

1. Oggi il discorso è incandescente: come cercherò di dire, nel mio piccolissimo, è OVVISSIMAMENTE prematuro abbandonarsi a facili entusiasmi.
Nel frattempo, è giusto dare spazio (come faremo tra un po') ad alcune "puntualizzazioni" che altro non sono che dimostrazioni di "tracce di vita" intelligente e di memoria storica non alterata dall'esigenza di dare un flusso continuo e inesorabile alla propaganda orwelliana, che intende continuare a governare l'€uropa (e il mondo), A QUALSIASI COSTO.
E quando dico a qualsiasi costo, intendo che un potere così grande, quasi senza precedenti nella storia dell'umanità, non appena messo alle strette, tenderà a dimostrarsi capace di qualunque cosa. Basterà rammentare queste parole del padre-maestro di "tutto questo", (almeno sul piano della prassi politica), cioè di colui che meglio incarna l'etica di ESSI:
von Hayek: “È evidente che le dittature pongono gravi pericoli. Ma una dittatura può limitare se stessa(se puede autolimitar), e se autolimitata può essere più liberale nelle sue politiche di un'assemblea democratica che non conosce limiti. Devo ammettere che non è molto probabile che questo avvenga, ma anche così, in un dato momento, potrebbe essere l'unica speranza. Non una speranza sicura perché dipenderà sempre dalla buona volontà di una persona e ci si può fidare di ben poche persone. Ma se è l'unica possibilità in un dato momento, può essere la migliore soluzione nonostante tutto. Ma solo se il governo dittatoriale conduce chiaramente ad una democrazia limitata.”Nella stessa intervista, von Hayek affermava anche:“La democrazia ha un compito che io chiamo ‘igienico’ per il fatto che assicura che le procedure siano condotte in un modo, appunto, idraulico-sanitario. Non è un fine in sé. Si tratta di una norma procedurale il cui scopo è quello di promuovere la libertà. Ma non può assolutamente essere messo allo stesso livello della libertà. La libertà necessita di democrazia, ma preferirei temporaneamente sacrificare, ripeto temporaneamente, la democrazia, prima di dover stare senza libertà, anche se temporaneamente .”
2. Quanto al metodo di "variazione" dallo stato della democrazia idraulica (che mai, per ESSI, è un fine in sè) alla dittatura intesa come "unica speranza"(cioè TINA!), rammentiamo che viene normalmente utilizzato "lo stato di eccezione" - dei mercati, per il terrorismo, per l'ordine pubblico da restaurare nei confronti delle "inammissibili" rivendicazioni di piazza di popoli altrimenti resi "muti"-, tanto più probabile quanto più indica, nella situazione istituzionale attuale di denazionalizzazione delle pubbliche istituzioni, l'autentico detentore della sovranità.
Una volta ridislocata la sovranità, per mezzo di trattati che istituiscono organizzazioni economiche sovranazionali, gli strumenti per indurre lo stato di eccezione sono, dunque, molteplici e convergenti. E, ormai, tutto questo non dovrebbe sorprenderci.
3. Ma, fatta questa premessa, che è il punto di riferimento, nell'esperienza storica, per definire le "aspettative" che possiamo nutrire con empirica e ragionevole cautela, se non altro al fine di vigilare sulla preziosa democrazia consegnataci dalla nostra Costituzione, lascio spazio ad una selezione (esemplificativa) di "puntualizzazioni":
Video: Sterling may devalue regardless of Brexit vote https://t.co/kYvtGWFJTt— Financial Times (@FinancialTimes) 23 giugno 2016
ehhh!!?? l'ha detto! l'ha detto! lr aziende possono beneficiare dell'abbassamento della sterlina! 😂😂😆😆— Emi (@Emi__Tw) 24 giugno 2016
La Sterlina si è "indebolita"... tornando ai livelli di due anni fa. Per i terroristi che non allargano zoom #brexitpic.twitter.com/9giEaDZzkS— Ora Basta (@giuslit) 24 giugno 2016
Questo lo mettiamo qui. https://t.co/zdhxUJUByk— Alessandro Greco (@GrecOfficial) 24 giugno 2016
#Brexit #referendum" Il popolo non doveva poter esprimersi"#DiversamenteDemocratici https://t.co/aeAz6nOZoPpic.twitter.com/LwHGgYGAUV— Silvano Salviato (@SilvanoSalviato) 24 giugno 2016
Il vantaggio di avere una propria banca centrale e una valuta sovrana si è visto ieri. Senza queste due condizioni, impossibile votare.— Cesare Sacchetti (@CesareSacchetti) 24 giugno 2016
Vorrei ritwittarlo all'infinito. pic.twitter.com/CtRsGS9JR0— Malk_klaM (@Malk_klaM) 24 giugno 2016
4. Infine, ci pare anche opportuno, per completare il quadro in cui ci troviamo proiettati, fare un richiamo ad un'analisi generale che non dovrebbe mai essere dimenticata (perché costò la vita a chi, con lucida esattezza, ebbe il coraggio di portarla avanti):
Rosa Luxemburg, "Fogni pacifisti", 1911 [!!!]
Solo coloro che credono nell’attenuazione e mitigazione degli antagonismi di classe, e nella possibilità di esercitare un controllo sull’anarchia economica del capitalismo, possono credere all’eventualità che questi conflitti internazionali possano essere rallentati, mitigati e spazzati via. [...]
Perché gli antagonismi internazionali degli stati capitalisti non sono che il complemento degli antagonismi di classe, e l’anarchia del mondo politico non è che l’altra faccia dell’anarchico sistema di produzione del capitalismo. Entrambi possono crescere solo insieme e solo insieme possono essere superati. “Un po’ di ordine e di pace” sono per questo impossibili, al pari delle utopie piccolo-borghesi sulla limitazione delle crisi nell’ambito del mercato capitalistico mondiale, e sulla limitazione degli armamenti nell’ambito della politica mondiale. [...]
Perché gli antagonismi internazionali degli stati capitalisti non sono che il complemento degli antagonismi di classe, e l’anarchia del mondo politico non è che l’altra faccia dell’anarchico sistema di produzione del capitalismo. Entrambi possono crescere solo insieme e solo insieme possono essere superati. “Un po’ di ordine e di pace” sono per questo impossibili, al pari delle utopie piccolo-borghesi sulla limitazione delle crisi nell’ambito del mercato capitalistico mondiale, e sulla limitazione degli armamenti nell’ambito della politica mondiale. [...]
«Il carattere utopico della posizione che prospetta un’era di pace e ridimensionamento del militarismo nell’attuale ordine sociale, è chiaramente rivelato dalla sua necessità di ricorrere all’elaborazione di un progetto. Poiché è tipico delle aspirazioni utopiche delineare ricette “pratiche” nel modo più dettagliato possibile, al fine di dimostrare la loro realizzabilità. A questa tipologia appartiene anche il progetto degli “Stati Uniti d’Europa” come mezzo per la riduzione del militarismo internazionale. [...]
L’idea degli Stati Uniti d’Europa come condizione per la pace potrebbe a prima vista sembrare ad alcuni plausibile, ma a un esame più attento non ha nulla in comune con il metodo di analisi e con la concezione della socialdemocrazia. [...]
L’idea degli Stati Uniti d’Europa come condizione per la pace potrebbe a prima vista sembrare ad alcuni plausibile, ma a un esame più attento non ha nulla in comune con il metodo di analisi e con la concezione della socialdemocrazia. [...]
...Ma qual è il fondamento economico alla base dell’idea di una federazione di stati europei? L’Europa, questo è vero, è una geografica e, entro certi limiti, storica concezione culturale.
Ma l’idea dell’Europa come unione economica, contraddice lo sviluppo capitalista per due ragioni.
Innanzitutto perché esistono lotte concorrenziali e antagonismi estremamente violenti all’interno dell’Europa, fra gli stati capitalistici, e così sarà fino a quando questi ultimi continueranno ad esistere; in secondo luogo perché gli stati europei non potrebbero svilupparsi economicamente senza i paesi non europei. Come fornitori di derrate alimentari, materie prime e prodotti finiti, oltre che come consumatori degli stessi, le altre parti del mondo sono legate in migliaia di modi all’Europa.
Nell’attuale scenario dello sviluppo del mercato mondiale e dell’economia mondiale, la concezione di un’Europa come un’unità economica isolata è uno sterile prodotto della mente umana..»
«E se l’unificazione europea è un’idea ormai ["ormai" nel 1911!!!, ndr] superata da un punto di vista economico, lo è in egual misura anche da quello politico.
Solo distogliendo lo sguardo da tutti questi sviluppi, e immaginando di essere ancora ai tempi del concerto delle potenze europee, si può affermare, per esempio, di aver vissuto quarant’anni consecutivi di pace. Questa concezione, che considera solo gli avvenimenti sul suolo del continente europeo, non vede che la principale ragione per cui da decenni non abbiamo guerre in Europa sta nel fatto che gli antagonismi internazionali si sono infinitamente accresciuti, oltrepassando gli angusti confini del continente europeo, e che le questioni e gli interessi europei si riversano ora all’esterno, nelle periferie dell’Europa e sui mari di tutto il mondo.
Dunque quella degli “Stati Uniti d’Europa” è un’idea che si scontra direttamente con il corso dello sviluppo sia economico che politico [...].
Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’anno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.
E se ora noi, in quanto socialdemocratici, volessimo provare a riempire questo vecchio barile con fresco ed apparentemente rivoluzionario vino, allora dovremmo tenere presente che i vantaggi non andrebbero dalla nostra parte, ma da quella della borghesia.
Solo distogliendo lo sguardo da tutti questi sviluppi, e immaginando di essere ancora ai tempi del concerto delle potenze europee, si può affermare, per esempio, di aver vissuto quarant’anni consecutivi di pace. Questa concezione, che considera solo gli avvenimenti sul suolo del continente europeo, non vede che la principale ragione per cui da decenni non abbiamo guerre in Europa sta nel fatto che gli antagonismi internazionali si sono infinitamente accresciuti, oltrepassando gli angusti confini del continente europeo, e che le questioni e gli interessi europei si riversano ora all’esterno, nelle periferie dell’Europa e sui mari di tutto il mondo.
Dunque quella degli “Stati Uniti d’Europa” è un’idea che si scontra direttamente con il corso dello sviluppo sia economico che politico [...].
Che un' idea così poco in sintonia con le tendenze di sviluppo non possa fondamentalmente offrire alcuna efficace soluzione, a dispetto di tutte le messinscene, è confermato anche dal destino dello slogan degli “Stati Uniti d’Europa”. Tutte le volte che i politicanti borghesi hanno sostenuto l’idea dell’europeismo, dell’unione degli stati europei, l’anno fatto rivolgendola, esplicitamente o implicitamente, contro il “pericolo giallo”, il “continente nero”, le “razze inferiori”; in poche parole l’europeismo è un aborto dell’imperialismo.
E se ora noi, in quanto socialdemocratici, volessimo provare a riempire questo vecchio barile con fresco ed apparentemente rivoluzionario vino, allora dovremmo tenere presente che i vantaggi non andrebbero dalla nostra parte, ma da quella della borghesia.
Le cose hanno una loro propria logica oggettiva. E oggettivamente lo slogan dell’unificazione europea, nell’ambito dell’ordine sociale capitalistico, può significare soltanto una guerra doganale con l’America, dal punto di vista economico, e una guerra coloniale, da quello politico. »