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PMI ARI-SVEGLIA! IL LIBRO DELLE PROFEZIE (?) E L'ACCELERATORE FINANZIARIO (CHE D€C€L€RA)

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1. E dire che nel 2008 la cosa era già abbastanza chiara.
Ma come tutte le grandi "soluzioni"€uro-federali, fu perseguita con grande entusiasmo fino ad arrivare alla prospettiva di "policy-induced crisis" attuale (che è poi, in soldoni, un ital-tacchino da spennare prima di infornarlo).
Con queste reazioni tardive, a tacchino già sotto la mannaia:

BANCHE, ROMA E PARIGI CONTRO IL NUOVO "CUSCINETTO" PATRIMONIALE: "Ancora una volta c'è il rischio concreto di nuovi paletti per i bilanci delle banche sistemiche europee...la richiesta è di non appesantire con nuovi fardelli patrimoniali la legislazione già stringente sulle banche....Dunque sono due i richiami firmati anche dall'Italia: 1) calibrare l'intervento evitando di generare instabilità (policy induced crisis); 2) mantenere parità di condizioni con gli operatori internazionali, evitando svantaggi competitivi alle banche UE, per esempio nell'emissione di bond...Da parte sua Bruxelles prova a smorzare lepolemiche, ma i toni non sono promettenti..."

2. Stiamo parlando di un libro di Stiglitz (et alt.) del 2008, "Stabilità non solo crescita", che, forse perché recensito e promosso prima dell'ubriacatura mediatica che ha reso l'euro, e il suo contorno di soluzioni "irrinunciabili", un totem del quale si ha, a livello mediatico-espertologico, persino paura di "pensare" una critica, poteva segliere una promozione (on web) di questo tenore:
"Il volume è la sintesi più limpida e perentoria delle posizioni che oppongono i rappresentanti di Initiative for Policy Dialogue - economisti come Stiglitz, ma anche politologi, scienziati sociali e rappresentanti della società civile di tutto il mondo - alla visione che essi definiscono semplifìcatoria e integralista del Washington Consensus, ben rappresentato dal Fondo monetario internazionale, dalla Banca mondiale e dal Tesoro Usa. Le politiche decisamente neo-liberiste che mirano a raggiungere un regime di bassa inflazione attraverso rigore fiscale, privatizzazioni e liberalizzazioni ispirate dal Washington Consensus - hanno in alcuni casi permesso e stimolato la crescita, ma mostrano ogni giorno di più i loro limiti, portando interi paesi e persino continenti ad affrontare periodi di stagnazione, crisi e recessioni. Joseph Stiglitz e gli altri scienziati contestano radicalmente la tesi che i mercati per natura si autocorreggano, allocando efficientemente le risorse e servendo bene l'interesse pubblico. Lavorare con saggezza e lungimiranza ponendosi come primo obiettivo la stabilità (non solo dei prezzi), funzionale a una crescita più equa ed equilibrata è la ricetta forse poco brillante ma estremamente seria per combattere efficacemente disoccupazione, povertà e disuguaglianza, mali che le leadership di fine ventesimo secolo davano per superati se non completamente debellati".

3. Nel 2008, insomma, si poteva ancora dire che il Washington Consensus portava interi paesi e interi continenti alla stagnazione, alla crisi e alla recessione: forse, lo si poteva dire perché non si era ancora fatto, nell'opinione pubblica, quel collegamento di tale paradigma economico con l'euro che, invece, risaliva al "federalismo" einaudiano (v. pure l'addendum). Il sogno e la grande "protezione" dell'euro, al tempo, erano dunque ancora salvi e circondati dal "patto del silenzio" che ancora affligge la nostra offerta politica...
Ma veniamo alla parte interessante.
Il libro, alle pagine 80-82, "sembra" svolgere una rassegna di varie teorie ma, in realtà, mediante la semplice e imparziale attendibilità scientifica, finisce per formulare un'involontaria quanto accurata profezia: Stiglitz, cioè, fornisce, con 7-8 anni di anticipo, una precisa descrizione "fenomenologica" dell'evoluzione della crisi dell'eurozona, culminata nella fase della geniale Unione bancaria che, in effetti, era stata acclamata trionfalmente dai nostri massimi esponenti di governo:
Collegamento permanente dell'immagine integrata

4. Vi riporterò, dunque, più sotto, il testo delle pagine in questione, partendo dalle premesse relative alla teoria di Barro sulla politica fiscale e, in particolare, sull'effetto del deficit pubblico, teoria che tanto piace ancora oggi in Italia: la famosa, e già vista (sub: "nuova macroeconomia classica" di cui Barro è protagonista insieme a Lucas e Sargent), equivalenza ricardiana, basata sulle "aspettative razionali". La bio di Barro, interessante come radiografia del percorso di un fisico che non si sentiva di arrivare al "top" nel suo campo, ci lascia intravedere un recente e, in apparenza, sorprendente mutamento di interessi: "nell'ultima decade, Barro ha iniziato a investigare l'influenza della religione e della cultura popolare sulla politica economica lavorando insieme alla propria moglie, Rachel McCleary", nota filosofa-sociologa.
Come vedete, il tecnicismo matematizzante vira al "pop" per sua naturale, direi inevitabile, vocazione. 

Da notare che, purchè non fosse istituito alcun collegamento con l'euro e il sogno europeo, e quindi con le politiche imposte dalle istituzioni €uropee, come Commissione e BCE, nel 2008, si poteva tranquillamente affermare che la storia del moltiplicatore fiscale non funzionasse proprio come ancora oggi "compattamente" si sostiene (sempre nell'avanzatissima e "colta" Italia). 
Noterete, ancora, che, proprio a seguito della moneta unica e delle connesse politiche economiche, ormai di lungo termine, instauratesi in UEM, riprende vigore, nelle evidenze empiriche, un moltiplicatore proprio deipaesi in via di sviluppo. Come pure che il Washington Consensus, imposto via FMI e WB, esclude il ricorso alla spesa pubblica in quei paesi e li vincola, in definitiva, alla emigrazione (qui, p.2.4). 
Esiste perciò una perfetta complementarità equalizzatrice tra il trattamento riservato ai popoli €uropei e quello programmato, già nella loro terra di origine, per i "migranti" dai paesi più disagiati.

5. Eccoci dunque al testo
"Come già si è notato, i critici della politica fiscale indicano spesso nelle "azioni compensative" la causa principale dell'inefficacia delle politiche fiscali. Secondo il loro punto di vista, il settore privato reagisce alla politica fiscale in modo da annullarne l'effetto. Supponiamo ad esempio che il governo riduca le imposte per stimolare il consumo: secondo i conservatori, se il taglio delle imposte determina un disavanzo fiscale, le famiglie se ne renderanno conto, capiranno che un giorno dovranno rimborsare questo debito e aumenteranno il risparmio anziché il consumo. In questo caso, il taglio delle imposte non stimola l'economia".
Aggiungiamo: non la stimola specialmente se tale ragionamento è indotto dalla istituzionalizzazione, con norma costituzionale di derivazione europea, del pareggio di bilancio. E ciò dato che, in condizioni "ordinarie", una previsione che induca a "azioni compensative", dipende dalle aspettative non tanto di calcolo economico "razionale", ma relative al futuro indirizzo politico (ove questo sia libero e non "vincolato" in eterno) che, a sua volta, è indotto da fattori mediatico-culturali e accademici: cioè in definitiva, a livello di successivo orientamento elettorale probabile, peraltro idraulicamente inducibile dalla cornice tecno-pop offerta dal frame-spin mediatico.  
Ma proseguiamo:
"Questo ragionamento, noto come ipotesi di Barro-Ricardo, implica (nella forma forte) che i disavanzi non hanno alcuna importanza e alcun effetto sui tassi di interesse, poichè l'incremento del debito pubblico genera in contropartita un incremento del risparmio privato che è esattamente uguale a quello del debito e lo controbilancia...
...Le assunzioni da adottare perché valga l'ipotesi di Barro-Ricardo sono formalmente restrittive. Per esempio, l'analisi di Barro-Ricardo presuppone che le imprese o le famiglie siano soggette a vincoli di credito o di cassa. Inoltre, il peso dell'evidenza empirica depone contro l'ipotesi2.

6. E veniamo allora alle alternative "attendibili":
"La prospettiva keynesiana: perché la politica fiscale è efficace.
La teoria keynesiana convenzionale afferma che la spesa pubblica (o le riduzioni di imposta), portano a un incremento del PIL che è un multiplo della spesa pubblica originaria. Quasi tutto il denaro speso dalla pubblica amministrazione viene a sua volta speso, e quanto più ne viene speso tanto maggiore è il moltiplicatore. Se i tassi di risparmio sono molto bassi, come sono spesso nei paesi molto poveri, i consumi assorbiranno una quota molto elevata del denaro speso dalla pubblica amministrazione, e il valore del moltiplicatore sarà particolarmente alto; la spesa pubblica sarà particolarmente efficace. Al contrario, nell'Asia orientale (ndr; parliamo dell'esempio giapponese), dove i tassi di risparmio erano molto alti, il valore del moltiplicatore sono stati alquanto più bassi che altrove...
Si noti il contrasto tra l'ipotesi di Barro-Ricardo - la quale afferma che tutto il reddito addizionale verrà risparmiato- e il modello keynesiano tradizionale. Secondo l'ipotesi la spesa pubblica non genera alcuno stimolo (il valore del moltiplicatore è zero).

7."La prospettiva eterodossa: perché la politica fiscale può essere particolarmente efficace, specie nei paesi in via di sviluppo.
L'esperienza dimostra che in realtà i tagli fiscali stimolano il consumo, a condizione che a beneficiarne siano coloro che non hanno accesso al credito".
E qui inizia il "bello", riferibile alla situazione italiana dove imprese, e lavoratori sempre più precarizzati, per l'appunto, non hanno accesso al credito mentre dilaga il credit crunch, per le ragioni che stiamo per vedere. Con tutta una serie di fenomeni e di effetti della spesa pubblica che ci avvicinano ormai ai paesi in via di sviluppo, specialmente allorchè l'offerta nazionale sia composta in modo consistente da PMI (per cui: SVEGLIA!):

"E' inoltre provato che molte famiglie e imprese sono soggette a restrizioni creditizie e di cassa, specie nei paesi in via di sviluppo. Queste famiglie e imprese spenderebbero di più, se potessero farlo: se pertanto il governo riducesse le imposte gravanti su questi soggetti, tutto l'incremento di reddito verrebbe speso. In altre parole, la propensione marginale al consumo di queste famiglie e imprese è uguale a 1...Naturalmente, una parte del denaro speso andrà a individui (proprietari di case, negozianti, ecc.) che non la spenderanno a loro volta interamente. Ma il punto importante è che nei paesi in via di sviluppo il moltiplicatore può essere particolarmente elevato.
Quando la disponibilità di liquidità o di credito delle imprese è soggetta a restrizioni, può agire anche un acceleratore finanziario.L'aumento della spesa pubblica accresce i profitti delle imprese. E quando le imprese sono soggette a restrizioni di liquidità o di credito tendono a spendere in investimenti tutto, o quasi tutto, il reddito addizionale
Per di più, il valore del capitale proprio aumenta in previsione di un rafforzamento dell'economia, agevolando l'accesso delle imprese al credito. [ndr: ovviamente, il meccanismo funziona anche in senso inverso: taglio della spesa pubblica, id est. riduzione vincolata del deficit-debito pubblico, => diminuzione dei profitti=> devalorizzazione del capitale aziendale=>  minor accesso al credito=> caduta degli investimenti=> chiusura dell'impresa]
L'incremento dell'investimento così stimolato, può essere un multiplo dell'originario incremento del cash flow dell'impresa - e l'incremento dell'investimento può a sua volta dare origine a un incremento moltiplicativo del Pil".
A PROPOSITO: L'AUMENTO DELLA DOMANDA, INDOTTO DALL'AZIONE FISCALE CHE INCREMENTA LA SPESA PUBBLICA, PRECEDE E NON SEGUE GLI INVESTIMENTI DELLE IMPRESE. Com'è logico che sia, nel buon senso degli operatori "ragionevoli".
 
8. Fantastico no? Appare una ricetta relativa a tutte le cose CHE NON SI POSSONO/DEBBONO FARE RIMANENDO NELL'EURO, e che propone una soluzione, ragionevole ed empiricamente dotata di evidenza, a tutte le sempre più drammatiche lamentele del nostro sistema di PMI. Cioè della parte più importantetout-court, - sia per varietà di filiere-competenze che promuove e preserva, sia dal punto di vista occupazionale potenziale-,del nostro sistema industriale nazionale:
"Rispetto ai paesi sviluppati, è probabile che nei paesi in via di sviluppo le imprese siano più soggette a restrizioni di cassa o creditizie."

9. Ma attenzione, nella prosecuzione dell'esposizione del libro, tra parentesi (e lo enfatizzo in caratteri molto grandi), arriva la sintesi profetica che rende perfettamente l'idea del perché gli interessi delle PMI e quelli della grande industria, finanziarizzata (cioè moooolto meno soggetta alla restrizione creditizia) divergano radicalmente nell'attuale situazione: cioè dentro l'euro. Con conseguenze "politiche" finora inesplorate:
"Una quota elevata del prodotto dei paesi in via di sviluppo è opera di imprese di piccole e medie dimensioni (PMI), particolarmente soggette a restrizioni creditizie (le PMI risultano per altro soggette a tali restrizioni anche nelle economie industrializzate avanzate). Nei paesi in via di sviluppo raramente i mercati azionari funzionano a dovere, cosicché per le imprese è difficile procurarsi nuovo capitale. (Durante una recessione è difficile ottenere nuovo credito anche nei paesi industriali avanzati). 
In certi paesi, come nell'asia orientale, dove funzionano efficienti mercati dei capitali di prestito, l'indebitamento è sistematicamente limitato a un quota del capitale proprio, - una scelta prudenziale del debitore quanto del prestatore. Ne consegue che un aumento del capitale proprio (risultante da un aumento delle vendite effettive e attese), consente alle imprese di aumentare la propria quota di indebitamento". [Ndr: IN DIPENDENZA DI UN AUMENTO DELLA SPESA PUBBLICA perché tale è il caso affrontato dal libro di Stiglitz con riguardo al c.d. acceleratore finanziario]
10. E non basta: il parallelismo tra una situazione come quella italiana nell'euro e la politica di crescita auspicabile nei paesi in via di sviluppo, non si ferma qui. 
Entriamo in un campo di evidenza ancora maggiore, che fotografa, con tragica esattezza, come il "vincolo" dell'Unione bancaria e del bail-in sia quanto di più lontano dalle politiche e dalle misure che si attagliano all'economia italiana, considerando che la discesa dei profitti delle imprese e l'erosione del capitale delle banche, sono due facce della stessa medaglia: l'austerità a monte della recessione deliberatamente indotta per correggere il deficit con l'estero e di competitività, italiani, al solo fine di rimanere dentro l'euro, contro ogni logica:
"Vi è ancora un altro acceleratore che può risultare importante nei paesi in via di sviluppo. Se i profitti delle imprese aumentano per effetto della accresciuta domanda [ndr:  da spesa pubblica, cioè anche spesa per consumi e assunzioni di odiatissimi pubblici dipendenti], aumenta la loro capacità di rimborsare i prestiti bancari in essere.Il miglioramento della posizione finanziaria delle banche consente loro di espandere il volume dei prestiti: e l'accresciuta disponibilità di capitale determina a sua volta l'espansione della produzione".
11. Prosegue quindi l'estratto dal libro:
"Più recentemente, è divenuto avvertibile un altro grande vantaggio della politica fiscale, che può aiutare a superare un ampio acceleratore negativo, innescato, paradossalmente, dalle politiche cautelative delle banche.
Durante una recessione, i profitti delle imprese possono scendere fino al punto da renderle inadempienti nei confronti delle banche prestatrici, con la conseguenza che l'adeguatezza del capitale di queste ultime può scendere al di sotto del livello richiesto dalle regolamentazioni prudenziali
A questo punto le banche devono raccogliere una maggior quantità di capitale oppure ridurre i prestiti. Ma raccogliere capitale in tali frangenti è molto difficile (o molto costoso), cosicché le banche sono costrette a tagliare il volume dei prestiti".

12. E qui arriva la visione profetica in tutta la sua nitidezza (cioè esattamente quello che oggi "non vogliono capire" e, se non lo vogliono capire, vuol dire che non possono/vogliono risolvere):
"Tuttavia le autorità bancarie possono assumere un atteggiamento tollerante, ossia lasciare che le banche continuino a operare benché sottocapitalizzate. Se si consente alle banche di continuare a operare in tali circostanze, le autorità responsabili devono controllarle per impedire che concedano prestiti troppo rischiosi o addirittura predatori nei confronti delle banche, il che pone i problemi classici dell'azzardo morale. 
In assenza di tolleranza da parte delle autorità bancarie, la caduta del prestito riducesia la domanda che l'offerta aggregata, provocando un calo del Pil".

13. E la descrizione che precede, che ci dovrebbe essere assai famigliare, rende evidentequanto possa essere demenziale, per un paese che al momento dell'adesione all'Unione bancaria era in piena recessione, il sottoporsi ad un sistema che priva le autorità bancarie di un'effettiva discrezionalità, prevedendo degli indici di capitalizzazione rigidi (ed elevati) con sanzioni praticamente automatiche; tra l'altro, a carico di correntisti e debitori anche non già insolventi, (cioè sempre imprese e famiglie), cui vengono imposti, rispettivamente, la partecipazione alle perdite determinate dall'insolvenza e il "rientro" immediato. E tutto ciò, se non si vuole incorrere in procedure di infrazione per "aiuto di Stato", laddove appunto si volesse invece intervenire (sempre con spesa pubblica, ma "tardiva", a tacchino spennato) nella ricapitalizzazione o nell'acquisto delle sofferenze...provocate dalle politiche fiscali conservative dell'euro.

14. Insomma, siamo passati dalla recessione indotta per via fiscale, che ha prodotto diminuzione di consumi, investimenti e occupazione, all'inevitabile conseguenza dell'insolvenza debitoria diffusa; quindi, come effetto della regolazione bancaria (sempre conservativa dell'euro), all'amplificazione delladiffusa insolvenza di imprese e famiglie, unita ad un inasprimento ulteriore della stretta creditizia, da cui stagnazione e output gap; e il tutto determinato dalla regolazione stessa. 
E siamo sempre immersi in politiche di bilancio in pareggio, che impongono il taglio della spesa pubblica e l'aumento delle imposte.  Un consolidamento fiscale, in vista del pareggio di bilancio, che, prima o poi (l'impegno non è né rinunciabile, nè smentito), dovrebbe inevitabilmente ritornare a livelli tali da riportare il Paese in recessione.
A proposito: qualsiasi tipologia di spesa pubblicainduce la crescita di reddito e spese e quindi consente alle imprese di aumentare il valore del capitale e di effettuare gli investimenti: "privati" e in funzione della "accresciuta domanda", (che significa "un aumento delle vendite effettive e attese", cioè della spesa delle famiglie).
Tutto il contrario di quello che si invoca...pur di poter dire che "il problema non è l'euro". Mentre la devalorizzazione del capitale, determinata da caduta dei profitti (cioè dei consumi) e restrizione senza fine del credito (che prolunga la caduta degli investimenti), portano alla€uro-svendita dell'Italia:


 

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