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"MA DOVE SI VA PUNTANDO SULLA DOMANDA INTERNA"? E ALLORA, PIU' GLOBALIZZAZIONE (SELETTIVA: TTIP) E RIFORME PER TUTTI

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http://ourfiniteworld.com/2015/02/05/charts-showing-the-long-term-gdp-energy-tie-part-2-a-new-theory-of-energy-and-the-economy/

1. Oggi si stanno lamentando della crisi dei BRICS che porrebbe in pericolo il meraviglioso mondo della crescita"tumultuosa e maravigliosa"ottenibile, a quanto pare solo con la "globalizzazione"
Almeno così leggiamo: naturalmente, riponendosi somma fiducia nel paradigma liberoscambista - (liberalizzazione dei capitali, accordi tariffari e sulle barriere non tariffarie, adozione del complementare modello "universale" di banca e, naturalmente, banche centrali indipendenti dai governi eletti, si spera, democraticamente)-, si auspica che nei BRICS si facciano più "riforme". E cioè si apra ulteriormente al commercio estero (leggi importazioni in cambio di materie prime), favorendo gli investimenti esteri (leggi mercato del lavoro totalmente liberalizzato e precarizzato e privatizzazioni delle industrie e assets pubblici degli stessi BRICS).
E tutto questo, appunto, affinchè riprenda...la crescita, nei paesi emergenti come anche, appunto, grazie alle esportazioni, nei paesi dell'eurozona e in quelli esportatori di capitali a vario titolo: gli USA, infatti, fanno un gioco a sè, pur essendo importatori di ultima istanza per tutto il mondo

2. Che, però, ora, vorrebbero legare a sè, e più esattamente al dollaro, attraverso i trattati "ultraoceanici" - TPP e TTIP+ TISA-, che servono essenzialmente a creare una dipendenza finanziaria delle intere aree coinvolte dal dollaro e dalla invasione a tappeto dei grandi istituti finanziari USA sui settori da liberalizzare, lasciando la specializzazione manifatturiera di Giappone e Germania in posizione di preminenza, mentre tutto il resto dei paesi coinvolti sarebbero grosso modo colonizzati, finanziariamente e industrialmente.
Creata questa "dipendenza", tutto ciò che sarebbe al di fuori delle macro-aree liberoscambiste e altamente riformate (con l'appiattimento dei mercati del lavoro e dei welfare sul modello USA, beninteso), sarebbe politicamente costretto a trattare da posizione di minor forza e piegabile a più miti consigli circa l'autonomia dei rispettivi sistemi di sviluppo (in particolare circa l'apertura delle rispettive economia ai grandi gruppi finanziario-industriali, veri e propri oligopoli e monopoli mondiali, rimasti in piedi nelle aree TPP e TTIP).

3. Creerebbe tutto ciò un ritorno alla crescita? 
La domanda, riferita alle prospettive future, è retorica e quasi ingenua: si creerebbe un grande sistema di debitori, indubbiamente, sia per flussi di capitali a titolo di investimento di controllo sui paesi indeboliti, dentro e fuori le aree dei nuovi trattati, sia a titolo di afflusso di finanziamento del consumo di beni importati. L'indebitamento sarebbe vieppiù inevitabile, con tutti i cicli di Minsky-Frenkel, che ciò comporta, atteso il sicuro depauperamento del livello salariale di tutte le economie del mondo, in un tale ambiente di liberoscambismo "ineguale" e con Stato inevitabilmente "minimo" (come deve rigorosamente essere fin dai tempi dei trattati imposti con le cannoniere).
Ma quello che risolve l'interrogativo è l'esame del passato della globalizzazione, cioè il concetto di ritorno alla presunta super-crescita dovuta alla globalizzazione. L'assunto è semplicemente falso, perchè questa tumultuosa crescita aggiuntiva, rispetto al passato ("ottusamente" protezionista e statalista) semplicemente non si è verificata.

4. Al riguardo, ci basterà rammentare i dati, nudi e crudi, che si offre Ha-Joon Chang, in "Bad Samaritans"(capitolo 1, "The real history of globalization", pagg.6-14).
Ebbene, già al tempo dei "misfatti" dell'Impero inglese, - che pur ammessi non portano gli storici ad ammettere altrettanto la realtà economica conseguente e induce anzi a continuare a lodare gli effetti positivi "per tutti i paesi coinvolti" della globalizzazione "imperialista" dell'800-, l'Asia, che prima dei trattati aveva paesi al vertice dei PIL mondiali (tipicamente la Cina nella prima parte del secolo) crebbe solamente dello 0,4% all'anno tra il 1870 e il 1913
L'Africa, il più vantato esempio di civilizzazione e progresso free-trade colonialista, crebbe, nello stesso periodo, dello 0,6%. 
Europa e USA crebbero invece, rispettivamente, dell'1,3 e dell1,8% in media negli stessi anni. Notare che i paesi dell'America Latina, che nello stesso periodo recuperarono autonomia tariffaria e di politica economica, crebbero allo stesso livello degli USA! (Tralasciamo gli eventi susseguenti alla crisi del '29, quando i free-traders dominanti, abbandonarono il gold-standard e aumentarono sensibilmente le tariffe alle importazioni, prima nei settori dell'agricoltura e poi in generale nell'industria manifatturiera)

5. Che accadde nel dopoguerra del 1945, quando si verificò il progressivo smantellamento del colonialismo e l'adozione degli Stati interventisti praticamente in tutto il mondo, sviluppato (e in ricostruzione) o in "via di sviluppo" (col tanto deprecato neo-protezionismo, da incentivazione pubblica all'industria nazionale e alla ricerca)?
Riassuntivamente: nei deprecati anni del protezionismo, rigettato come Satana dai vari governatori di tutte le banche centrali del mondo divenute indipendenti, in specie negli anni '60 e '70, i paesi in via di sviluppo che adottarono le "politiche "sbagliate" del protezionismo, crebbero del 3% in media all'anno: questo dato, sottolinea Chang, è il migliore che, tutt'ora, abbiano mai accumulato.
Ma gli stessi "paesi sviluppati" crebbero, negli stessi decenni, al ritmo di 3,2% medio all'anno.

6. Poi intervengono le liberalizzazioni alla circolazione dei capitali e gli accordi tariffari: i paesi sviluppati, già negli anni '80 vedono la crescita media annuale abbattersi al 2,1%. 
Anche questi facevano le riforme, e infatti gli effetti di deflazione  e rallentamento della crescita si vedono (finanziarizzazione e redistribuzione verso l'alto del reddito crescono a scapito delle invecchiate democrazie sociali). Ma le riforme più intense, sono imposte proprio ai paesi in via di sviluppo, tramite il solito FMI: è qui che si registra il calo della crescita più marcato.
I paesi emergenti, infatti, debitamente "riformati" e "aperti" nelle loro economie, vedono la crescita praticamente dimezzarsi dal 3% a circa la metà, negli anni '80-'90, cioè all'1,7 medio annuo.
Ma attenzione: la decrescita "infelice", cioè l'impoverimento neo-colonizzatore, sarebbero ancora più marcati se si escludessero Cina e India. Infatti, nota Chang, questi paesi si imposero progressivamente alla crescita, realizzando un 30% del prodotto globale dei paesi in via di sviluppo già nel 2000 (dal 12% degli anni '80): ma India e Cina rifiutarono il Washington Consensus e le "riforme" stile "golden straitjacket" tanto propugnate dal noto Thomas Friedman (che abbiamo già incontrato in questo specifico post).

7. La "growth failure" del nuovo delirio free-trade, che tanto oggi si teme possa entrare in crisi per la crescente ri-chiusura delle economie, dovuta alle assurde politiche svolte, naturalmente, a livello "nazionale" (povera Germania che si aspettava di esportare in Cina! Sicut dicunt, appunto con certezza aristotelica), si sentì proprio in Africa e in America Latina,dove le riforme FMI furono imposte molto più intensamente che in Asia: dal dimezzamento della crescita degli anni interlocutori delle riforme che abbiamo visto, si passa negli anni 2000 (a riforme essenzialmente attuate) allo 0,6 annuo in America Latina, mentre in Africa abbiamo un autentico crollo che coincide con il massiccio arrivo dei "consiglieri" economici FMI e World Bank.
Commento di Chang: "la scarsa crescita registrata sotto la globalizzazione neo-liberale a partire dagli anni '80, è particolarmente imbarazzante. Accelerare la "crescita" - se necessario a costo di aumentare l'ineguaglianza e possibilmente la stessa povertà - era lo scopo proclamato delle riforme neo-liberiste. Avevano ripetuto più volte che si deve anzitutto "creare più ricchezza" prima di poterla distribuire più ampiamente e che il neo-liberismo fosse la via per realizzare ciò. Come esito delle politiche neo-liberiste, la disuguaglianza di reddito è aumentata nella maggior parte dei paesi del mondo come previsto, ma pure la crescita ha effettivamente rallentato significativamente".

8. Naturalmente, tutto questo schema si applica perfettamente all'eurozona. Come?  
E quindi, andiamo avanti felici, perchè come dice un espertone oggi in un dotto editoriale "ma dove si va puntando sulla domanda interna?"



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