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IL PARADIGMA STOCASTICO: LA FED E' IMBARAZZATA MA LA BCE INSISTE

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1. Avevamo visto come i modelli stocastici di previsione dinamica dell'andamento macroeconomico, in funzione di un presunto equilibrio raggiungibile "a priori" (grazie essenzialmente ad aggiustamenti sul lato esclusivo dell'offerta), governino saldamente l'€uropa, nell'impianto teorico seguito contro ogni evidenza da BCE e Commissione UE, e che porta a eclatanti "toppe" previsionali sulle quali mai sentiremo un mea culpa, quanto piuttosto l'invocazioni di curiose autoscuse:

Gelata sul Pil, Istat: crescita zero nel secondo trimestre. Il dato sul Pil fermo «non costituisce una sorpresa»afferma il Tesoro in una nota spiegando che dipende da fenomeni come, tra l’altro, la minaccia del terrorismo (ndr; acuitosi nelle sue maggiori manifestazioni in pieno luglio), la crisi dei migranti (idem, e comunque non certo una novità nello scenario) e la Brexit(ndr; che all'interno del periodo culminante nel secondo trimestre non si era ancora verificata: anzi non s'è verificata tutt'ora, dato che s'è trattato solo di un referendum consultivo e che la procedura ex art.50 TUE è ben lungi dall'essere avviata). Elementi che «erano noti da tempo». Il Tesoro sottolinea anche che «diverse fonti di Governo, compreso il Mef, avevano già segnalato che le stime di crescita formulate ad aprile con il Def sarebbero state messe in discussione da questo nuovo scenario».

2. Questo ambiente ideologicamente totalitario, (nel senso che ha un'idea della società e dell'essere umano che spinge l'autoinvestitasi oligarchia dominante ad un'implacabile azione trasformatrice, che nulla può eticamente arrestare),  costringe, con il suo intangibile ma concretamente fallimentare dogmatismo, i nostri governanti a condurre trattative contrassegnate da un lessico "lunare", in modo da apparire conformi a questi modelli, attraverso delle contorsioni logiche e linguistiche talmente manifeste, che solo i media italiani non sono in grado di accorgersene. 

In pratica, vige ormai l'idea "curiosa" che la manovra sia "espansiva" quando diminuisce, pur sempre, il deficit rispetto all'esercizio di bilancio precedente - cioè si opera in consolidamento fiscale, inevitabilmente pro-ciclico (quindi accentuativo della minor crescita e dell'output gap)-,ma lo si fa "pochino"(meno rispetto al "lovuolel'€uropa" del fiscal compact) e purché siano introdotte nuove misure che abbiano l'etichetta di agire "sul lato dell'offerta" (etichetta non necessariamente rispondente alla effettiva qualificazione scientifica della misura stessa).

3. Tutta la visione, estremisticamente ideologica (e in ciò per niente moderata), che è sottesa da questi modelli, è volta a negare, come anche solo astrattamente possibile, che si possa verificare l'equilibrio della sotto-occupazione, già visto all'opera nella crisi del 1929: la matematizzazione (deduttivistica, cioè a priori, mai seguita da un positivo riscontro induttivo della realtà effettiva), tende sostanzialmente a nascondere l'idea neo-classica e monetarista che avevamo visto qui, parlando della dottrina delle banche centrali indipendenti:
"Alla base dello schema monetarista c’è l’idea, di pieno recupero del dogma neoclassico ante-crisi del ’29, che l’economia si trovi in uno stato naturale di lungo periodo in cui non esistono squilibri nei singoli mercati e tutte le variabili reali si trovano al loro livello naturale.
Da questa concezione si sviluppa il concetto di tasso naturale di disoccupazione, che, sotto un profilo empirico, è il livello di disoccupazione che prevale quando l’economia è al suo livello di pieno impiego.
Da notare che questa idea tautologica della disoccupazione e del “pieno impiego”, legata a qualsiasi equilibrio consentito dalle variabili reali (al netto dell’inflazione)del sistema economico, tende proprio a disinnescare gli enunciati redistributivi, affidati all’intervento dello Stato, propri della Costituzioni democratiche successive alla II guerra mondiale e, simbolicamente, al c.d. Rapporto Beveridge.

Secondo Friedman, se l’economia si dovesse allontanare da questa situazione di pieno impiego, il sistema, nel lungo periodo, tenderebbe naturalmente al riequilibrio.
La direzione dell’attacco monetarista contro la politica fiscale attiva dei keynesiani cambia alla fine degli anni ‘60, rivolgendosi esplicitamente a minare le basi della curva di Phillips attraverso l’introduzione, in quello schema, dellivello atteso di inflazionecome variabile addizionale nella determinazione del tasso di variazione del salario monetario.
Infatti, nel saggio The role of monetary policy del 1968, Friedman negava l’esistenza nel lungo periodo di un trade-off tra disoccupazione e inflazione nella attuazione della politica economica.
La politica di stabilizzazione del ciclo economico, in questa ottica, passa per le seguenti ineludibili vie (che trovano una evidente Eco in molti tratti delle attuali politiche monetarie propugnate da Bundesbank e, di riflesso, dalla BCE):
1) le autorità possono ridurre la disoccupazione al di sotto del tasso naturale solo nel breve periodo e solo perchè il livello di inflazione non è ancora anticipato in modo corretto. L’ipotesi di aspettative adattive implica aggiustamenti graduali e non immediati delle aspettative e la politica fiscale può ancora essere efficace nel breve periodo;
2) qualsiasi tentativo di tenere il livello della disoccupazione al di sotto del suo tasso naturale produce solo una accelerazione della inflazione;
3) se si intende ridurre il tasso naturale di disoccupazione e quindi aumentare il livello dell’output è necessario perseguire politiche dal lato dell’offertaper migliorare la struttura e il funzionamento del mercato del lavoro piuttosto che politiche dal lato della domanda;
4) il tasso naturale di disoccupazione, (come abbiamo visto), è compatibile con qualsiasi tasso di inflazione che a sua volta è determinato dal tasso di espansione monetario come postulato dalla teoria quantitativa. Data la convinzione che l’inflazione è essenzialmente un fenomeno monetario dovuto ad un eccesso di crescita monetaria, i monetaristi affermano che l’inflazione può essere ridotta solo riducendo il tasso di crescita della offerta di moneta."
E’ importante vedere che, in tal modo, si perfezionò un’operazione a carattere “metonimico”: si attribuì al mercato del lavoro l’inflazione dovuta agli shock petroliferi degli anni ’70, quando in effetti l’assetto del lavoro, assistito dalla linea redistributiva variamente sancita nelle Costituzioni (globalmente definite come “rigidità” contrarie all’equilibrio naturale), era soltanto responsabile della limitazione dei profitti (in situazione di ciclo negativo), cioè, in pratica, della simmetrica distribuzione delle conseguenze recessive dell’inflazione petrolifera anche sul lato del capitale. 

4. Non è che da parte dei policy-makers USA, naturalmente, sia sia poi ragionato, e si ragioni, in modo molto diverso: il neo-keynesismo, al di là di aspetti non decisivi riguardo alle politiche di intervento anti-ciclico, condivide fondamentalmente questa impostazione, e falchi e colombe, dentro il Treasury come nella Fed, litigano su diverse "sfumature di grigio" relative a come e a "quando" anticipare la temutissima inflazione, senza però riuscire più a riscontrare le condizioni che, nella parte condivisa delle rispettive posizioni dialettiche, renderebbero chiusa la fase di "trappola della liquidità", ovvero in deflazione o in inflazione inferiore a qualsiasi target, (anche di per sè "moderato" e compatibile con la "disoccupazione naturale").
Dal paper appena linkato, traiamo questo grafico sulla curva di Phillips, che, se ci si attiene al tasso U3 di disoccupazione, non fa capire più nulla agli econonisti USA:


Salvo poi vedere come, utilizzando l'indice di disoccupazione U5, - che, tra l'altro, non è quello, ancor più indicativo, U6, che abbiamo appena visto qui e che incorpora la crescente legione dei working poors, intesi come part-time sottopagati e non volontariamente in tale condizione- i conti tornerebbero un po' meglio:

5. Tenete conto che l'inflazione USA, nonostante i vari QE e i famosi super-deficit dell'amministrazione Obama (v.qui pp.1-2), non decolla proprio e non pare, anche nelle previsioni più mainstream, volersi attestare al mitico target del 2%; che dovrebbe corrispondere alla disoccupazione "naturale", calcolata con U3, allorché si collochi (appena) sotto il 5%. Ma, allo stato attuale, questa soglia "magica" si scontra con la dura realtà dei dati di unemployment 5 e 6 e con la stagnazione dei salari reali, di cui il grafico sottostante ci mostra l'incidenza percentuale su tutti i lavoratori e su alcune significative categorie (il dato ad oggi, non è mutato in modo significativo):

Share of workers with frozen wages over past year

Né l'era Clinton, nè l'Amministrazione Obama hanno arrestato, - tutt'altro!-, il trend generale di aumento della quota dei lavoratori a salario "costante"no-matter-what, trend che risale negli anni '90, e, se cala leggermente alla fine dello stesso periodo (nel senso che si ha una crescita salariale, ma sempre inferiore all'aumento della produttività nello stesso periodo), poi ridecolla nei meravigliosi anni 2000, raccogliendo i frutti della finanziarizzazione (e dell'abolizione del Glass-Steagall Act...ma qui il discorso si farebbe più lungo).

6. Tutto questo ci porta a riallacciarci al discorso iniziale: i modelli stocastici incorporano tante belle cose, tra le quali annettono grande importanza a "shock" determinati da innovazioni tecnologiche, ma considerano irrinunciabile la perfetta flessibilizzazione dei salari e del mercato del lavoro, ossessionati solo dalla corretta anticipazione del tasso di inflazione e nullificando ogni rilevanza dell'ipotesi di un ciclo avverso determinato da debolezza della domanda.

A un certo punto, però, mentre prosegue in UEM, (magari con qualche timido "non capisco ma mi adeguo" italico), la furia devastatrice di conservare il bengodi deflazionista, e del mercato del lavoro-merce, consentito allegramente (per pochi, ma sono quelli che contano), dall'adozione della moneta unica,  e perciò si intende l'intervento straordinario delle finanze pubbliche soltanto come welfare bancario - legittimo perché supply side e solo se non costituisca "aiuto di Stato" secondo discrezionalità mutevoli nel tempo e nel luogo- in USA, la Fed comincia a farsi delle domande.

7. Il New York Times di oggi affronta la questione con questo eloquente titolo: "La Federal Reserve esita mentre vacillano i modelli tradizionali" (International NYT, pagg. 16 e 18).
Tutto parte dalla constatazione, da parte di alcuni membri del Board, che ci sarebbe la "evidenza" che il mercato del lavoro si stia "irrigidendo", e da ciò discenderebbe la imminente risalita di salari e prezzi. Altri, però, replicano che ci sia l'evidenza proprio contraria, e cioè che l'inflazione non stia rispondendo a tale quadro di aspettativa reflazionista (che, se posto sul presupposto del mitico indice U3, diviene in concreto un wishful thinking, cioè aria fritta).
Alla fine, non potendo negare l'evidenza (debolissima) sulle temute spinte inflattive e sulla loro prossimità nel tempo (apparendo piuttosto lontana l'effettiva stabilizzazione sul target del 2%),
2016 United States Inflation Rate: Year over Year
alla Fed si mettono d'accordo sul fatto che sia "prudente attendere di accumulare più dati per poter stimare lo slancio espansivo del mercato del lavoro e delle attività economiche".
Ma lo "stallo", dopo anni di annuncio di risalita dei tassi, mette un po' in imbarazzo questi "policy-makers", che infatti: 
"La Fed fronteggia una fondamentale questione: il paradigma fondamentale utilizzato nel corso dell'ultima generazione (ndr: coincidente col periodo in cui si adotta il "Washington Consensus", per inciso) per regolare l'intervento monetario,è il più corretto in questo momento, o qualcosa di fondamentale è mutato nell'economia globale tanto da richiederne uno nuovo?"

8. La risposta, abbastanza ovvia, sarebbe che sì, qualcosa è mutato: l'errore di calcolo è giunto al...pieno compimento di tale paradigma (cioè alla sua irresistibile forza istituzionale) e, in tutto il mondo avanzato, si è riaffermato il lavoro-merce, perfettamente flessibile, come elogiano le classifiche OCSE e i diktat e gli "indici" del Washington Consensus
Il modello stocastico neo-classico non riesce più a predire nulla di attendibile, e continuare a ignorare l'ipotesi della crisi da domanda innescata sull'equilibrio della sotto-occupazione diventa sempre più difficile.

9. L'articolo prosegue nel trattare questo argomento, evidenziando che, secondo gli indicatori "standard", si dovrebbe essere in una fase espansiva e quindi la preoccupazione principale dovrebbe essere di anticipare la manovra monetaria in modo da non lasciar andare fuori controllo l'inflazione. Così si ha una disoccupazione (U3, naturalmente) alla soglia della sostenibilità di lungo periodo, cioè al 4,9%, scendendo al di sotto della quale si avrebbero eccessive spinte inflazionistiche, e l'inflazione media del 2015 s'era attestata all'1,5%.
Ma...ooops, ci dice il NYT, 
"il modo usuale di pensare non sta funzionando....
Da un lato, il resto del mondo sta crescendo così lentamente che sta creando un costante freno all'inflazione ed alla crescita, e ciò vorrebbe dire che le usuali preoccupazioni sull'inflazione non si applicano. Aver (moderatamente) innalzato le paghe dei lavoratori USA nello scorso anno, all'incirca, è stato controbilanciato da altre forze impeditive dell'inflazione, come la caduta dei prezzi energetici e (udite, udite!) la debole domanda di consumi di beni e servizi da oltreoceano".
Addirittura, il Presidente della Fed di San Francisco suggerisce qualcosa di clamoroso (si fa per dire, ma siamo sempre tra monetaristi e neo-keynesiani).
Posto di fronte al problema del quando "dover" innalzare i tassi di interesse a breve, e del "quanto" farlo in modo da stabilizzarli nel lungo periodo, "solleva la possibilità che la Fed adotti un più significativo cambiamento nel modo di concepire i propri scopi, persino innalzando il target di inflazione del 2%, o rimpiazzando il target inflattivo stesso con un obiettivo di crescita del PIL".

10. La proposta rimane discussa e controversa (anche se non pare poi così clamorosa, se non in un ambiente dottrinario piuttosto "monetarista"...). 
Ma, ammette il NYT, "rimanere in dubbio sul fatto che i vecchi modelli per le politiche monetarie siano o meno ancora validi, è una situazione imbarazzante per una banca centrale".
BCE e dubbi? Mai pervenuti, anzi: qualsiasi ipotesi di crisi da domanda e di aumento dei salari reali è fuori questione. Si proseguano le riforme e "fate presto"!

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