

1. Cominciamo dalla questione dei musei chiusi che possiamo riassumere così: «Una vergogna che rimangano turisti in fila davanti agli occhi di tutto il mondo»? Certo. Così come è una vergogna che non siano state pagate «le indennità di turnazione e delle prestazioni per le aperture straordinarie dei luoghi della cultura (primo maggio, aperture serali, etc.), dopo quasi un anno solare di inutile attesa».
Allo stesso link, trovate il comunicato integrale delle più ampie (e non per questo infondate) rivendicazioni di categoria che erano oggetto dell'assemblea incriminata.
Insomma, l'assemblea era stata preventivamente comunicata e, a rigor di logica, spettava alla organizzazione dei servizi museali comunicare ai potenziali utenti il suo verificarsi e la momentanea chiusura: sul piano contrattuale (dell'acquisto del biglietto on line e della eventuale di fila che poteva crearsi da parte di chi voleva acquistarlo sul posto), si tratta di un'informazione essenziale sull'oggetto della prestazione offerta e che poteva agevolmente essere messa a disposizione in via telematica sugli stessi siti dell'amministrazione (visto, oltretutto, che ci si vanta della crescente digitalizzazione che, comunque, per l'acquisto dei biglietti è attivata).
2. Insomma, con un'amministrazione efficiente, in ogni suo livello, sul piano della trasparenza e immediatezza della dovuta comunicazione agli utenti, il problema non si sarebbe posto, in modo diverso dal resto del mondo civile, in cui cose del genere si verificano normalmente (e sempre per gli stessi motivi):
Torre Eiffel, Louvre, National Gallery: anche nel resto del mondo gli scioperi fanno chiudere i musei
Lo sciopero a oltranza della National Gallery di Londra. Di cui, in Italia, nessuno parla."...Ma nonostante ciò l'opinione pubblica, contrariamente a quanto spesso accade in Italia, è nettamente schierata con i lavoratori: i più riconoscono l'importanza dello sciopero e supportano i lavoratori, augurano loro buona fortuna, e c'è anche qualcuno che auspica che i media parlino di più della protesta".
3. La questione ci rammenta un elementare principio di buona organizzazione e di gestione, conforme all'art.97 della Costituzione (almeno quello immaginato dai Costituenti del 1948), che venne enunciato da Federico Caffè in un tempo non molto distante: un tempo, ormai, potremmo dire, sepolto sotto i cannoneggiamenti dell'€uropa dell'euro.
Quell'€uropa per cui, alla fine, si deve mantenere una moneta in quanto la sua voluta insostenibilità "costringe" a svalutare il lavoro e, quindi, a limitare in ogni forma non solo la retribuzione ma la stessa rivendicabilità dei suoi livelli in forma giuridica (il principale strumento è proprio diffondere, per via di manovra fiscale, un tale livello di disoccupazione da sottrarre anzitutto ai lavoratori qualsiasi potere contrattuale, sia in fase di assunzione che di gestione del rapporto instaurato). Ecco la illuminante frase di Federico Caffè:
"E la burocrazia tradizionale ha bisogno non di profeti dello «sfascio», ma di artefici della tempra di un Riccardo Bianchi o di un Meuccio Ruini (ndr; il relatore di maggioranza dell'art.11 Cost.), creatori o ricostruttori di apparati efficienti, in quanto non ignoravano che il primo dovere di chi amministra, nei confronti dei dipendenti, è di esserne il responsabile, non il denigratore." (da "Scritti quotidiani", 12 gennaio 1984: p. 99).
4. Ma poi la questione "museale" ci rammenta un'altra questione molto simile. E sempre di lavoratori in agitazione per prestazioni straordinarie e extraorario contrattuale di base; una questione parallela che peraltro che nessuno pare ricordare e collegare alla prima, pur essenso quasi coeva.
Un pacchetto di 16 ore di sciopero contro la decisione del gruppo svedese dei mobili low cost Ikea, che in Italia ha 21 negozi e più di 6mila dipendenti, di disdettare unilateralmente il contratto integrativo...Mesina denuncia “la pretesa di Ikea di abbassare i livelli retributivi dei dipendenti, operando su elementi fissi della busta paga e rivedendo al ribasso le maggiorazioni per le prestazioni festive e domenicali“...Il gruppo svedese ha risposto spiegando che “crede che sia importante avere un dibattito costruttivo con i propri collaboratori e con i loro rappresentanti sindacali, al fine di creare buone condizioni lavorative e sociali che a loro volta rendano sostenibili le attività aziendali”. Ma ritiene anche che la reazione dei sindacati sia “sproporzionata e intempestiva dal momento che il contratto integrativo continuerà ad essere applicato vista la prosecuzione delle trattative.”
5. Insomma, l'euro ci obbliga a limitare l'inflazione, il che si realizza limitando l'intervento dello Stato a sostegno della domanda e riformando il mercato del lavoro in senso precarizzante e, quindi, determinante minor qualificazione della manodopera e minori livelli retributivi che, inesorabilmente, si trasmettono al lavoro non (ancora) oggetto di riforma: ciò provoca compressione della domanda interna che, a sua volta, determina maggior disoccupazione che, ulteriormente, determina abbassamento delle tutele del lavoro e delle retribuzioni.
Per chi volesse ragguagli più tecnici, basta leggersi con attenzione questo post di Albertosulla flessibilità e sul funzionamento (contestato sapendo di farlo "tatticamente") della curva di Phillips.
Per tutto questo concordo con Alberto quando dice, ai sindacati dei lavoratori museali, - ma il discorso vale per quelli dei lavoratori IKEA come per il "comparto insegnanti"- che è inutile parlare di inadempimenti e disdette ai contratti collettivi (integrativi) quando non si vuole neppure menzionare l'euro.