrebbe a favore di un'uscita italiana dalla moneta unica.

Tra i tanti autogoal inconsapevoli in questo senso, segnaliamo questo articolo de La Stampa, dove, a proposito della Grexit (esplusione, per essere più precisi) si legge, all'interno di una certa confusione economicistica: "Quanto ad Atene, una volta rinunciato all’euro, dovrebbe comunque rinegoziare il debito col Fmi e l’Eurotower, che terrebbero conto della probabile recessione e della svalutazione, oltremodo dannosa per un paese che esporta poco".

3. Va infatti segnalata, anche nel caso estremo della Grecia, la non scontatezza di una recessione, quantomeno comparativamente "maggiore" di quella che si avrebbe dentro la €-condizionalità!, recessione che, per contro, come dimostra Krugman, è piuttosto una sicurezza legata alla permanenza dell'euro (come se ci fosse ancora bisogno di dimostrare che le politiche di correzione euroimposte siano la cause di recessione e stagnazione dell'intera UEM). 
E va precisato che il problema della Grecia non è che esporta poco, ma che produce poco (in qualunque tipo di produzione, non turistica ed agricola), sempre in conseguenza della "specializzazione" produttiva - equivalente a deindustrializzazione (in aggravamento rispetto alla situazione di partenza, debole, che sconsigliava l'adesione alla moneta unica) - legata inevitabilmente all'adesione a un trattato liberoscambista con moneta comune (sostanzialmente) gold standard.

Il fatto, però è che questi argomenti non varrebbero per l'Italia.

dati della produzione industriale greca confrontati con quelli degli altri paesi dell'Eurozona
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4. In questo quadro, scontando difficoltà varie legate al suddetto "effetto di specializzazione" (che come si può vedere si è risolto generalmente nell'UEM, in una tendenziale deindustrializzazione generalizzata a favore della Germania), - ed al fatto che, come dice Cesare Pozzi, abbiamo perduto molte filiere fondamentali e, per quelle rimaste, abbiamo perso il relativo controllo, divenendo price taker (di controllori finali esteri dei prodotti finiti)-, si avrebbe, con molta probabilità, un risultato dell'Ital-exit molto differente rispetto a quella greca. Più o meno (per dire) in questo modo (un'ipotesi che non sappiamo se abbia tenuto conto dell'elasticità dei consumi e degli investimenti importati, alla variazione del reddito e del cambio):
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5. Allo stato attuale, anche volendo rimanere su dati piuttosto raw e divulgativi, la situazione è peraltro in miglioramento, dato che il panico che potesse rompersi il giocattolo della deflazione salariale e del controllo sociale, ha portato alle "mosse" di Draghi che svalutano il cambio relativo dell'euro, cioè, in parte, anticipano obiettivamente una parte dell'effetto del ritorno alle valute nazionali, quantomeno rispetto all'area extra-UEM (anche se questo non lo si deve dire mai in TV e sui giornaloni).

Il surplus italiano nel commercio estero (la domanda interna è tutta un'altra cosa), nei dati di aprile 2015, registrati a giugno, "è salito a 3,7 miliardi dai 3,5 miliardi di un anno fa. Esclusa energia, bilancia positiva per 7 miliardi. Grandi affari con Cina, Usa e UK.
...Sempre ad aprile, la crescita tendenziale dell'export è particolarmente sostenuta negli affari con gli Stati Uniti (+36,3%), Cina (+17,9%) e Regno Unito (+14,8%), mentre una forte flessione si registra per la Russia (-29,5%). In marcata crescita le vendite di autoveicoli (+51,2%). Gli acquisti dai paesi Eda (+50,8%) e quelli di mezzi di trasporto, autoveicoli esclusi (+36,7%) sono in forte crescita."

N.B.: Mettiamo da parte, al momento, la questione della borsa cinese e del collasso planetario, in probabile preparazione, della finanza globalizzata. Ci torneremo presto, non sarà rassicurante, ma almeno ESSI potebbero farci fare qualche sana risata...

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6. Risulta utile, allora, al netto dello scenario Armageddon cino-globalizzato, citare il discorsetto fatto in un comunicato del CENSIS del marzo 2014,prima che l'effetto BCE spargesse a piene mani la competitività da svalutazione del cambio...di cui non si può parlare, chissà perchè, in caso di euroxit:
"Restiamo un mercato molto appetibile. 
Un rafforzamento del potere contrattuale dell'Italia nei confronti dell'esecutivo europeo e degli altri Paesi potrebbe provenire da un'attenta ricognizione di ciò che significa per l'Europa comprendere al proprio interno un territorio il cui peso economico e produttivo va al di là del mero rapporto dare-avere registrato dal budget finanziario dell'Ue. Essendo in termini di Prodotto interno lordo la quarta economia europea, l'Italia rappresenta il 12,6% dei consumi finali delle famiglie nei 27 Paesi membri, per un ammontare di circa 1.000 miliardi di euro. E siamo al quinto posto per numero di passeggeri del traffico aereo, con una quota sul totale europeo pari all'11,3% e un valore assoluto che supera i 116 milioni di passeggeri. 
Questa domanda si riflette in un rilevante livello di importazioni interne all'Unione, pari a 200 miliardi di euro, ovvero il 73% del totale delle importazioni interne (si tratta di una cifra vicina all'intero Pil della Grecia e superiore a quello della Danimarca o della Finlandia). 
...La società italiana è solida. La quota sul Pil del valore degli immobili di proprietà in Italia è pari al 9,1% (...? ndr: siamo sicuri?): questo dato ci pone in cima alla classifica europea. Sul piano della ricchezza finanziaria netta, gli italiani presentano un valore che è più di due volte e mezzo il reddito disponibile (quinto posto in Europa).
E diamo un forte contributo alla competitività europea. 
 L'Italia si conferma la seconda economia manifatturiera europea in termini di valore aggiunto (216 miliardi di euro nel 2012) e in base al numero di imprese: 422.000, pari al 19,9% di tutte le imprese manifatturiere europee, che occupano quasi 4 milioni di addetti, preceduti solo dai tedeschi, con poco più di 7 milioni di addetti. 
Con circa 370 miliardi di euro esportati nel 2012, il manifatturiero italiano si pone al quarto posto nell'export in Europa. E l'Italia realizza il quinto saldo positivo della bilancia commerciale nell'Unione europea, con un valore vicino a 11 miliardi di euro. Siamo terzi per produzione lorda di energia da fonti rinnovabili. Mentre siamo al primo posto nei prodotti agroalimentari di qualità, disponendo di 248 marchi certificati (la Francia è seconda, con un numero di prodotti di qualità molto inferiore: 192), e terzi per numero di aziende biotecnologiche.
Se è vero che lo scenario di un'uscita dell'Italia dall'euro appare nei fatti non praticabile e non auspicabile, è anche vero che una diversa rappresentazione del ruolo e del peso dell'Italia nell'Ue, che vada oltre i freddi meccanismi di determinazione degli obiettivi di finanza pubblica così come sono oggi stabiliti, potrebbe condurre a una più chiara identificazione del potenziale di crescita complessivo dell'Unione europea, dei cui benefici si avvantaggerebbero non solo i cittadini italiani."

7. Ma quello che è sommamente interessante, è quanto è detto poco prima riguardo al "dare-avere" con l'UE (un discorso qui già varie volte affrontato):
"L'Italia è il terzo contribuente netto dell'Ue. Il budget annuale dell'Unione europea è di circa 140 miliardi di euro, ovvero poco più dell'1% del Pil complessivo degli Stati membri. Il contributo italiano alla formazione del bilancio comunitario è pari a circa il 12% del totale. 
Le risorse versate dall'Italia all'Ue sono aumentate dai 14 miliardi di euro del 2007 ai 16,4 miliardi del 2012, mentre gli accrediti effettuati dall'Unione nel periodo si sono aggirati intorno ai 9-11 miliardi all'anno, determinando così un consistente saldo a nostro svantaggio: 6,6 miliardi nel 2011, 5,7 miliardi nel 2012
Sono 12 i Paesi che versano più di quanto ricevono. Il maggiore contribuente netto è la Germania, con un valore cumulato nel periodo 2007-2012 di 52,7 miliardi di euro e un saldo medio annuo negativo per quasi 9 miliardi. Al secondo posto c'è la Francia, con un valore negativo cumulato pari a 33 miliardi di euro e un saldo medio annuo negativo di 5,5 miliardi.  
L'Italia è il terzo contribuente netto, con 26,7 miliardi di euro cumulati nel periodo e in media 4,5 miliardi all'anno, nonostante noi occupiamo il 12° posto in Europa in termini di Pil pro-capite (25.600 euro per abitante rispetto ai 31.500 euro dei tedeschi e ai 27.700 dei francesi). Nel 2012, in particolare, abbiamo versato 16,4 miliardi di euro e abbiamo ricevuto indietro 10,7 miliardi, con un saldo negativo di 5,7 miliardi. 
Fra i percettori netti si collocano ai primi posti la Polonia (con 47 miliardi di saldi cumulati nel periodo 2007-2012 e una media di 8 miliardi all'anno), la Grecia (con 27,6 miliardi complessivi e un dato medio annuo di 4,6 miliardi), la Spagna (18,7 miliardi in totale e 3,1 miliardi in media all'anno). 

Speso il 52,7% dei fondi comunitari a noi destinati. La dinamica degli accrediti risente anche della capacità progettuale e gestionale dei fondi europei da parte delle autorità italiane. Attraverso i diversi fondi strutturali di derivazione comunitaria e nazionale, nel periodo 2007-2013 l'Italia ha finanziato 52 programmi, per un volume iniziale di risorse pari a 59 miliardi di euro nei 7 anni di riferimento. Oggi l'importo complessivo risulta pari a 47,7 miliardi e il contributo proveniente dall'Unione europea si attesta sui 28 miliardi. Considerando la spesa certificata a partire dal 2009, a fine 2013 risulta assorbita una quota del 52,7%."

8. Le parti enfatizzate in neretto ci consentono, senza troppo spiegare ciò che è palese, di venire al nocciolo del problema: 

a) la principale difficoltà di impiego dei fondi europei risiede nel sistema del co-finanziamento: un paese che, come l'Italia, sia fanaticamente impegnato a divenire esportatore netto (per rimanere nell'euro e cioè per correggere la posizione netta sull'estero da cui dipendono gli spread), e che quindi risulti in regola coi limiti del deficit prescritti variamente dall'applicazione del fiscal-compact (pareggio di bilancio), non può permettersi di spendere tutti i fondi europei con tempestività perchè ciò lo esporrebbe, a causa della spesa aggiuntiva obbligata dal co-finanziamento, a procedure di infrazione;

b) anche se ciò non fosse (cioè anche se spendessimo entro il periodo di riferimento il 100% dei fondi "in restituzione" di nostra spettanza), comunque, il semplice fatto di essere contribuenti netti (quindi in passivo) rispetto al bilancio UE, ci obbliga ogni anno, in media, a emettere 6 miliardi aggiuntivi di debito pubblico, finanziandolo per di più in manovra in pareggio di bilancio (significa copertura con tasse e tagli aggiuntivi). Si tratta di un aggravamento dei conti, e quindi del deficit pubblico, strutturale ed inevitabile, nonchè privo di qualunque vantaggio corrispettivo, pari a circa 0,35-0,4 punti di PIL in media.
Notare che, invece per un paese come la Grecia, uscire dall'UE, sarebbe un disastro, essendo "percettore" netto per oltre 2 punti di PIL; persino l'euro-exit, in questo contesto, sarebbe pretesto per un'ovvia ulteriore condizionalità-ricatto, a pena di sospensione dell'erogazione dei fondi europei (condizionalità in sostanza già applicata, e di cui non si parla). Per l'Italia, tale leva di ricatto, semplicemente non esiste;

c) il deficit di contribuzione al bilancio UE è un trasferimento annuale, di pari misura, che aggrava i nostri conti con l'estero e, in caso di recupero della sovranità monetaria, sarebbe aggravato dalla svalutazione (proprio perchè è un deficit e non ha alcun possibile contropartita "sinallagmatica" da parte UE);
d) pertanto, l'Italia, per il solo fatto di uscire dalla UE, e non solo dalla moneta unica, avrebbe un miglioramento non indifferente del proprio conto corrente con l'estero, strutturale e permanente; e per ottenere ciò, non occorrerebbe richiamarsi all'abusato (e incompreso) recesso ex art.50 TUE, cioè al recesso "politico", sine causa, ma, più utimente, al recesso per la manifesta ricorrenza della clausola "inadimplenti non est adimplendum" o anche di quella "rebus sic stantibus" (artt.60 e 61 della Convenzione di Vienna; cfr; p.4);

e) l'adozione di questa linea avrebbe, - all'interno della quale sarebbe agevolmente negoziabile il nostro mantenimento all'interno di un'area doganale europea (essendo nell'interesse bilaterale di tutti)-, ulteriori enormi vantaggi, se e solo se, ovviamente, fosse adottata al più presto:
e1) l'Italia uscirebbe dal vincolo del fiscal compact senza perdere nulla: in particolare, non sarebbe più obbligata, come conseguenza, a mantenere la sua ulteriore contribuzione ai fondi operativi dell'ESM, e con ciò non porrebbe ulteriormente a rischio la parte di capitale già versata in quanto impiegata, in quota consistente e in prospettiva crescente, in salvataggi verso la Grecia e verso altre situazioni di debitori che non potranno restituire mai e, anzi, solo fare un default tardivo e di crescenti dimensioni;
e2) l'Italia avrebbe titolo, uscendo dall'UE simultaneamente all'euroexit, per riavere indietro i propri contributi già versati per l'ESM e l'ESFS (circa 142 miliardi, tra versamenti a debito e equivalenti "garanzie", da sommare alla cessazione delle contribuzioni ancora dovute), oltre che la contribuzione al capitale della BCE
Tutte voci di credito che andrebbero opposte in compensazione nella regolazione dei residui passivi della contabilità target-2 (nella misura in cui rifletta una posizione passiva - commerciale- italiana all'interno dell'area euro stessa);
e3) last, but not (only) least, anzi "best", l'Italia eviterebbe di essere coinvolta nella conclusione - forzosa ed inevitabile- del TTIP e del successivo peg sul dollaro, potendo semmai riacquistare spazi autonomi di negoziazione nella materia, soggetti al vaglio effettivo del parlamento e del dibattito democratico interno: dibattito che, semmai l'Italia fosse capace di riacquistare una dignità sovrana e democratica uscendo dalla UE, come vuole fare il Regno Unito e come persino l'Austria potrebbe considerare, sarebbe da condurre, finalmente, alla luce dei parametri ineludibili, di assunzione di vincoli da trattato, posti inderogabilmente dall'art.11 Cost.

Lo so è una fantasia, in pratica, ma, appunto solo "rebus sic stantibus" (politicamente e culturalmente parlando): ed è sempre meglio del "fogno" malato in cui contitnuano a volerci affossare...




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