

1. Ringraziando Flavio per la citazione e Winston per la traduzione, ci pare opportuno non disperdere, nell'ormai vastissimo spazio dei commenti, questo passaggio di Kaldor: lo riportiamo, scansionandolo in periodi più nettamente evidenziati:
«In un recente articolo dedicato alle 'Cause di crescita e recessione nel commercio mondiale', T. F. Cripps ha dimostrato che un Paese non è sottoposto a vincolo da bilancia dei pagamenti se le sue importazioni in condizioni di pieno impiego, M*, sono inferiori alla sua capacità di importazione M̅ (per quanto risulti dai suoi ricavi derivanti da esportazioni).
Tale Paese è libero di scegliere il livello di domanda interna considerato ottimale in base alle proprie condizioni, mentre gli altri Paesi per cui M*>M̅ devono, in stato di libero commercio, contrarre i loro livelli di produzione e di occupazione rispetto alla situazione di pieno impiego, e limitarsi a importare solo quanto in grado di finanziare [con i proventi delle esportazioni, ndw].
Successivamente, egli dimostra che la somma delle importazioni dei Paesi privi del suddetto vincolo determina i livelli di produzione e occupazione raggiungibili da parte dei Paesi "vincolati" e che il rimedio per questa situazione esige misure atte a incrementare il livello delle importazioni in condizioni di pieno impiego oppure a ridurre la quota delle esportazioni dei Paesi "svincolati".
Le "regole del gioco" che renderebbero possibile il conseguimento di crescita e stabilità nel commercio internazionale, e il ripristino della produzione dei Paesi "vincolati" a livelli di pieno impiego potrebbero richiedere l'adozione di misure discriminatorie sui controlli delle importazioni, del tipo prospettato nella famosa "clausola della moneta scarsa" dagli accordi di Bretton Woods.
In assenza di simili misure tutti i Paesi, e non solo il gruppo di Paesi la cui attività economica è sottoposta a vincolo da bilancia dei pagamenti, potrebbero venire a subire un tasso di crescita più basso e un inferiore livello di produzione e occupazione.
Ciò si verifica perché anche le esportazioni dei Paesi in surplus saranno soggette a un decremento per via della contrazione dei traffici commerciali a livello mondiale, e questi Paesi potrebbero non riuscire a controbilanciare questa perdita (o comunque non in maniera sufficiente) attraverso misure reflazionarie interne che garantiscano un decremento anche delle importazioni.
A patto che le norme sulle importazioni introdotte facciano riferimento alle tendenze all'importazione (vale a dire il rapporto fra le importazioni e la produzione interna) e non alla quantità in valore assoluto delle importazioni, proprio il fatto che tali misure produrranno un incremento del traffico commerciale, della produzione e dell'occupazione dei Paesi "vincolati" comporterà un aumento corrispondente del volume delle esportazioni e degli utili interni dei Paesi "svincolati", nonostante la revisione al ribasso delle loro quote di esportazione a livello mondiale.»
2. Ovviamente si può sempre abolire ogni confine e ogni Stato e quindi ogni rilevanza della contabilità nazionale che certifichi gli squilibri territoriali delle importazioni rispetto alle esportazioni: ma ciò non esclude che, nella realtà effettuale dei singoli territori che rimarrebbero fisicamente esistenti, - comunque li si voglia contraddistinguere e circoscrivere-, continuino a registrarsi tali squilibri: e quindi, anche se di fatto, si continuerebbe comunque a porre il problema sociale dell'indebitamento, non restituibile, di interi gruppi di popolazione verso quelli delle aree "creditrici".
Per impedire che vi siano forme di tragedia collettiva, quali la perdita dell'occupazione, dell'abitazione e della stessa minima capacità di sopravvivenza, delle popolazioni debitrici, occorrerebbe pur sempre una forma di governo che gestisse interventi finanziari di solidarietà e perequazione, nonché di correzione delle divergenze della struttura economica.
Ma che un governo mondialista voglia assumere queste funzioni solidali e perequative è escluso nelle stesse consolidate teorizzazioni di chi lo propugna (e i trattati europei, come esperimento-pilota del "governo sovranazionale dei mercati", ne sono la prova vivente).
2. Ovviamente si può sempre abolire ogni confine e ogni Stato e quindi ogni rilevanza della contabilità nazionale che certifichi gli squilibri territoriali delle importazioni rispetto alle esportazioni: ma ciò non esclude che, nella realtà effettuale dei singoli territori che rimarrebbero fisicamente esistenti, - comunque li si voglia contraddistinguere e circoscrivere-, continuino a registrarsi tali squilibri: e quindi, anche se di fatto, si continuerebbe comunque a porre il problema sociale dell'indebitamento, non restituibile, di interi gruppi di popolazione verso quelli delle aree "creditrici".
Per impedire che vi siano forme di tragedia collettiva, quali la perdita dell'occupazione, dell'abitazione e della stessa minima capacità di sopravvivenza, delle popolazioni debitrici, occorrerebbe pur sempre una forma di governo che gestisse interventi finanziari di solidarietà e perequazione, nonché di correzione delle divergenze della struttura economica.
Ma che un governo mondialista voglia assumere queste funzioni solidali e perequative è escluso nelle stesse consolidate teorizzazioni di chi lo propugna (e i trattati europei, come esperimento-pilota del "governo sovranazionale dei mercati", ne sono la prova vivente).
3. A questa iniziale premessa, che potrà forse apparire tecnicamente complessa, aggiungeremmo, come sintetico chiarimento semplificatore, questa citazione di Caffè a commento del pensiero di Keynes:
"Keynes, considerando come presupposto di un "capitalismo intelligente" l'allargamento delle funzioni e degli scopi dello Stato, includeva tra le decisioni più importanti della politica pubblica quelle riguardanti "ciò che dovrà essere prodotto nel Paese e ciò che dovrà essere ottenuto in cambio dall'estero".
...
Del resto anche D.H. Robertson, uno dei più saggi economisti di ogni tempo, contrappone alla stabilità dello "scambio di ghiaccio contro carbone tra Nordlandia e Infernia" le "oscillazioni confuse" di "scambi soggetti a particolareggiate modificazioni tecniche" (cfr; "Saggi di teoria monetaria", Firenze, 1956, pp.237 e ss.).
Coloro che non siano esaltatori acritici dello sviluppo degli scambi internazionali, per motivi da collegare appunto alla loro composizione o alle conseguenze interne...formano di frequente oggetto di addebiti saccenti.
In quanto questi addebiti rivelano, in coloro che li manifestano, un'insufficiente conoscenza della storia del pensiero economico,...non può sorprendere che gli addebiti stessi si traducano in forme di aggressione polemica di pretenziosa arroganza".
4. Ne emerge, se pure non fosse già chiaro, l'esplicita identificazione di Caffè con il modo in cui le "funzioni e gli scopi dello Stato", - vale a dire il contenuto della sovranità (che è il potere di perseguire effettivamente tali scopi, proprio esercitando tali funzioni)- devono essere indirizzati nella visione keynesiana; e al contempo, la coscienza di quanta aggressiva opposizione, a tale visione, abbiano sempre esercitato gli "esaltatori acritici dello sviluppo degli scambi internazionali"
Questi oppositori hanno da sempre, e senza alcuna volontà di mediazione, militato dalla parte del federalismo europeo, visto, in un quadro più ampio, come tappa intermedia verso il governo sovranazionale dei mercati, identificato, anche contro la "prassi e il metodo democratico", con la realizzazione della pace mondiale.
Posta in questi termini,la disputa potrebbe essere vista "solo" come teorica, cioè tra scuole economiche e relativa ai conseguenti modelli politici di organizzazione della società (quelli che Mortati definiva "forme di Stato", allargabili, secondo il mondialismo liberoscambista, ben al di là di qualsiasi deprecata "identità nazionale").
5. Ma ridurre tale contrapposizione alla sfera meramente scientifico-economica, e di teorie istituzionali non risulta un'operazione culturalmente legittima.,
Rammentiamo in proposito alcuni fatti rilevanti dal punto di vista costituzionale, cioè dal punto di vista della legalità del supremo diritto positivo della Repubblica italiana (finché tale entità, almeno per coloro che ne incarnano le supreme istituzioni, sia ritenuta ancora vivente ed effettiva).
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"Sul piano (giuridico)costituzionale, come ben illustrava Meuccio Ruini, ciò ha delle inequivoche conseguenze che risultano agli atti della Costituente, proprio nel dibattito sull'art.11 Cost. e che hanno poi avuto una qualche (timida) eco e reiminiscenza anche nel costituzionalismo successivo italiano :
a) "Accettiamo, invece di «reciprocità» e «uguaglianza», l'espressione «in condizione di parità con gli altri Stati».
Non avremmo nessuna difficoltà ad accogliere la proposta Zagari: «favorisce la creazione e lo sviluppo di organizzazioni internazionali». Ma qualcuno ha chiesto: di quali organizzazioni internazionali si tratta?
Non si può prescindere dalla indicazione dello scopo. Vi possono essere organizzazioni internazionali contrarie alla giustizia ed alla pace. L'onorevole Zagari ha ragione nel sottolineare che non basta limitare la sovranità nazionale; occorre promuovere, favorire l'ordinamento comune a cui aspira la nuova internazionale dei popoli..." (Meuccio Ruini, in assemblea costituente, cfr; pag.268 de "La Costituzione nella palude");
b) "La prospettiva costituzionale richiede di essere recuperata anche là dove, di fatto, al di là del formale ossequio alla dottrina dei controlimiti, la si è sterilizzata: nellaprospettiva della integrazione sovranazionale.
Non tutti i cammelli europei possono passare per la cruna dell'art.11 della Costituzione, il cui significato essenziale è che il posto dell'Italia in Europa (e comunque in tutte le istituzioni create da accordi internazionali) deve deciderlo l'Italia, perché quale che sia la prospettiva che si assume è nella Costituzione (nelle singole Costituzioni degli Stati membri) che giace la legittimazione delle istituzioni sovranazionali, non viceversa (Massimo Luciani, "La Costituzione nella palude", pagg. 131-132: inutile dire che questa affermazione consequenziale al dettato costituzionale è in urto irriducibile col Manifesto di Ventotene e col sogno di Spinelli).
6. Su un piano più strettamente aderente a quello che deve considerarsi il modello economico legale-costituzionale, va riportato questo ulteriore nucleo di fatti storici che chiariscono la portata dell'enunciato di Federico Caffè (perfettamente allineato con l'orientamento costituzionalistico appena riportato):
"Ruini fu nominato Ministro per la ricostruzione nel 1945 (nel governo Parri: poco prima era stato nominato Presidente del Consiglio di Stato, a "riparazione" della sua estromissione dall'Istituto dovuta alla sua opposizione al fascismo...) e scelse come segretario particolare e capo di gabinetto il giovane Caffè, proveniente dal servizio studi della Banca d'Italia (dove si occupava proprio di finanza e scambi internazionali...).
Quando Ruini viene eletto deputato nell'Assemblea Costituente, nel 1946 (appunto: il 2 giugno), fu subito nominato Presidente della Commissione dei 75, a cui è nella sostanza dovuto il lavoro di messa a punto del modello economico-sociale recepito dalla nostra Costituzione.
Negli stessi anni, Caffè era a sua volta nominato consulente presso il Ministero apposito "per la Costituente"; e, non a caso, Caffè, con un ruolo di supporto istituzionale alla stessa Commissione dei 75 la cui importanza non può sfuggire, proseguì a dare il suo contributo come componente della sotto-commissione "moneta e commercio con l'estero" della Commissione economica della Costituente.
E certamente svolgere un ruolo di expertise in tali materie, dato anche il profondo rapporto con Ruini, non fu estraneo alla formulazione della Costituzione economica e dello stesso art.11 Cost."
7. Questo insieme di premesse storiche e concettuali, ci consentono di comprendere (dalla stessa fonte), quanto esposto da una monografia dedicata al Caffè "costituente".
Le sue parole ricalcano, anche qui non a caso, quanto espresso da un celebre discorso "sulla Costituzione" dello stesso Calamandrei, riassunto alle pagg.62-63 de "La Costituzione nella palude" (condiviso, ovviamente, da Ruini).
"[Caffè] esortava i responsabili della politica economica a ricordare che "E' compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitano di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini"...mentre "oggi ci si trastulla nominalisticamente nella ricerca di un nuovo modello di sviluppo e si continua a ignorare che esso, nelle ispirazioni ideali, è racchiuso nella Costituzione; nelle sue condizioni tecniche è illustrato nell'insieme degli studi della Commissione economica per la Costituente (1978)...".
8. Se questa è la cornice della legalità costituzionale, il liberoscambismo illimitato, quand'anche imposto da un trattato internazionale, non può essere considerato un'opzione incondizionatamente legittima, predicando il venire meno di quei fini e di quelle funzioni dello Stato che devono preservare quella decisione su"ciò che dovrà essere prodotto nel Paese e ciò che dovrà essere ottenuto in cambio dall'estero", che in concreto determina il livello di occupazione di pieno impiego.
Vale a dire, non si può considerare un'opzione acriticamente legittima ciò che viene sintetizzato, a cuor leggero, nella formula "cessione di sovranità" (dimenticando in cosa consista tale sovranità e la responsabilità che essa comporta per chi ne incarni le istituzioni).
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https://seeker401.wordpress.com/2014/10/25/the-trilateral-commission-and-technocracy/
Vale a dire, non si può considerare un'opzione acriticamente legittima ciò che viene sintetizzato, a cuor leggero, nella formula "cessione di sovranità" (dimenticando in cosa consista tale sovranità e la responsabilità che essa comporta per chi ne incarni le istituzioni).

https://seeker401.wordpress.com/2014/10/25/the-trilateral-commission-and-technocracy/
Meno che mai, dunque, mostrare di aderire senza riserve a tale pensiero può ritenersi legittimo, e opportuno, rispetto a associazioni private che propugnino il mondialismo attraverso la globalizzazione economica, quando, come sta accadendo, essa sia portata al livello di considerare prioritariamente sacrificabile lo stesso livello di occupazione in nome della libera competizione sui prezzi.
Occorre rammentare le responsabilità che derivano dal giuramento di fedeltà ad una Costituzione "fondata sul lavoro" e ai suoi principi immodificabili. Almeno, professando, in ogni sede, e di fronte ad ogni interlocutore, la propria profonda e doverosa consapevolezza di questi problemi.