
1. Cerchiamo di percepire le cose dalla "giusta distanza", avendo razionalmente a riferimento lo scenario complessivo degli avvenimenti economico-istituzionali in fieri sulla scena L€uropea. Merkel-Schulz oggi stravinceranno, sapendo in anticipo che la Große Koalition si "ha da fare".
Soprattutto perché non ci sono sostanziali differenze tra le politiche economiche ordoliberiste (in continuità mercantilista, rispetto a L€uropa), che intendono perseguire i due rispettivi partitoni filo€uropeisti.
Questa convenienza prioritaria a stare insi€me - dopo qualche il rituale balletto nelle trattative per formare il governo (da tirare per le lunghe quanto basta in una tradizionale cosmesi)- può essere sintetizzata da questo slogan elettorale abilmente utilizzato:
"Rafforzare l'Europa significa rafforzare la Germania"— Massimo D'Antoni (@maxdantoni) 23 settembre 2017
Non si può dire che da quelle parti non abbiano le idee chiare pic.twitter.com/0GOWjUoo2K
2. Come dovremmo ormai sapere, appena messa nel sacco la conferma dell'attuale "governabilità", la Germania, assicuratasi l'essenziale appoggio di Macron (cioè delle elites francesi; sarebbe troppo dire "della Francia"), passerà alla fase accelerativa delle riforme dei trattati in senso ancor più stringente dell'antisolidarietà interstatale che li caratterizza, passando a un regime finanziar-poliziesco ancora più duro e colpevolizzatore dei paesi che difettino di una competitività millimetricamente modellata su quella tedesca.
E' da presumere che, qualunque sia l'attuale orientamento governativo e, inoltre, qualsiasi sia l'esito delle prossime elezioni, i "negoziatori" pro-tempore italiani appoggeranno senza sostanziali riserve questa riforma: sì, verrà fatta qualche obiezione, ma la sostanza sarà valutata positivamente, dato che tutti i principali rappresentanti politici, tutti gli espertologi chiamati in causa, e tutti i media, concordano già ora sul fatto che il problema è l'enorme debito pubblico, e che è giunto il momento di affrontarlo con decisione per...promuovere e favorire "la ripresa".
E infatti, con grottesca coerenza, gli parrà naturale accelerare l'insostenibilità di tale debito pubblico, accettando il rating dei titoli del debito (risk weighted), come pure, astutamente, l'incremento di contribuzione (netta) al neo-bilancio federale dedito alle condizionalità...
2.1. Insomma, dentro la moneta unica, i dogmi del liberoscambismo, della crescita senza "puntare" sulla domanda interna, e la logica della scarsità di risorse, - in pratica la Hazard Circular- tengono in pugno le istituzioni di tutti i paesi coivolti nell'eurozona e i relativi partiti sono ridotti a fedeli esecutori di questa "madre di tutti i dogmi" (antidemocratici), costantemente ritirata fuori in ogni fase cruciale del capitalismo.
3. Proprio perché parla della Hazard Circular e del suo ruolo essenziale all'interno del "federalismo interstatale", - assunto come inevitabilmente omogeneo a qualsiasi federalismo- riporto questo commento di Bazaar, che non solo ci delinea sinteticamente la genesi storica del modello politico-sociale che stiamo subendo, in tutto l'Occidente sottoposto all'ombrello atlantista (v. la "premessa), ma anche le sue proiezioni in un prossimo futuro.
Storicamente, la ricostruzione di Bazaar, prende le mosse dalla guerra civile USA di Secessione, le cui fratture furono, in parte, ricomposte proprio introducendo la "solidarietà" FISCALE centralizzata, nello Stato federale, cioè nello US Governement, così odiato dagli anarco-liberisti e dai tea-party, ma pure dai mondialisti "liberal", in vista dell'agognato momento in cui tutto il globo sarà governato da ONG private controllate da ESSI.
Quella stessa solidarietà fiscale - c.d. "di trasferimenti", che in realtà, secondo la nostra Costituzione, dovrebbe comporsi di politiche di investimento e industriali di interesse comune a tutta la Nazione (v. qui, p.4) - che il federalismo L€uropeo, come pure quelli "local-secessionisti", si fanno un punto d'onore di voler eliminare:
"Chang fa notare che il fronte liberoscambista è rappresentato dagli stati del sud, economicamente fondati su schiavitù e latifondi e, di conseguenza, strutturalmente collaborazionisti coi britannici a causa dei "vantaggi comparati".
Tanto che il "partito sudista" era pubblicamente tacciato di essere filobritannico.
Chiaramente, il problema di annichilire la forte aspirazione democratica dei singoli stati nazionali nordamericaniprima di essere vincolati dalla federazione - che erano oggettivamente molto libertari rispetto allo stato oppressivo che la putrida "nobiltà" imponeva ai popoli europea - concentrava la discussione dell'élite americana proprio intorno al "check & balance" per produrre istituzioni "federali" che garantissero l'alternanza, nella dialettica governo-opposizioni, tra interessi della proprietà terriera del sud e della borghesia mercantile del nord.
Contemperando la comune esigenza di non permettere strutturalmente la solidarietà di classe dei lavoratori, e, quindi, la democrazia, tramite la natura divisiva della grande federazione, ed i suoi corollari di inconciliabilità di interessi molto diversi tra ceti che avrebbero gli stessi interessi di classe. Ossia, il federalismo nasce con l'intento di provocare artificialmente conflitti sezionali non di classe. Così, la sanior pars, può governare indisturbata esclusivamente su indiscutibili ed eticissimi "principi".
La tradizione hamiltoniana liberista ma non liberoscambista, volta a proteggere l'infant capitalism del nord, troverà poi naturale sbocco con Lincoln.
Certo è che la dottrina Monroe segna l'indipendenza nazionale degli USA che, in qualche modo, possono sviluppare la propria industria nazionale ed essere loro ad imporre il "libero scambio" agli altri.
Infatti, dalla Hazard Circular del 1862, si evince che al capitale britannico sta bene che gli USA si emancipino definitivamente e non rimangano ad esportare patate e cotone - come vorrebbe la logica ricardiana di specializzazione - poiché de facto hanno dimostrato la forza per entrare nell'élite delle "potenze imperialiste". Aboliscano pure la schiavitù ma che si attengano totalmente al "protocollo" liberale: scarsità delle risorse tramite controllo privatistico dell'emissione monetaria (v. "macroregioni" L€uropee). Che Lincoln la pianti col "crimine" di soddisfare la domanda di denaro per lo sviluppo dell'economia. Non si vorrà mica rischiare di arricchirsi tutti e far finire l'ordine secolare che permette esorbitanti privilegi ai pochissimi, no?
Schmitt si sgola per decenni a dire, poi, che ogni volta che si parla di Occidente e occidentali, si parla sempre e solo di dottrina Monroe.
Quando l'Occidente avrà compreso Russia, Iran, Corea del Nord, Siria e Cina... bè, anche degli USA non ci sarà più bisogno. Tutto sarà Occidente per la gioa del Grande Oriente. E, come sapevano i Founding Fathers, l'umanità si schiavizzerà in un'impersonale tirannia a cui non parteciperanno neanche le stesse élite con la loro infantile vocazione mondialista".
Tanto che il "partito sudista" era pubblicamente tacciato di essere filobritannico.
Chiaramente, il problema di annichilire la forte aspirazione democratica dei singoli stati nazionali nordamericaniprima di essere vincolati dalla federazione - che erano oggettivamente molto libertari rispetto allo stato oppressivo che la putrida "nobiltà" imponeva ai popoli europea - concentrava la discussione dell'élite americana proprio intorno al "check & balance" per produrre istituzioni "federali" che garantissero l'alternanza, nella dialettica governo-opposizioni, tra interessi della proprietà terriera del sud e della borghesia mercantile del nord.
Contemperando la comune esigenza di non permettere strutturalmente la solidarietà di classe dei lavoratori, e, quindi, la democrazia, tramite la natura divisiva della grande federazione, ed i suoi corollari di inconciliabilità di interessi molto diversi tra ceti che avrebbero gli stessi interessi di classe. Ossia, il federalismo nasce con l'intento di provocare artificialmente conflitti sezionali non di classe. Così, la sanior pars, può governare indisturbata esclusivamente su indiscutibili ed eticissimi "principi".
La tradizione hamiltoniana liberista ma non liberoscambista, volta a proteggere l'infant capitalism del nord, troverà poi naturale sbocco con Lincoln.
Certo è che la dottrina Monroe segna l'indipendenza nazionale degli USA che, in qualche modo, possono sviluppare la propria industria nazionale ed essere loro ad imporre il "libero scambio" agli altri.
Infatti, dalla Hazard Circular del 1862, si evince che al capitale britannico sta bene che gli USA si emancipino definitivamente e non rimangano ad esportare patate e cotone - come vorrebbe la logica ricardiana di specializzazione - poiché de facto hanno dimostrato la forza per entrare nell'élite delle "potenze imperialiste". Aboliscano pure la schiavitù ma che si attengano totalmente al "protocollo" liberale: scarsità delle risorse tramite controllo privatistico dell'emissione monetaria (v. "macroregioni" L€uropee). Che Lincoln la pianti col "crimine" di soddisfare la domanda di denaro per lo sviluppo dell'economia. Non si vorrà mica rischiare di arricchirsi tutti e far finire l'ordine secolare che permette esorbitanti privilegi ai pochissimi, no?
Schmitt si sgola per decenni a dire, poi, che ogni volta che si parla di Occidente e occidentali, si parla sempre e solo di dottrina Monroe.
Quando l'Occidente avrà compreso Russia, Iran, Corea del Nord, Siria e Cina... bè, anche degli USA non ci sarà più bisogno. Tutto sarà Occidente per la gioa del Grande Oriente. E, come sapevano i Founding Fathers, l'umanità si schiavizzerà in un'impersonale tirannia a cui non parteciperanno neanche le stesse élite con la loro infantile vocazione mondialista".