
1. Non siamo noi che battiamo il ferro finché è caldo: è la tumultuosa (e per ESSI "sorprendente") realtà che lo surriscalda, e porta un intero sistema a smartellare (in preda alla confusione se non al panico).
Un sistema il cui vertice (cultural-mediatico, naturalmente pop), già da un pezzo si interroga sui populismi e, in effetti, non sa come rispondersi, perché...non lo può semplicemente fare, a pena di avviare un processo di autoimputazione.
Facciamo un esempio che, in termini di establishment cultural-mediatico italiano è piuttosto rilevante: Mucchetti, un autorevole commentatore e esponente politico, che abbiamo già incontrato su questo blog, riflette sull'agonia dell'idea portante, di fusione di partiti a vocazione maggioritaria, che ha animato la fondazione del partito democratico.
Interessante il rilievo critico di premessa:
"Il Pd non ha aperto ancora alcuna discussione né sulla sconfitta al referendum del 4 dicembre né sulle precedenti, fallimentari elezioni amministrative".
Quindi ripercorre un po' di storia delle alleanze a sinistra e dei meriti di un passato prodiano:
"il primo governo Prodi avviò le privatizzazioni e le liberalizzazioni, varò le Autorità indipendenti, tagliò il debito pubblico certo grazie ai tassi calanti (come adesso, del resto) ma anche grazie alla riduzione del costo del lavoro delle pubbliche amministrazioni pari a due punti di Pil, introdusse criteri di gestione meritocratici (poi svaniti nella successiva execution), congelò la dinamica del costo del lavoro nel settore privato attraverso la concertazione e portò l'Italia nell'Euro contro tutte le previsioni".
2. Da ciò emerge, inequivocabilmente, che il metro di ricognizione dei "meriti" stessi sia, tutt'ora, ancorato ad una scala di valori che definisce un paradigma al cui vertice c'è "l'entrata nell'euro".
E con ciò, si rende assiologico tutto lo strumentario funzionale a tale valor€ supr€mo che, a sua volta, implica la "virtù" della società "riformata", al passo con la sfida della globalizzazione e l'inevitabile e indiscutibile esigenza di de-sovranizzare uno Stato il quale, in sè, non può che essere un "peso", un elemento retrivo e negativo.
Infatti, il debito va tagliato; la spesa pubblica, meglio ancora se nelle voci riguardanti il costo del lavoro delle pubbliche amministrazioni, altrettanto; il costo del lavoro? Ma va congelato! Altrimenti quale mai altra può essere la chiave verso l'aumento della produttività e della sua compagna, immancabilmente "pacifista", la "competitività"?
La realtà storica dei dati e indicatori macroeconomici italiani, stressati (almeno dai gloriosi t€mpi di Prodi) da questo paradigma valorial€, non conferma l'ipotesi "m€ritocratica": anzi la smentisce in modo drammatico, ma non importa.
3. Poi, però, diviene praticamente impossibile capire le cause profonde della crisi politica, (non solo italiana), prescindendo dalla struttura economico-sociale che si è voluta ri-plasmare in un modo in cui si continua incrollabilmente a credere.
E infatti Mucchetti, per spiegare "meglio" la crisi politica, cioè un effetto sovrastrutturale (per definizione) ricorre a un elenco non di cause, bensì di effetti, confermando che l'inversione del meccanismo causa/effetto (qui p.8) è il carattere essenziale dell'eurostrabismo a vocazione (sovra)internazionalistica.
Il brano che stiamo per citare non esaurisce tutto il complesso ragionamento svolto da Mucchetti, ma rimane fortemente indicativo della "inversione" che caratterizza la (pur intelligente, all'interno di questa paralogica inesorabile) critica costruttiva di Mucchetti:
Il brano che stiamo per citare non esaurisce tutto il complesso ragionamento svolto da Mucchetti, ma rimane fortemente indicativo della "inversione" che caratterizza la (pur intelligente, all'interno di questa paralogica inesorabile) critica costruttiva di Mucchetti:
"...Salvati non nasconde la nostalgia per la riforma costituzionale bocciata dagli italiani, che l'aspettavano, così diceva l'ex premier, da 70 anni. Nostalgia per il rafforzamento della governabilità che ne sarebbe derivato.
Mi chiedo se la governabilità, bandiera in verità non nuova essendo stata sventolata da Bettino Craxi almeno trent'anni fa, vada perseguita a qualunque costo. Se constatiamo come i populismi avanzino anche in Paesi con sistemi istituzionali più solidi ed efficienti del nostro proprio sul piano della governabilità, allora non possiamo non riconoscere come la crisi delle democrazie occidentali dipenda da altre ragioni, diverse dalla presunta insufficienza dei poteri del governo entro i confini dello Stato. Come dipenda da ragioni più profonde e più contemporanee: per esempio, dall'atomizzazione degli individui e dalla ricostruzione di nuove tribù d'opinione favorite dalle tecnologie internettiane. Come dipenda dalla globalizzazione finanziaria che depotenzia la politica nazionale e ha ormai provocato il divorzio del risparmio dagli investimenti nei luoghi dove la gente genera - meglio, ha generato - il risparmio; dalla globalizzazione del diritto che, lo spiegò perfettamente Sabino Cassese, ha disintermediato i parlamenti e perfino i governi a favore di burocrazie senza patria; dal declino delle ideologie laiche e delle religioni cristiane; dall'andamento delle disuguaglianze di reddito e di speranza e, soprattutto, della loro percezione all'interno delle diverse comunità".
4. Notevole come il vero senso del mito della governabilità, e la sua radicale estraneità alla democrazia sostanziale, cioè alla struttura dei rapporti di forza riequilibrata verso il lavoro; il "facciamocome" imitativo delle "altre democrazie"; l'individualismo metodologico; il liberoscambismo globale; la de-sovranizzazione statuale e la prevalenza del diritto internazionale privatizzato, siano visti come fenomeni quasi indipendenti tra loro, vicende evolutive che "capitano", e non come le tappe e i vari epifenomeni realizzativi di un unico grande disegno: la Grande Società dell'ordine sovranazionale dei mercati, volta alla restaurazione del paradigma liberista (neo o "ordo"), che vede, nel generare la montante marea dei "perdenti" un risultato naturale, e nel marginalismo marshalliano l'unica possibile condizione di equilibrio, in cui le oligarchie riversano, sulla "perfetta" flessibilità del prezzo(costo) del lavoro, la loro ossessione patologica per l'efficiente allocazione delle risorse: "paretiana". Senza crescita (ché, ormai, la "ripresa" viene identificata con l'assenza di recessione!), ma giusta e naturale: et pereat mundus.
5. Da qui tutto un inseguire, come fa in fondo il Wolf linkato all'inizio, la definizione del nuovo "male", visto come causa, improvvisa, di impedimento ad un progresso altrimenti inarrestabile; anche se, magari, un po'"disintermediante", non tanto dei parlamenti e dei governi, quanto delle istituzioni democratiche rappresentative degli interessi pluriclasse del popolo italiano, cioè della democrazia pluriclasse (e non formale, idraulico-elettorale, cioè liberal-oligarchica): quella della eguaglianza sostanziale della nostra (la nostra!) Costituzione.
Il nuovo male, naturalmente, sono i POPULISMI. Ismi, ismi...
Il termine più vuoto di significato della lingua italiana viene declinato pure al plurale, a confermarne l'indeterminatezza#populismipic.twitter.com/37UXZSpbDV— Ora Basta (@giuslit) 8 gennaio 2017
Ma lo smantellamento del welfare a piccole dosi (prodianamente parlando), il perseguimento dell'alta disoccupazione strutturale per "concedere", come fosse un beneficio graziosamente elargito da volenterosi "amici del popolo" (ma detto sottovoce, "popolo", per non confondersi con i populisti...), il precariato e la deflazione salariale dai mille volti (dai contratti di solidarietà, ai voucher, alle riassunzioni dei licenziati ultracinquantenni, in nuovo regime "jobs act"), possono davvero essere "curati" e con esso il "populismo", muovendo dei rimproveri a...Renzi?
Non credo sia scandalo pagare lavoretti extra ai pensionati con i voucher. È scandalo pagare il 1º lavoro con i voucher. Pensione a 126anni! pic.twitter.com/bhM9MoFKzg— Nazario (@ARIZONA49) 7 gennaio 2017
6. In particolare si avanza il rimprovero di "non dire la verità alla cittadinanza".
Non sia mai che la si possa dire al "popolo sovrano", come invece scolpisce chiaramente l'articolo 1 della Costituzione, visto che, insomma, "popolo"è la radice di populismo; mentre la "sovranità", beh, è il "nemico della pace" (rimuovendo Rosa Luxemburg...e Lenin, pp.6-7; il che "a sinistra" non mi pare il massimo...) e, dunque, non è più "etico" parlarne, (specie dopo la Brexit!). Ma "rimosso" il primo e demonizzata la seconda, c'è qualcuno che può permettersi di dirla, 'sta verità, ove avesse già a lungo governato (in nome dell'euro e della sfida della globalizzazione)?
6.1. Ora, tra le soluzioni, Mucchetti indica il sistema proporzionale con adeguato sbarramento per evitare la frammentazione, "perché in Germania funziona". Ma il tutto è volto allo scopo di favorire le grandi coalizioni, "con il centro e il centrodestra costituzionali": come, come, come?
E da quando ci sarebbero anche un centro e un centro-destra "incostituzionali" e quale sarebbe il carattere discretivo? E poi: siamo sicuri che il sistema proporzionale (con sbarramento e magari un "piccolo" premio di maggioranza), contro il populismo che arriva misterioso e flambant neuf (ma davvero?), in Germania, realmente "funzioni" e possa continuare a farlo?
Non so perché, ma appare una posizione un po', come dire, wishful thinking, un espediente di auto-mantenimento al potere ad ogni costo; di certo una soluzione né stabile, nè tantomeno strutturale.
7. Su questo piano, Mucchetti fa qualche pallida concessione alla realtà (in rapido, quanto inarrestabile, deterioramento: e chissà perché):
"Le misure contro la povertà assoluta, appena annunciate dal ministro dell'Agricoltura (sarebbe toccato a Poletti parlarne, ma la concorrenza interna al partito...), non fanno mai male, e tuttavia risultano un palliativo rispetto al progetto per il Sostegno all'inclusione attiva elaborato da Enrico Giovannini e da Maria Cecilia Guerra; le prime costano un miliardo e sono coperte da una legge di bilancio che spezzetta tutto in mini provvedimenti (le "misure di sollievo" di cui sopra), l'altro e' un progetto universale, impegna e sfida le pubbliche amministrazioni nell'esecuzione e ne costa sette, di miliardi, e dunque richiede scelte di finanza pubblica coraggiose e potrebbe non pagare subito in termini elettorali, perché i destinatari spesso non votano".
8. Ma davvero inseguire il reddito di cittadinanza o il reddito di inclusione, e fare le solite scelte "coraggiose" (= tagli alla spesa pubblica) - cioè altrimenti detto, dolorose, che comprimono all'infinito il livello decrescente dei diritti..."incomprimibili"-, per costruire dei palliativi che, come ormai dovrebbe essere del tutto evidente,accelerano il problema della deflazione salariale e amplificano la diffusione della povertà, per fasce di età e classi sociali, anzicché risolverlo-, sarebbe una soluzione strutturale?
O non piuttosto una "resa" definitiva alla globalizzazione, e allo smantellamento della Costituzione, appena respinto da un pesante voto contrario del popolo ("popolo", anche se fa brutto menzionarlo)?
Non è un po'paradossale tentare di neutralizzare il dissenso che si è espresso con la difesa popolare della Costituzione (non populista, visto che s'è espresso il corpo elettorale...e non è un intruso della democrazia), attraverso la diretta e ulteriore distruzione del welfare tutelato dalla Costituzione (art.32 e 38 in relazione agli artt.1 e 4), e l'introduzione di un sedativo, che cristallizza la povertà, escogitato da von Hayek e Milton Friedman (v. qui, "Introduzione")?
"Sarebbe" sì paradossale, ma l'idea è che la Costituzione debba essere cambiata (c'è da supporre, sempre "per adeguarsi alla governance europea": what else?). E infatti: "Terza lezione: correggere la Costituzione solo laddove si registri la maggioranza dei due terzi in Parlamento così da rendere impossibile il referendum. Perché no?, mi dico facendo il cinicone".
Ma l'idea di una revisione della Costituzione che possa non essere il portato della deriva t€cnocratica della governabilitàe che risulti rafforzativa della garanzia dei diritti già esistenti e che, dunque, possa reggere il vaglio di una consultatione popolare, proprio no?
No: sarebbe populismo. Il corpo elettorale, per definizione, non può capire cosa veramente gli conviene...E non proporgli sacrifici e scelte dolorose sarebbe da destra xenofoba (e populista).
Non è un po'paradossale tentare di neutralizzare il dissenso che si è espresso con la difesa popolare della Costituzione (non populista, visto che s'è espresso il corpo elettorale...e non è un intruso della democrazia), attraverso la diretta e ulteriore distruzione del welfare tutelato dalla Costituzione (art.32 e 38 in relazione agli artt.1 e 4), e l'introduzione di un sedativo, che cristallizza la povertà, escogitato da von Hayek e Milton Friedman (v. qui, "Introduzione")?
"Sarebbe" sì paradossale, ma l'idea è che la Costituzione debba essere cambiata (c'è da supporre, sempre "per adeguarsi alla governance europea": what else?). E infatti: "Terza lezione: correggere la Costituzione solo laddove si registri la maggioranza dei due terzi in Parlamento così da rendere impossibile il referendum. Perché no?, mi dico facendo il cinicone".
Ma l'idea di una revisione della Costituzione che possa non essere il portato della deriva t€cnocratica della governabilitàe che risulti rafforzativa della garanzia dei diritti già esistenti e che, dunque, possa reggere il vaglio di una consultatione popolare, proprio no?
No: sarebbe populismo. Il corpo elettorale, per definizione, non può capire cosa veramente gli conviene...E non proporgli sacrifici e scelte dolorose sarebbe da destra xenofoba (e populista).
8.1. In tema di scelte dolorose, di inevitabili tagli alla spesa pubblica del welfare, prodianamente parlando, non basta che qualunque governo, anche muovendosi dentro le linee "coraggiose" e il "dire la verità alla cittadinanza", debba ora fronteggiare l'abrogazione della "mobilità" e la sua sostituzione con l'esile NASPI?
Un salto nel vuoto, della disperazione, per centinaia di migliaia di lavoratori che divengono, per di più, disoccupati "ufficiali", e che si aggiungeranno, a buon diritto, con tutte le loro famiglie, alla schiera della povertà assoluta, ergo bisognosa delle insufficienti "misure di sollievo", o del controproducente e hayekiano "reddito di inclusione".
Un salto nel vuoto, della disperazione, per centinaia di migliaia di lavoratori che divengono, per di più, disoccupati "ufficiali", e che si aggiungeranno, a buon diritto, con tutte le loro famiglie, alla schiera della povertà assoluta, ergo bisognosa delle insufficienti "misure di sollievo", o del controproducente e hayekiano "reddito di inclusione".
8.2. Non sarà che l'unica verità da dire "alla cittadinanza" non può che coincidere con quella enunciata dai tedeschi e ben precisata, con più drastica esplicitazione di quanto detto da Prodi, da David Folkerts-Landau, capo economista di Deutsche Bank ("a fondo e repentinamente")?

Sempre raccordato con la versione, attualizzata, del neo-realismo politico indicato da Prodi (pur sempre fiero della "€ntrata"):
