
1. Ho una buona notizia e una cattiva.
Quella buona è che le risorse culturali per uscire dalla crisi sono definitivamente esaurite e, quindi, l'attuale assetto economico-istituzionale non è in grado di effettuare alcuna autocorrezione per evitare l'imminente accelerazione verso un collasso sociale, prima ancora che economico, senza precedenti nella storia occidentale.
La cattiva notizia è che l'assenza di risorse culturali non consente a nessun tipo di "decidente" di diagnosticare la disfunzionalità dell'assetto e determina, nei "subalterni" (transitoriamente rilevanti come corpo elettorale relegato al ruolo di "ratifica" dell'assetto perseguito impersonalmente dai "mercati"), la convinzione mediatizzata che la crisi sia superata e che il sistema sia divenuto sostenibile.
Oh sì, lo credono fermamente. Complimenti al sindacalista che ha controfirmato quel “piano”, che contiene, tra le altre cose, anche questi piccoli particolari. Ed è incentrato su “flessibilità” del lavoro. Auguri ai tesserati. pic.twitter.com/1tGcmMVxJQ— Valeria S. (@valy_s) 12 gennaio 2018
Ricordo a me stesso che il cessionario prevede, legittimamente, di guadagnarci e che dietro ogni #NPL ci sono persone e case, capannoni che finiranno all’asta. Risultato: Tribunali intasati, prezzi in calo e gente per strada. È il mercato, stupido! [semi cit.] pic.twitter.com/jRIiBeFleT— Ora Basta (@giuslit) 13 gennaio 2018
Più riforme e flessibilità del lavoro per irrobustire l’eurozona, ancora vulnerabile a shock esogeni.— Ora Basta (@giuslit) 12 gennaio 2018
Si, l’ha detto. pic.twitter.com/Dy6FOFvGU4
“Si tende a pensare”— G.G. (@giangoSGV) 12 gennaio 2018
( a pensare male si fa peccato, ma spesso ci si indovina ) pic.twitter.com/PxQlWkKweh
2. Il fatto è che la reistituzionalizzazione naturalistica di una massa di working poors che deve sistemicamente coincidere con l'intera popolazione come "condizione di equilibrio" (dei mercati: ovverosia di stabilizzazione irreversibile del potere istituzionale dell'oligarchia timocratica) finisce per produrre un processo in cui non la democrazia costituzionale, - obsoleta definizione ormai fuori dal dibattito politico in ogni sua versione (praticamente una fakenews da censurare formalmente al più presto)- ma la stessa predicabilità di un mondo diverso da quello ottocentesco, sono assolutamente, anzi: totalitaristicamente, fuori questione.
Un secolo di tragiche vicende adattative del capitalismo sfrenato, intessuto tra negazione radicale della configurabilità di una crisi "da domanda" e predicazione offertista di equilibri micro da assumere come fisiologia dell'equilibrio generale, è passato invano.
I filosofi, sociologi, politologi e opinionisti vari hanno ormai sfondato le linee del fronte della legalità costituzionale ridotta a fastidiosa celebrazione commemorativa di un caro estinto.
3. Mai come ora, allorché si celebra il tempo delle "competenze" come nominalismo dialettico che legittima la colpevolizzazione morale degli schiavi, la scientificità rifluisce nel campo dell'archeologia cognitiva, cioè nel dimenticatoio dell'irrilevanza brutalmente irrisa:
"Mi pare la stessa distinzione individuata da Thomas Palley, nel suo libro, fra textbook e structural Keynesianism:
"Il textbook Keynesianism (Keyenesismo da manuale) assume il sistema economico come "dato" e guarda a come rattoppare i problemi.
Filosoficamente, è strettamente connesso alla MIT microeconomics nel concepire fasi di flessione e recessioni economiche (downturns) come il risultato di disturbi temporanei che richiedono tempo per un aggiustamento a causa di frizioni di mercato che impediscono a prezzi e retribuzioni di pervenire a un aggiustamento immediato.
Queste frizioni sono una forma di market failure, che connettono il textbook Keynesianism alla MIT microeconomics. Il ruolo delle politiche pubbliche è quello di intervenire temporaneamente e assistere (ndQ: "da spettatore") al processo di aggiustamento.
[...]
Il textbook Keynesianism riconosce il ruolo centrale della domanda aggregata nel determinare l'attività economica. Il suo focus si appunta sul “livello della domanda aggregata" e le recessioni sono spiegate come il risultato di temporanee carenze di domanda.
Il textbook Keynesianism riconosce il ruolo centrale della domanda aggregata nel determinare l'attività economica. Il suo focus si appunta sul “livello della domanda aggregata" e le recessioni sono spiegate come il risultato di temporanee carenze di domanda.
Quando un'economia va in recessione, il textbook Keynesianism raccomanda di applicare un intervento di rattoppamento via intervento pubblico (policy patch) che accresca temporaneamente la domanda.
Ciò include misure come tassi di interesse più bassi per stimolare la spesa privata e l'aumento della spesa pubblica o i tagli alla imposizione che aumentano il deficit pubblico. In condizioni normali, queste politiche di innesco (dello) stimolo (pump-priming) possono accelerare il ritorno alla piena occupazione.
Lo Structural Keynesianism aggiunge una preoccupazione addizionale, relativa al "processo generativo della domanda" sottostante (underlying “demand generating process,”) che è il prodotto del sistema economico.
La sua prospettiva sul processo economico è dinamica ed è anche correlata alla distribuzione del reddito.
Le recessioni possono essere dovute a dei declini temporanei nella domanda del settore privato, ma possono anche essere attribuite a carenze del processo di generazione della domanda.
In questo caso, l'economia sperimenterà una prolungata stagnazione e persino una depressione come accadde negli anni '30 del '900 e come potrebbe ora accadere di nuovo.
E' questa idea della carenza di domanda "sistemica" in contrapposizione a quella "temporanea" che distingue lo structural Keynesianism dal textbook Keynesianism." (Thomas Palley, From Financial Crisis to Stagnation, New York, Cambridge University Press, 2012, s.p.)."
4. Proiettando questo colossale problema "diagnostico", nonché ovviamente, e di conseguenza, di capacità culturale di (auto)valutazione degli effetti strutturali delle politiche perseguite per anni (o decenni, sia pure con gradualità "strategica"), sul panorama delle prossime elezioni, la conclusione rimane questa, (se si comprende il ruolo della "intenzionalità" nel determinare la realtà effettuale, così come il linguaggio che aspirerebbe a descriverla):
Attenzione: dire che queste elezioni saranno "inutili" (come fatto politico istituzionale determinativo del MUTAMENTO dell'indirizzo politico) non implica che lo sarà altrettanto il trascorrere del tempo, lungo il quale si verificheranno, in momenti non esattamente prevedibili, gli eventi inevitabilmente corrispondenti alle forze che ESSI hanno messo in gioco e che avranno diretti riflessi sull'Italia.
In pratica: un processo (dialettico: di composizione di forze antagoniste) è comunque in svolgimento.
Ma queste elezioni non sono, - per premesse, "agenti" coinvolti, e contenuti-, il frutto di una "intenzione" anticiclica (in senso storico), dato che l'intenzionalità corrispondente alla coscienza ("democratica, nazionale e di classe", se vogliamo chiamare le cose col loro nome) degli italiani è incompiuta e minoritaria.
Insomma, il voto non potrà che essere pro-ciclico, cioè una forza propulsiva del vecchio ciclo: ma proprio per questo ne potrà affrettare il compimento e l'inversione verso il nuovo ciclo.