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LA "LETTERA", IL POST-REFERENDUM E L'INCORPORAZIONE DEL FISCAL COMPACT

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http://www.eunews.it/wp-content/uploads/2016/09/Priorita_Juncker.jpg


1. Ci pare sufficientemente esaustivo del contenzioso tra Italia e UE relativo ai saldi della manovra per il 2017, questo articolo tratto da Forexinfo:

"Perché l’UE boccia la Legge di Stabilità di Padoan e Renzi

Nonostante la lettera dell’UE non sia ancora pervenuta, conosciamo già i punti critici della Legge di Stabilità 2017 agli occhi della Commissione. La lettera in questione ha il compito di sottolineare tutti i punti critici previsti dalla finanziaria di Renzi, invitando l’Italia a modificare quanto dovuto allo scopo di raggiungere l’obiettivo della parità dei conti dello Stato.
1 - Le coperture una tantum
Nei 7,6 miliardi di entrate stimate vi è troppo ottimismo secondo l’Unione Europea e le coperture una tantum non assicurano la solidità del bilancio.
2 - Il nodo sulla sicurezza antisismica
L’UE non accetta di scorporare dal deficit la spesa dello Stato per la messa in sicurezza delle zone del Paese a rischio terremoto ma dice Sì allo scorporamento delle uscite con il fine la ristrutturazione delle aree interessati dal sisma del 24 agosto.
3 - Il deficit 2017 non va
L’Italia avrebbe calcolato in modo troppo generoso lo sconto sul deficit concesso dall’UE in caso di circostanze eccezionali.
La Commissione UE non accetta il calcolo del deficit al 2.3% previsto dalla legge di Stabilità 2017: è troppo alto e deve essere tagliato di uno 0.1% - il che corrisponde a 1,6 miliardi di euro.
Renzi, tuttavia, non ha alcuna intenzione di rinunciarci.
4 - Troppa flessibilità
Lo scorso anno sono stati 19 i miliardi di euro concessi dall’UE all’Italia in flessibilità, per la Legge di Stabilità 2017 saranno 15.
5 - Il problema migranti
L’UE riconosce l’aumento del problema migranti ma non giustifica l’aumento del deficit a causa di questo fronte calcolato dalla Legge di Stabilità 2017.
Sotto la lente non solo la manovra dell’Italia ma anche gli sforzi di Spagna, Portogallo, Francia, Belgio e Olanda. Ma sono le tensioni Italia-UE a preoccupare l’Eurozona.

Italia contro UE: i prossimi passaggi sulla Legge di Stabilità
La lettera di “rimprovero” dall’UE deve ancora arrivare. Attendiamo per il 9 novembre le nuove previsioni sull’economia, pochi giorni più tardi una nuova opinioni sul testo della Legge di Stabilità 2017. Una bocciatura vera e propria, scenario che aumenterebbe di molto le tensioni tra Italia e UE e alimenterebbe la forza dell’antieuropeismo, potrebbe arrivare solo dopo Natale".

Bastano queste poche note di commento per capire il grado di "alterazione" che ha raggiunto l'€uropa ordoliberista rispetto alla normale percezione del buon senso minimo: relativamente al concetto macroeconomico di intervento anticiclico, come pure rispetto alle esigenze vitali e ai drammi di un'intera comunità sociale, 

2. Ecco un rapido schema del gioco che abbiamo di fronte nelle prossime settimane:




Tant'è che, infatti, l'Eurogruppo ha stabilito di valutare "definitivamente" la correttezza della manovra di stabilità, il 5 dicembre (!); o, sarebbe meglio dire, di innescare una concreta minaccia di procedura di infrazione, con tanto di trojka "snella" aleggiante, a partire da quella data.

3. Pressocché nelle stesse ore, Steinmeier, possibile successore della Merkel e attuale ministro degli esteri tedesco, ha dichiarato:
“La crisi finanziaria, l’ondata di rifugiati in Europa e lo shock del referendum sulla Brexit hanno portato l’Europa in una grave turbolenza”, ha detto Steinmeier, citando il sempre maggior numero di paesi che mettono in discussione la saggezza delle politiche definite a Bruxelles.
Gli eventi degli ultimi anni hanno reso chiaro che realtà politiche che potevano essere considerate permanenti sono invece oggetto di discussione, ha aggiunto precisando che a trarre vantaggio da queste paure sono i partiti populisti che denunciano anche il fallimento dell’Ue sulle questioni sociali.
“Anche i sostenitori più sfegatati dell’Europa riescono a vedere quello che bisogna fare: convincere di nuovo la gente e farlo fuori dalle torri d’avorio del sostegno incondizionato all’Europa. Se non sappiamo come apprezzare il valore dell’Ue, andrà a rotoli”, ha quindi concluso".

Ma questo discorso, un po' inquietante e piuttosto generico, può essere meglio compreso con la complementare posizione assunta dalla nostra vecchia conoscenza Otmar Issing, ordoliberista senza mai troppi peli sulla lingua, certamente meno rispetto a Steinmeier che, da capo della "diplomazia" parla con linguaggio c.d. "felpato", cioè allusivo. E che ci dice il "buon" Otmar?

Photo published for Ex Capo-Economista della BCE: “L’Euro è un Castello di Carte che Crollerà” (da A.E. Pritchard)

Parrebbe dedito alla "causa europea", ma, come correligionario (da ambienti di banca centrale) di Weidman, intende ben altro che un riequilibrio fiscal-federale dell'eurozona e una sua democratizzazione "per" i popoli in essa drammaticamente coinvolti.
Questo il passaggio fondamentale del suo pensiero (che dobbiamo ritenere disciplinatamente allineato alle "allusioni" di Steinmeier):
"L’intero impianto verrà messo quasi certamente alla prova dalla prossima crisi globale, ma questa volta ci sarà già in partenza un elevato livello di debito e di disoccupazione, nonché un maggiore logoramento politico.
Il prof. Issing ha poi sferzato la Commissione Europea, definendola una creatura delle forze politiche che ha ormai rinunciato a ogni tentativo di imporre delle regole in maniera sensata. “L’azzardo morale è schiacciante“, ha detto.
La BCE si trova su una “china scivolosa“, e secondo Issing avrebbe compromesso in modo fatale l’intero sistema salvando paesi in bancarotta, in evidente violazione dei trattati.
Il patto di stabilità e crescita è più o meno fallito. La disciplina di mercato è stata abolita dagli interventi della BCE. Non c’è quindi nessun meccanismo di controllo fiscale da parte dei mercati o della politica. Ci sono tutti gli ingredienti per il disastro dell’unione monetaria.
La clausola di non-salvataggio viene violata quotidianamente“, ha detto, rigettando come ottusa e ideologica l’approvazione della Corte Europea alle misure di salvataggio".

4. Insomma, Issing la mette sul piano della "morale"...dell'azzardo, essendo perciò "immorale" che il "patto di stabilità e crescita" non sia stato fatto rispettare dalla Commissione e dalla compiacenza della BCE, in modo tale che si fosse potuto verificare il "controllo fiscale da parte dei mercati": altro non è, questa, che una querula lamentela di non aver potuto vivere una lunga stagione di "fate presto", preferibilmente a carico dell'Italia, in nome dello "stato di eccezione" degli SPREAD.

Insomma sommando Issing con Steinmeier, i tedeschi ripetono stereofonicamente quello che preannunziava Weidman: l'ordoliberismo, cioè il mercato "sovrano" (imperial-germanico), col "sociale" come "semplice riempitivo", non tollera compromessi e non scorge alcuna ragione per rivedere i trattati, reflazionare e correggere il proprio surplus con l'estero (ammesso che questo sia un limite il cui mancato rispetto sia effettivamente sanzionabile; anche solo sul piano politico, in €uropa).
E dato che tutto questo, cioè le condizioni accettabili di partecipazione della Germania al festino dell'euro, (sempre più divenuto un festino sull'ital-tacchino), non si verifica esattamente come i tedeschi ritengono loro dovuto, inderogabilmente, tanto vale fare una minaccia: "chiudiamo l'UE e poniamo fine all'euro". Senza tanta tanta austerità, e senza altrettanti trasferimenti di redditi finanziari verso la Germania, dai paesi periferici, una moneta sottovalutata rispetto al marco pare non bastargli più.

La minaccia non appare tanto credibile (anche se come tutte le minacce, poi lega le mani a chi le formula, innescando un gioco pericoloso per chi le agita...).
E sappiamo perché; ma serve a tenere sulla corda gli USA, a cui vogliono mostrare che pensare di rimettere nel "corral" la Germania, secondo la loro mera convenienza geo-politica, - quando gli era stata, da decenni, concessa mano libera per "rieducare" il mediterraneo socialistoide, non è così facile come sembra.

5. Da ciò deriva però più o meno questo quadro:
"...Gli USA vogliono che la Germania "faccia qualcosa". Ma non ha modo di imporgli nulla senza contemporaneamente:
a) mettere a repentaglio la propria stabilità finanziaria, che cerca di garantire attenendosi a dottrine che non sa proprio come sottoporre a critica senza rimettere in discussione il precario equilibrio interno determinato dal dominio di Wall Street via Clinton family;
b) mettere in discussione il risultato a cui mira da decenni; cioè l'omogeneizzazione in senso neo-liberista dell'intera €uropa. Un risultato che sono molto vicini ad ottenere e che ha visto il successo dello "strumento" individuato da lungo tempo nella dominanza tedesca.

Bisogna perciò vedere quale calcolo costi/benefici faranno, circa una eventuale azione di ridimensionamento dell'arroganza tedesca.
Potrebbe essere un obiettivo simbolico ma ben poco pratico: e questo i tedeschi è da supporre che lo scontino nel prendersi i rischi che corrono nei confronti degli USA.

In fondo gli USA, più precisamente la sua elite oligarchico-finanziaria, non è MAI stati propensa ad agire drasticamente contro la Germania: mai.
Specialmente quando la partita in gioco include la tradizionale e preconcetta ostilità verso la Russia.
Quanto potrà contare ancora la Nazione americana, intesa come insieme di forze e di plurimi settori sociali non coincidenti con l'elite?

La partita "italiana"è chiaramente un gioco di rimbalzo in questo ambiguo e incerto scenario: per l'Italia, c'è sempre il conto da regolare per aver adottato una Costituzione "socialista".
Il loro massimo e unico obiettivo, rispetto a ciò, rimane "Constitutio italica delenda est".

E quello appena riportato è il sunto del discorso, che può essere più ampiamente visto qui, nelle sue integrali premesse politico-economiche.

6. Dunque, l'austerità fiscale e quindi il fiscal compact sono condizioni sine qua non affinché la Germania accetti di far parte dell'euro. Ciò, noi sappiamo, è un atteggiamento ben visto e condiviso in ampi ambienti del nostro Paese.
Nel 2017 viene in rilievo la questione della "incorporazione" del fiscal compact nel trattato dell'Unione, a cui naturalmente Dijsselbloem e Juncker sono superfavorevoli. Il nostro governo parrebbe invece, attualmente, intenzionato a svincolarsene.
Si dice pure che la vittoria del sì rafforzerebbe la posizione italiana in questo senso: ma come potrebbe essere ciò se in base al suo art.14, il fiscal compact si applica, allo stato, in pratica solo ai paesi la cui moneta è l'euro e la "riforma" non pone in discussione questa appartenza ma anzi costituzionalizza quella all'UE inclusiva dell'attuazione delle politiche derivanti principalmente...dall'appartenenza all'eurozona?

Alla linea oppositiva sul fiscal compact, peraltro, sul piano interno si muovono obiezioni circa gli effetti pratici di questa limitata "exit": "Brunetta gli ha ricordato però che, anche arrivando a quella conclusione, l’Italia resterebbe comunque vincolata alle altrettanto rigide regole previste dal Six Pack e dal Two Pack. «L’unico vincolo di cui ti libereresti – ha detto l’ex ministro di Forza Italia rivolgendosi al premier – sarebbe quello dell’equilibrio di bilancio, se non fosse che l’abbiamo inserito nella nostra Costituzione»."

7. Il testo allo stato reperibile del fiscal compact fa tuttavia pensare a una cosa diversa, sia da quella che sostiene il governo, sia da quella che obietta Brunetta. La previsione dell'art.16 del trattato FC, infatti, recita:
"Al più tardi entro cinque anni dalla data di entrata in vigore del presente trattato, sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea". 
In pratica, la norma "scommette" che, nei cinque anni di prima applicazione del fiscal compact, l'andamento economico degli Stati aderenti sarebbe divenuto così favorevole, con un solido ritorno alla crescita e all'occupazione, da indurre un'ondata di adesioni all'eurozona, sia da parte dei paesi "non euro" e "in deroga" firmatari dello stesso fiscal compact, sia da parte di tutti gli altri estranei al trattato
Insomma, la previsione era che la trionfale applicazione del FC, avrebbe unificato verso l'adesione all'euro economie sempre più convergenti, e rafforzate dall'adozione dei criteri automatici, ed ordoliberisti (v.p.5), di accresciuta austerità fiscale, al punto da farne l'unica "vera fede" del futuro comune dell'UE!
La cose sono andate, e in un "crescendo", esattamente nel senso opposto (anzi, come abbiamo visto, il fiscal compact è stato praticamente applicato solo all'Italia e nessuno vuole, oggi e meno che mai domani, porsi nei nostri scomodi panni).  

8. Essendo questa la disciplina della (meramente potenziale) incorporazione del fiscal compact nel TUE e nel TFUE - la questione dipende da dove sono collocate le norme maggiormente incise dall'inserimento delle più stringenti regole fiscali su deficit e indebitamento, nonché sulla legittimazione del relativo sistema sanzionatorio - ne discende che:
a) l'incorporazioneè adottabile, in base ad una valutazione dell'esperienza attuativa, in conformità del trattato UE e FUE. L'effetto di tale incorporazione è null'altro che il superamento dell'art.14 citato, con la scommessa della volontaria estensione delle regole di bilancio (debito e deficit in pareggio) a tutti gli Stati-membri dell'UE, a quanto parrebbe, a prescindere dalla loro appartenenza all'eurozona.

b) ergo, come abbiamo visto, trattandosi di una modifica (non indifferente) degli stessi trattati, occorre la "ratifica di tutti gli Stati membri", a fortiori dovuta in caso di trattato che non consente neppure la procedura di revisione semplificata, poiché il fiscal compact "estende le competenze assegnate all'Unione" in materia di sovranità o discrezionalità fiscale, che dir si voglia;

c) che una tale unanimità sia raggiungibile, in questo momento storico e proprio alla luce dell'esperienza maturata nell'applicazione del fiscal compact!, è altamente improbabile se non addirittura improponibile, a pena di acuire irreversibilmente le tensioni che già scuotono l'UE, così com'è (cioè  già "sconquassata" da discordie senza ulteriori cessioni di sovranità da parte di tutti, e in assenza di qualsiasi seria politica fiscale federale dotata di un adeguato bilancio);

d) invece, "uscire" dal fiscal compact è un discorso completamente diverso: come per l'Unione bancaria, come per il six pack, è praticabile in modo del tutto autonomo dalla scadenza dell'art.16, che ha la diversa ragion d'essere della incorporazione, (cioè della supposta estensione, non della riduzione delle parti aderenti); l'uscita è, in realtà una scelta politica nell'interesse nazionale, adottabile in qualsiasi momento in cui ne ricorrano i presupposti conformi alle regole del diritto internazionale dei trattati (v. p.3-4) (a fortiori per il fiscal compact che è un trattato non costitutivo dell'UE e ordinariamente concluso tra Stati sovrani secondo tali regole, per quanto in qualità di paese aderenti all'UE).

Non si vede dunque, rispetto alla sovrana decisione di non far parte di questo speciale trattato di diritto internazionale "comune", come possa influire l'essere o meno dotati di una cornice costituzionale monocamerale o bicamerale attenuata, dell'una o dell'altra legge elettorale e via dicendo.
Ammesso che gli effetti dichiarati della riforma siano..."effettivi", cioè rispondenti al vero,-  il che è oggetto di grande disputa tra il fronte del sì e quello del no-, la fiscal compact-exitè completamente indipendente dalla riforma costituzionale: era adottabile, seguendo le opportune procedure, anche ieri, anche oggi e ovviamente in un qualsiasi domani.
Certo, diverrebbe infinitamente più difficile, per le regole internazionali della "buona fede" nell'esecuzione dei trattati se l'Italia, se nel corso del 2017, si trovasse a esprimere un voto favorevole all'incorporazione.
Ma anche questa scelta controproducente sarebbe completamente autonoma dall'approvazione definitiva della riforma costituzionale.
Anzi, è in sé una dimostrazione di indipendenza sovrana e del proprio buon senso.

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