
Adolf Hitler inaugura i lavori per la costruzione dell’autostrada da Francoforte a Heidelberg il 23 settembre 1933.
1. Sempre accorpando in un'unica esposizione organica le ricostruzioni di Arturo (ex Tooze) sul "pensiero economico di Hitler" (è ovvio che occorra leggere questo post insieme col precedente), veniamo ad altri interessanti aspetti che ci ricordano da vicino.
2. Cominciamo dal luogo comune di "Hitler keynesiano" e da come, in coerenza con la visione ("Popolo tedesco: esporta o perirai!") mostrata nel discorso al Reichstag del 1939 (riportato nel precedente post, p.7), egli concepisse la disciplina e il mercato del lavoro:
"Mi pare una buona occasione per un po’ di sano debunking del tanto persistente, quanto infondato, mito dell’”Hitler keynesiano”. Un accostamento ingiurioso che credo non abbia stufato solo me. Vediamo se con l’aiuto del lavoro di Tooze (che mi pare abbastanza autorevole…) riusciamo almeno a mettere un po’ di sabbia nell’ingranaggio dello spin.
Ne ho già fatto uso in passato parlando di una fase più avanzata del regime, ma torniamo alle origini.
Vediamo quindi di chiarire un po’ gli antefatti del famoso “piano di lavoro” di Hitler.
(Tooze, pagg. 24-5): “La creazione di posti di lavoro emerse come argomento di intensa discussione all'interno dell'estrema destra politica tedesca solo nella seconda metà del 1931.
Il partito nazista non adottò la creazione di lavoro come momento chiave del proprio programma fino alla tarda primavera del 1932, e mantenne questa posizione solo per 18 mesi, fino al dicembre 1933, allorché la spesa per la creazione di lavoro nel settore civile fu formalmente rimossa dalle priorità del governo di Hitler.
Nonostante i proclami della propaganda di Goebbels e la preoccupazione dei commentatori e storici venuti successivamente a tale epoca, le misure di creazione del lavoro nel settore civile smisero chiaramente di essere un elemento fondamentale dell'agenda della coalizione nazionalista che prese il potere nel gennaio del 1933.
In effetti, tra i partners della coalizione del gennaio 1933, la creazione di lavoro era altamente divisiva. Misure agevolative del credito furono ferocemente contrastate da Hugenberg, leader del DNVP, partner indispensabile della coalizione guidata da Hitler.
La creazione di lavoro era vista con sospetto anche dai circoli di banchieri e imprenditoriali vicini al partito nazista, che su questa questione avevano un portavoce in Hjalmar Schacht.
[Un politica di pieno impiego] risultava in acuto contrasto con le tre questioni che avevano veramente unito la destra nazionalista e che avevano reso possibile il governo di Hitler del gennaio 1933: la tripla priorità del riarmo, del ripudio del debito estero della Germania e del preservare l'agricultura tedesca.
Queste erano le convergenze che avevano dominato l'agenda della destra fin dagli anni '20. Dopo il 1933 esse assunsero, se necessario, a spese della creazione di lavoro, la priorità. Fu l'azione di Hitler su questi tre aspetti e non l'espansione occupazionaleche contradddistinse la linea di demarcazione tra Weimar Republic e Terzo Reich.”
Pag. 55: “Sotto ogni punto di vista, tranne quello della propaganda, le misure creative di lavoro nel settore civile del 1933 furono depotenziate dalle decisioni assunte sul riarmo e sul debito estero.
Il pacchetto di provvedimenti sulla spesa militare eccedeva di gran lunga qualsiasi preoccupazione per la creazione di lavoro civile. Secondo l'accordo del giugno 1933, la spesa militare doveva essere quasi tre volte maggiore della somma di tutte le misure annunciate nel 1932 e nel 1933 per la creazione di lavoro nel settore civile.”
4. "E se la disoccupazione certo diminuì e il PIL tornò a crescere non bisogna credere neanche per un attimo che della ripresa i lavoratori tedeschi abbiano visto più che le briciole. Anche qui, come nel caso del fascismo, i più eloquenti sono i dati sui consumi.
Pag. 65: “Nel 1935 il consumo privato era ancora del 7% al di sotto dei livelli anteriori alla Depressione e gli investimenti privati era sotto del 22%. In contrasto con ciò, la spesa pubblica statale era del 70% superiore a quanto fosse nel 1928, e l'aumento era quasi interamente dovuto alla spesa militare.” (E vedremo subito come associare la spesa militare a "politiche keynesiane" sia un frequente e mai abbandonato errore di comprensione del modello keynesiano).
4.1. "I tedeschi, dunque, stavano meglio come condizioni salariali e di tutela del lavoro? I dati storico-economici smentiscono pure questa ulteriore vulgata. Coi più "banali" degli indicatori; proprio quelli che oggi sono tornati...fuori moda.
"A questo punto non è difficile immaginare la dinamica di salari e profitti (pagg. 108-9): “La combinazione di una domanda interna in crescita, l'orientamento alla competizione sull'estero, prezzi crescenti e salari relativamente statici[il che vuol dire, come aveva precisato a pagina 64, che “ i salari reali di molti lavoratori decrebbero drasticamente nel 1933, poichè i salari ristagnavano e i prezzi alimentari cominciarono a salire”] creò un contesto nel quale era difficile non ricavarne alti profitti".
"In effetti, al 1934, i bonuses pagati ai consigli di amministrazione di alcune società risultarono così spettacolari che provocarono un acuto imbarazzo al governo di Hitler. Alla luce dei ben più modesti incrementi nei redditi dei lavoratori, sembrò che i comunisti e i socialdemocratici segnassero un punto a proprio favore. The Nazi regime era una 'dittatura dei Capi'.”
5. Questo sta scritto sul più importante saggio di storia economica sul Terzo Reich uscito negli ultimi 10 e passa anni.
Ovvero, se, come ci ricorda Barba, lo scopo delle politiche keynesiane è quello di aumentare la propensione al consumo della società nel suo complesso per accrescerne il prodotto, come aveva detto giustamente Quarantotto, altro che Hitler keynesiano: riarmo über alles.
La differenza col fascismo, se dovessi provare a sintetizzarla in due parole, sta nella situazione economica mondiale:mentre negli anni ’20 si trattava di schiantare il movimento politico e sindacale dei lavoratori al fine di superare un’impasse politica avversa all’imposizione dell’austerità necessaria per ripristinare le “regole del gioco” del gold standard, in Germania si trattava di realizzare lo stesso obiettivo repressivo per rendere politicamente accettabili al grande capitale i salvataggi che gli erano necessari a causa della sottovaluazione degli effetti distruttivi dell’austerità a cui aveva poco prima plaudito, in un contesto internazionale in cui il “gioco”, di cui era stato entusiastico sostenitore, era crollato.
Certo, dal loro punto di vista (dei capitalisti tedeschi) si trattava di un regime transitorio (ma questo era vero pure per la classe dirigente liberale rispetto al fascismo).
6. Ancora Tooze, sugli antecedenti "austeri" dei partiti nazionalisti (che appoggiarono Hitler), già nella fase di Weimar pag. 104: “Sebbene mai completamente tacitati, gli ultranazionalisti era in minoranza e il Reichsverband (gruppo/coalizione di governo) usò la sua influenza per assicurarsi che un numero sufficiente di deputati del DNVP votassero col governo per approvare il primo Piano Dawes nel 1924 e il Piano Young nel 1930. Inoltre, il partito nazionalista del popolo tedesco (DNVP) sostenne entusiasticamente l'agenda internazionale liberoscambista promossa dai ministri del Reich per gli affari economici e quelli esteri alla Lega delle Nazioni.”
Il dato storico di questa posizione dei nazionalisti (ben anteriore alla scelta del riarmo) non va trascurato per la sua oggettiva coincidenza con la linea attuale della Germania.
6.1. Ed infatti:
Pag. 105: “Non sorprendentemente, perciò, [il partito nazionalista] diede supporto entusiastico al Cancelliere Bruening quando, nella primavera del 1930, promise di soddisfare sia l'agenda domestica che quella internazionale allo stesso tempo.
Col flusso di capitale straniero temporaneamente arrestatosi, adempiere ai termini del Piano Young richiedeva un severo programma di deflazione interna, che a sua volta pose Bruening in grado di muovere vero l'inversione di tendenza sul piano interno, - il cosiddetto 'domestic Young Plan' - che le imprese avevano a lungo bramato.
Quello che la German business lobby, insieme con la maggioranza degli esperti formatisi nell'esperienza economica (al tempo) convenzionale, non compresero, era la gravità della crisi interna e internazionale che ciò avrebbe scatenato.” E se anche ciò fosse stato compreso in seguito (ove mai accettate le spiegazioni keynesiane sulla crisi del 1929) di certo oggi questa comprensione è stata del tutto rimossa.
7. Ma persino Hitler doveva temere che queste politiche potessero condurre a un "certo" scontento sociale...
"Come uscirne senza concedere niente al lavoro?
Ecco un Hitler pronto alla bisogna (Tooze, pag. 102): “La riunione del 20 febbraio 1933 e i suoi esiti sono il più noto esempio della volonta delle imprese tedesche di assistere Hitler nel fondare il suo regime dittatoriale. A tale evidenza non ci si può sottrarre.
Nulla suggerisce che i leaders delle grandi industrie tedesche fossero pieni di ardore ideologico per il nazionalsocialismo,prima o dopo il febbraio del 1933. Nè Hitler richiese a Krupp & Co. di sottoscrivere un programma di violento antisemitismo o per una guerra di conquista.
Il discorso che Hitler tenne agli imprenditori nella villa di Goering non era il discorso che aveva tenuto coi generali poche settimane prima, nel quale aveva apertamente parlato di riarmo e del bisogno di espansione territoriale. Ma ciò che Hitler e il suo governo promisero fu la fine della democrazia parlamentare e la distruzione della sinistra in Germania e per questo la maggioranza dei grandi industriali tedeschi era desiderosa di investire un congruo acconto.”
In sostanza, direi, aveva ragione Kalecki su tutta la linea e anche di più.
Poi, certo, alla fine, ne ho già parlato, il giocattolo gli è sfuggito di mano. Poverini. (Noi)".
7.1. [Prosegue Arturo] Insomma, riprendendo sinteticamente questo post, direi che il punto non è liberismo vs. protezionismo, ma imperialismo vs. sovranità democratica (che potrà decidere il “dosaggio” “di protezionismo e liberismo”, come diceva Caffè, che conviene al benessere del popolo che la esercita, senza imposizioni e pregiudizio verso gli altri, e che si accompagni alla condivisione del sovrappiù, assicurando la stabilità del capitalismo. If, indeed, such a thing is possible…)."
8. Riassumendo: "Hitler keynesiano"è un misunderstanting infondato, se non in taluni casi apertamente malizioso, in cui si può incorrere solo per superficialità storica, politica e soprattutto economica.
Neppure la mitizzazione del programma di pubbliche infrastrutture del regime nazista regge a una seria disamina storico-fattuale (selezione compiuta sempre Arturo):
"E allora parliamo pure delle mitiche Autobahnen (Tooze, pagg. 45-7): “Nella mitologia della creazione di lavoro da parte del regime nazista, le autostrade occupano un posto speciale.
Ironicamente, comunque, le autobahns non furono mai concepite principalmente come misure di creazione del lavoro, e di fatto non contribuirono materialmente ad attenuare la disoccupazione.
Seguirono un logica non di creazione di lavoro, ma di ricostruzione nazionale e di riarmo, una logica che era tanto simbolica quanto pratica... […]
Il 23 settembre, nel sito del Frankfurt-Darmstadt building, Hitler e Goebbels misero su un grande spettacolo per le telecamere dei cinegiornali. Hitler fece più che dare il primo colpo di pala, riempì un'intera carriola. In pratica comunque,l'effetto del programma di opere autostradali sulla disoccupazione fu trascurabile. Nel 1933 nella prima tratta di autostrada, furono impiegati non più di 1000 lqvoratori. Dodici mesi dopo la nomina di Todt, la forza di lavoro impiegata nelle autostrade era di sole 38.000 unità, una minuscola frazione dei lavori creati da quando Hitler era asceso al potere”.
8.1 "Il notevole pregio del libro di Tooze, come di tutti i lavori di storia veramente buoni, è di ricostruire i fatti con estrema accuratezza. Questo consente di darne un’interpretazione, che dipende sempre dai modelli, implici o espliciti, di funzionamento della società e dell’economia usati dallo storico, più o meno diversa dalla sua.
Per esempio è certo che l’ideologia abbia avuto un ruolo molto importante nella parabola nazista, ma è altrettanto vero che bisogna riflettere attentamente sui fatti materiali, e le costellazioni di potere ad essi sottesi.
Per esempio, a proposito del Lebensraum ("spazio vitale"...secondo le esigenze autodefinite dai tedeschi con pretese bio-scientifiche), scrive lo stesso Tooze:
“La crescita economica non poteva essere presa per scontata e Hitler non fu senza dubbio l'unico a dirlo apertamente. Come s'è visto, la dottrina della vita economica come un campo di battaglia era già pienamente formata in Mein Kampf e nel 'Secondo Libro' di Hitler.
“La crescita economica non poteva essere presa per scontata e Hitler non fu senza dubbio l'unico a dirlo apertamente. Come s'è visto, la dottrina della vita economica come un campo di battaglia era già pienamente formata in Mein Kampf e nel 'Secondo Libro' di Hitler.
E questa visione darwinista fu soltanto incoraggiata dalla susseguente Grande Depressione. Data la densità di popolazione in Germania e l'insistenza di Hitler sulla inevitabilità del conflitto derivante dalla crescita export-led, la conquista del nuovo Lebensraum fu certamente uno strumento del crescente livello di reddito pro-capite della Germania".
9. Dunque, politiche economiche mercantiliste, come sempre preparatorie del free-trade e della crescita preferenziale export-led, garantita da posizioni di forza tecnologiche ma, prima ancora, di competitività di costo del lavoro, e dunque in compresenza di lavoro-merce: un elemento, quest'ultimo, garantito più dalla forza dello Stato militar-poliziesco che dalla più "tradizionale" preoccupazione (liberista) di dover mantenere il consueto livello "naturale" di (dis)occupazione.
Tutti questi elementi caratterizzano, prima e dopo l'ascesa al potere, ed in stretta aderenza al capitalismo liberista, il regime nazista.
Lo attesta la ricostruzione di Tooze (ma non solo, vedremo) con la sua accuratezza nella ricostruzione dei fatti e dei dati.
10. Una prima conclusione è possibile ritrarla: l'oggettiva sostanza, "sociale" e politico-economica, del regime hitleriano non differisce dall'attuale politica economica, altrettanto, se non più, export-led, della Germania.
E su questo non possiamo neppure dire che Tooze sia particolarmente "di parte" (cioè un indignato marxista-keynesiano, alla Kaldor o alla Kalecky).
Da un lato, infatti, abbiamo visto come un attento recensore della costante linea della politica economica tedesca - che sia l'ordoliberismo d'antan del secondo dopoguerra (US-sponsored), o il modello renano, o più ancora la svolta finanziarizzata verso l'investimento estero nella fase "eurozona",- come Halevi (p.5), evidenzi le stesse caratteristiche sopra viste.
E la sua ricostruzione converge con quella di uno storico dell'economia di sicuro segno ideologico opposto qual'è Eichengreen, nel parlare apertamente di corporativismo tedesco (v. p.2): un elemento costante che trascende la parentesi hitleriana e si radica piuttosto nello shock conseguente alla sconfitta nella prima guerra mondiale e alle "soluzioni" di Bruening.
Tra l'altro, la preponderante infuenza di tale "tradizione" spiega anche l'attuale disciplina degli artt.151, par.2, e 152 del TFUE , dei quali, inspiegabilmente e tutt'ora, sfugge l'evidente impronta corporativa (cioè apertamente e prioritariamente "competitiva", nel subordinare qualsiasi istanza sociale di tutela del lavoro all'export-led growth).
Dall'altro lato, poi, Tooze (accessibile anche in italiano), come vedremo nella prossima puntata, non sfugge nemmeno lui, come attento storico ma pur sempre di angolazione anglosassone (pur senza certo arrivare alle estreme conseguenze di von Mises), alla tentazione di una (sia pur raffinata) reductio ad Hitlerum.
11. Per l'appunto, nella parte 3a, cercheremo di dare risposta al problema delle cause e degli effetti, molto concreti ed attualissimi (in €uropa), della reductio ad Hitlerum (di cui, pure, ci ha parlato Bazaar, in termini di storia del pensiero moderno e contemporaneo, in quanto rendibile coerentemente dalle scienze sociali).
E possiamo anticipare un aspetto, mai trascurabile: la reductio ad Hitlerumè uno dei modi più comodi ed efficaci che ha il capitalismo di autoassolversi dalle tragedie ricorrenti provocate dalla sua ossessione per il gold standard. Che costituisce un filo conduttore che trascende le ideologie e i regimi che queste plasmano (elemento sovrastrutturale, pur capace di retroazioni sull'assetto materiale della società), se, con una certa "ingenuità" (interessata), non si ha riguardo alla permanenza della "struttura" dei rapporti di produzione cui si tende nei vari momenti storici.