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LA RIFORMA COSTITUZIONALE DI ERDOGAN E LO STRANO GOLPE

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1. La Costituzione turca del 1924 (anno 1340 dell'Islam), era una Costituzione tipica di una "democrazia liberale": regolava essenzialmente la forma di governo e l'organizzazione dei tre poteri - legislativo, esecutivo e giudiziario- e affermava alcune "libertà da", cioè le classiche libertà negative dall'interferenza statale, subordinando ogni altro diritto civile, e in particolare alcuni potenziali riconoscimenti di diritti sociali, alla disciplina dettata dalla legge.
La Costituzione in seguito vigente era stata emanata dalla giunta militare a seguito del golpe del 1980 ed era poi rimasta in vigore nel suo impianto essenziale: tale legge fondamentale, peraltro, era caratterizzata da una maggior apertura ai diritti sociali e, abbastanza prevedibilmente, sanciva forti poteri emergenziali, di dichiarazione e enforcement dell'ordine repubblicano, da parte dell'esercito, nonché una forte ingerenza dello Stato nell'attività economica per il perseguimento dell'interesse nazionale.

2. Sullo sfondo di questa costituzione, nel settembre del 2010, è stata approvata, con referendum, una riforma promossa dal ministro Medigoglu, e redatta a seguito dell'accordo parlamentare tra l'AKP e le forze di opposizione: in questa occasione il testo è stato adeguato con una (peculiare) enunciazione della eguaglianza sostanziale e il riconoscimento della libertà sindacale
I nodi che rimanevano aperti riguardavano i sistemi di nomina dei vari organi giurisdizionali, a cominciare dalla Corte costituzionale, per finire alle Corti speciali che giudicavano degli stessi appartenenti ai diversi corpi giudiziari. L'accusa è che tale sistema fosse autorefenziale (improntato alle nomine reciproche fra i vari organi giurisdizionali), inquinato dalla influenza politica nelle nomine, e tale da determinare un insidioso potere di sindacato di merito sulle scelte del potere legislativo-parlamentare. 
Il potere giudiziario, nelle sua complessa articolazione, era dunque accusato sia di poter essere piegato all'influenza dell'esecutivo - ma, per la sfasatura del momento in cui potevano essere avvenute le nomine, potenzialmente risalente a un esecutivo espressione di orientamento politico diverso da quello del governo in carica-, sia, per il complesso dei motivi appena esposti, di giocare un ruolo politico tutto proprio.

3. La riforma del 2010, considerata comunque un avanzamento verso la democrazia sostanziale, sia pur parziale, da parte delle forze democratiche e laiche, non ha risolto, ma anzi è stata accusata di aver acuito, il problema del controllo dell'esecutivo sul giudiziario: in particolare la riforma, (intervenuta già in "era Erdogan"), consente un maggior controllo dell'esecutivo pro-tempore su Corte costituzionale e consiglio superiore della magistratura.
L'adeguamento del 2010 ha determinato l'inserimento di un serie di enunciazioni relative ai diritti sociali, con una certa, almeno formale, ricognizione dei diritti-doveri dei lavoratori (art.49) e col riconoscimento della libertà sindacale e della contrattazione collettiva (art.51); oltre alla già detta enunciazione di un principio simile alla eguaglianza sostanziale (art.5: ma non definita come tale e posta in articolo separato da quello dedicato alla eguaglianza formale, art.10), chiaramente mutuato dalla Costituzione italiana del 1948, si è inserita una clausola che ridisegna, in senso (lievemente) più garantista, le conseguenze della dichiarazione dello stato di guerra e di emergenza, con un'applicazione della "legge marziale" che, pur potendo derogare senza particolari limitazioni diritti e garanzie costituzionali, consente ciò, - curiosamente ma non sorpredentemente- "a condizione che gli obblighi di diritto internazionale, non siano stati violati".

4. Nella riforma, dunque, traspare l'aspirazione all'accettazione da parte dell'UE, ponendo le basi per un riconoscimento al più alto livello degli "obblighi di diritto internazionale", quasi alludendo, per implicito, alla equazione "unione europea= forma di democrazia incorporata", al di là della oggettiva verifica della compatibilità di questo federalismo atipico (del mercato), con qualsiasi modello coerente di democrazia sostanziale o sociale (democrazia che pure viene definita come "sociale" fin dall'art.2 della costituzione riformata del 2010).
L'Unione europea era parsa dunque moderatamente soddisfatta ("Anche l’Ue ha accolto l’esito del referendum positivamente, definendo per il tramite della relatrice per la Turchia Ria Oomen-Ruijten “dei passi in avanti” il fatto che siano stati approvati miglioramenti quali l’introduzione dell’istituzione dell’ombudsman, il diritto al contratto collettivo, la limitazione del raggio d’azione dei tribunali militari. Resta ancora però molto da fare per l’allargamento dei diritti, e uno dei problemi più gravi resta la forte limitazione del diritto d’espressione"). 

5. Dal novembre 2015, poi, Erdogan, rieletto ma senza la maggioranza che gli avrebbe dato autonomia di decisione in materia costituzionale, preme per mutare la forma di governo in senso semi-presidenziale, riducendo le prerogative del premier (una volta che Erdogan stesso era divenuto presidente e non più primo ministro), mirando, in tal modo, a rendere monocratico non solo il controllo dell'esecutivo e dell'apparato amministrativo e, specialmente, militare, ma anche i poteri di nomina e ingerenza sul potere giudiziario (da parte dell'esecutivo, come abbiamo sopra accennato). 
La stessa riforma ora in gestazione, mira anche a abolire l'immunità parlamentare, in teoria per meglio perseguire la "corruzione", in pratica per poter meglio colpire le opposizioni e, in particolare, il rafforzato partito curdo.
Questo disegno politico, nei suoi aspetti complessivi, aveva visto, nello scorso maggio, il contrasto di Erdogan con il più "moderato" primo ministro Davutoglu, prontamente sostituito dal "fedelissimo"Yildirim. La neo-riforma, comunque, ha ricevuto una prima approvazione parlamentare, incentrando il suo messaggio politico "forte" sull'abolizione dell'immunità parlamentare; con plauso della stampa anglosassone e occidentale in genere.
E siamo così giunti alla vigilia dello "strano golpe".

6. Sullo sfondo di quest'ultimo, dunque, risalta obiettivamente la vicenda della riforma costituzionale
Anche vista nelle sue varie tappe, sotto il contrastato dominio di Erdogan. Nel complesso:
- un certo avanzamento della democrazia sociale pare poco connesso con chiare enunciazioni e procedure introdotte in costituzione: forse è troppo controtendenza in questa epoca di restaurazione della democrazia filosofico-liberale;
- la controtendenza, poi, appare ben bilanciata dallo sforzo in direzione semipresidenzialista e di rafforzamento autocratico dell'esecutivo, che passa, tra l'altro, per un più forte potere di influenzamento su corte costituzionale e organo di autogoverno della magistratura, unito a un depotenziamento delle garanzie di autonomia del potere legislativo;
- in controluce ma neppure tanto, anche la tensione ad accontentare l'Unione europea, la quale appare perfettamente compatibile con le due tendenze appena evidenziate: l'enfasi è posta sui diritti "civili" (un passe-partout delle formulazioni cosmetiche riduzionistiche della democrazia) di prima generazione. cioè, essenzialmente le predette "libertà negative" tradizionali: il rimprovero internazional-europeista, riguarda il fatto che ciò sia compiuto in modo ambiguo e incompleto sulla libertà di stampa. E soprattutto la connessione con l'UE, emerge con l'enunciazione della clausola suprema del rispetto degli obblighi internazionali, posta persino in sede di previsione del potere, massimamente sovrano, di dichiarare lo "stato di eccezione".

7. Questo lo stato delle cose: Erdogan, a golpe fallito, arresta non solo i militari, ma anche i giudici, che comunque destituisce in massa.
L'€uropa, allo stato, non pare particolarmente indignata. E in un recente passato, non era neppure stata particolarmente attiva sulla questione dei brogli elettorali.
In compenso, la riforma costituzionale di Erdogan, nelle sue varie tappe, assomiglia a qualcosa...Si ritrova una curiosa omogeneità di soluzioni (stemperate negli stilemi e nelle enunciazioni enfatiche) e persino lessicale tra le varie riforme costituzionali che si affacciano, in funzione delle immancabili "riforme", nell'era dell'ordine internazionale dei mercati

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