La vicenda di Ciproè indicativa di un metodo.
Il metodo è il seguente: la forza bruta dei mercati, organizzata in istituzioni sovranazionali composte da esponenti del mondo bancario-finanziario, designati all'interno della relativa comunità di privati stakeholders, da governi composti e comunque istituzionalmente condizionati da tali stakeholders, decide le vite dei cittadini di uno Stato (formalmente) democratico, fino a intaccarne gli interessi materiali più direttamente legati al benessere "minimo e fondamentale".
E non si tratta solo del fatto che viene imposto un prelievo considerevole di risparmio. Si impone la convocazione del parlamento nazionale per ratificare, senza alcun margine di scelta politica, un assetto predeterminato da tali istituzioni sovranazionali. Per far precipitare poi automaticamente il paese coinvolto in una recessione che, come insegna il caso Grecia, non sarà controllabile; questo con le istituzioni democratiche esautorate da ogni ruolo che non sia la trattativa sul quando e quanto realizzare le misure ulteriori di "rientro" di una condizione di indebitamento (sempre e comunque verso i mercati) che tenderà sempre più ad aggravarsi.
Contemporaneamente altri Stati, egualmente senza alcuna possibilità di scelta, essendo ormai esaurita la propria sovranità politico-fiscale nella sovranità delle istituzioni sovranazionali rappresentative dei "mercati", dovranno parimenti aggravare la propria situazione di indebitamento per garantire, con i redditi (prelievo fiscale) e il patrimonio (relativo prelievo fiscale e distruzione di risparmio per via di vincoli di bilancio pubblico) dei propri cittadini, gli interessi privati dei mercati, rappresentati nelle medesime istituzioni sovranazionali. Tutto questo, infatti, pare condurre alla diretta aggressione del patrimonio dei cittadini dei paesi debitori e già precipitati in recessione a causa delle pretese dei paesi creditori, schermo, a loro volta, dei rispettivi sistemi bancari detentori della sovranità di fatto.
Cipro in realtà, a stare ai criteri imposti da queste istituzioni sovranazionali, che indicano nel debito pubblico (esposto sistematicamente ai mercati in virtù della adozione della dottrina "pura" dell'indipendenza della banca centrale all'interno di tale organizzazione sovranazionale) la causa principale della crisi, è nella stessa situazione della Germania all'indomani della crisi del 2008: debito pubblico al 70% del PIL e possibilità (teorica) di rifinanziamento statale del proprio sistema bancario in crisi. Una crisi determinata essenzialmente, al di là della comoda scusa del riciclaggio di denaro illecito della malavita organizzata russa (fenomeno che coinvolge certamente altri paesi considerati virtuosi e non problematici), dall'esposizione del sistema bancario cipriota sul debito pubblico greco, inservibile come collaterale per ottenere credito, proprio a causa dello stesso metodo sovranazionale adottato per il rientro del debito privato di quel paese.
La Germania invece aveva registrato le voragini nei bilanci bancari (peraltro tutt'ora in buona parte nascoste sotto il tappeto della virtù di facciata) a causa della spericolata esposizione speculativa sui derivati.
"I nostri cari amici tedeschi (le classi dominanti, non di certo i lavoratori, sia chiaro) non sono nuovi a questo tipo di leggerezze. Ben sappiamo come il contribuente tedesco abbia praticamente salvato una dopo l’altra le banche tedesche in difficoltà quali Hypo Real Estate con 140 miliardi elargiti sull’unghia, Commerzbank per altri svariati miliardi e le varie Landesbanken e Sparkassen azzoppate dalle rischiose operazioni nell’Est Europeo o sui mutui ipotecari americani, di cui sono state, a livello europeo, le più voraci procacciatrici.
Effettivamente, come si riscontra leggendo Panorama e come deve notare la stessa Repubblica, di certo non avvezza a queste rivelazioni, non è difficile notare come il “guardiano dell’UEM”, la tanto laboriosa e produttiva Germania che traina il pericolante carro dell’Eurozona e ne porta saggiamente in mano le redini, a conti fatti, sia un gigante dai piedi di pasta frolla (o marzipan?), con una esposizione al credito inesigibile americano abnorme ed una sofferenza nel settore periferico dell’Eurozona pari a 704 miliardi di dollari (circa 550 miliardi di euro al cambio attuale)."
Ma al di là delle differenze in termini di "moral hazard" (certamente più immorale nel caso dei tedeschi), Cipro, nella logica incongruente della "Europa=euro", dovrebbe potersi salvare da sola aumentando il debito pubblico come ha fatto la Germania.
Oppure dovrebbe potersi salvare da sola aumentando il proprio debito pubblico utilizzando il sistema dell'Outright Monetary Transaction di Draghi, tanto decantata come soluzione della crisi della moneta unica e mai utilizzata nella pratica, rimanendo quella "tigre di carta" paventata dal Financial Times e dall'Economist.
Oppure poteva salvarsi col sistema Irlandese: fruire, tramite la banca centrale cipriota di nuova liquidità gravante sul balance sheet della BCE, da utilizzare per capitalizzare una neo-istituzione bancaria (pubblica), inglobante quelle in crisi, avendo in cambio promissory notes dello Stato cipriota, da restituire in comode rate di debito pubblico; salvo poi, com'è clamorosamente accaduto nel caso irlandese, ricontrattare scadenze e restituzioni direttamente a carico di titoli del debito pubblico molto "speciali" (a scadenze lunghissime, un vero haircut de facto), cioè sottoscritti direttamente e autonomamente dalla banca centrale (irlandese), in violazione dell'art.123 "fatidico" del Trattato (TFUE) e completamente sostitutivi della stesse promissory notes.
Ma è inutile sottilizzare sulle assurde geometrie di un sistema UEM impazzito nell'autoritarismo "creditorio-bancario" in varie versioni e gradazioni.
Quello che conta, a questo punto, è che, pur trovandosi l'Italia in posizione di paese virtuoso per ammontare del deficit pubblico (tranne rispetto alla Germania che non dovrebbe esserlo, se fosse cooperativa...appunto) e dell'avanzo primario, l'obbligo europeo a innalzare ulteriormente il suo debito (e lo sforamento del suo indebitamento annuale programmato), per la demenziale condizionalità del pareggio di bilancio costituzionalizzato (prima nella pretesa costituzione-trattato UEM e poi in quella nazionale), provocherà esigenze di copertura (o rialzo degli spread, il che ai fini contabili è lo stesso) tali da aggravare ulteriormente la recessione, che già si preannunzia fuori controllo. Come avevamo puntualmente previsto e proprio con riferimento al "fattore Cipro".
E ciò con tutto il suo funesto corollario di mortalità a catena di imprese, aumento della disoccupazione, e aggravamento dei conti pubblici che vanifica la presunta efficacia dell'austerità espansiva precisata dai giannizzeri del sultano bancario che governa l'UEM.
Ricordiamo allora come Mortati aveva prefigurato, in sede di Assemblea Costituente, il diritto di resistenza costituzionale, come diritto "naturale" pregiuridico e implicito nella Costituzione (ipotizzato nel non recepito art.30 del progetto):
"Con questo articolo si vuole individuare un caso particolare: quello, cioè, in cui i supremi poteri dello Stato opprimono la libertà, quando cioè siano eliminate, o non funzionino tutte le garanzie di carattere giuridico costituzionale. Noi abbiamo creato un insieme di garanzie atte a preservare dalla violazione dei diritti anche di fronte ai supremi organi dello Stato.
Ora quando si verifichi l'ipotesi che tutte queste garanzie siano esaurite e quando la stessa Corte costituzionale abbia convalidato — con la sua sentenza l'atto arbitrario della pubblica autorità, in questo caso il cittadino — secondo il significato della disposizione proposta — non deve acquietarsi alla violazione dei diritti supremi, garantiti dalla Costituzione come inviolabili, ma deve ribellarsi.
Intesa in questo senso la disposizione, ci si deve chiedere: è opportuno che essa sia inserita nella Costituzione?
Circa la sostanziale esattezza e, vorrei dire, la santità di questo principio, nessuno potrebbe sollevare delle obiezioni, e tanto meno noi cattolici, poiché è tradizionale nel pensiero cattolico l'ammissione del diritto naturale alla ribellione contro il tiranno. Ci sono scrittori cattolici che riconoscono la legittimità perfino della soppressione del tiranno. Quindi non è al principio che noi ci opponiamo, ma alla inserzione nella Costituzione di esso, e ciò perché a nostro avviso il principio stesso riveste carattere metagiuridico, e mancano, nel congegno costituzionale, i mezzi e le possibilità di accertare quando il cittadino eserciti una legittima ribellione al diritto e quando invece questa sia da ritenere illegittima.
Siamo condotti con questa disposizione sul terreno del fatto, e pertanto su un campo estraneo alla regolamentazione giuridica."
Ora dobbiamo rammentare che sebbene non possiamo ancora dire se la nostra Corte costituzionale abbia convalidato questa serie insensata e arbitraria di atti limitativi dei principi fondamentali della Costituzione imputabili alle autorità di governo, esistono vari elementi decisivi che rendono molto difficile l'attivazione di questa garanzia di "ultima istanza":
1) il fattore tempo: occorrerebbe che una serie di pronunce fosse adottata in tempi tali da non vanificare la loro stessa efficacia pratica, per avvenuta consumazione della stessa distruzione del sistema economico, industriale e occupazionale italiano;
2) la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio, che obbligherebbe, per la prima volta nella sua storia, la Corte a prendere posizione su una norma costituzionale proveniente dal procedimento di revisione, operanto quel sindacato interno alla Costituzione sul conflitto tra norme di principio intangibili, quelle di cui parla espressamente Calamandrei, e fonte costituzionale "derivata";
3) la pronuncia della Corte di giustizia europea che esclude ogni profilo di illegittimità dell'ESM e, per assorbimento, della stessa variazione delle clausole del trattato legata al c.d. six packs, cioè al pareggio di bilancio; e, in tal caso, la Corte nazionale dovrebbe sindacare, in senso negativo e sempre per la prima volta, i limiti di intrusione del diritto europeo sui principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, operazione che, come abbiamo visto, può riuscire solo a condizione di:
a) dotarsi di una capacità di lettura della "attendibilità" macroeconomica delle previsioni europee nel loro impatto sui principi fondamentali;
b) essere capace di una visione di insieme, e non analitica (cioè portata sugli effetti di una singola previsione europea scissi dal contestuale effetto di tutto il sistema UEM).
Quindi:
Quindi:
- Una volta preso atto della pratica disattivazione della "estrema garanzia" della giurisdizione costituzionale, se non altro per la sua incertezza di esiti nel contesto attuale e, più ancora, per l'elemento temporale della sua tempestività, nel prevenire un timing distruttivo per il benessere dei cittadini italiani e la stessa sopravvivenza del patto fondamentale che li lega reciprocamente;
- una volta preso atto della assoluta indifferenza su questi temi dell'intero arco dei partiti che oggi siedono in Parlamento - tutti variamente orientati a sostenere il vincolo euro(peo) "whatever it takes", ovvero a colpevolizzare per la crisi la comunità nazionale, invertendo la percezione del suo meccanismo causa-effetto;
- non rimane che prendere in considerazione l'eventualità dell'attivazione spontanea e diffusa del diritto di resistenza a difesa della Costituzione.
Questo, trattandosi dell'aggressione perpetrata attraverso lo svuotamento dei principi immutabili della Costituzione da parte di norme di origine internazionale, e in patente violazione dell'art.11 Cost., dovrebbe anzitutto esplicarsi nella creazione di un Comitato di Liberazione Nazionale, capace di riacquistare la capacità negoziale di cui i nostri governi si sono privati unilateralmente e senza riflettere sulla compatibilità costituzionale di ciò, e, quindi, di prendere contatto con analoghi organismi auspicabilmente sorti negli altri paesi interessati dal medesimo fenomeno distruttivo della sovranità popolare e dei principi fondamentali delle rispettive Costituzioni democratiche.
E' possibile immaginare una sensibilità diffusa di esperti (costituzionalisti, economisti) e cittadini "rappresentativi", esponenziali di una tale linea di salvezza in Italia e nei vari paesi dell'UEM?
Per quanto difficile, appare la unica vera possibile via d'uscita per il recupero della democrazia costituzionale (incombendo purtroppo anche vie d'uscita non democratiche e non rispettose della Costituzione).
E magari potrebbe spingere i governi a riconsiderare la propria posizione rispetto agli interessi costituzionali di cui sono istituzionalmente portatori, per riappropriarsi del dovere di esercitare la propria capacità negoziale in conformità a tali interessi (e non a quelli di potenze contrapposte e interessate solo a massimizzare il proprio disegno egemone sul piano di un anomalo ed autoritario diritto internazionale).
E magari potrebbe spingere i governi a riconsiderare la propria posizione rispetto agli interessi costituzionali di cui sono istituzionalmente portatori, per riappropriarsi del dovere di esercitare la propria capacità negoziale in conformità a tali interessi (e non a quelli di potenze contrapposte e interessate solo a massimizzare il proprio disegno egemone sul piano di un anomalo ed autoritario diritto internazionale).