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I TRATTATI IN CONTRASTO CON LA COSTITUZIONE. I PRIMI? BASSO E RUINI

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1. Sui "social", in particolare su twitter, ha avuto risalto, devo dire soprattutto nei "coloriti" commenti prevalenti, l'avvenuta pubblicazione di questo libro, recensito da Alessandro Somma su Micromega


2. Confesso che, personalmente, non ritengo che sia importante l'essere citato - nel libro o, piuttosto, nella recensione in questione- per aver detto ben prima cose (in parte: a quanto pare) analoghe, in due libri che muovono dal diritto costituzionale e allargano il proprio orizzonte alla consonanza del piano giuridico (specie se assunto nella voce e nella interpretazione "autentica" dei protagonisti della Costituente), con quanto esplicitamente sostenuto dagli economisti più importanti degli ultimi 150 anni.  Ma specialmente con quanto sostenuto dal mainstream neo-liberista (e costruttivista), che, in proiezione federal-€uropea, viene articolatamente generato dalla visione hayekiana, rilevante per la diffusione capillare preparatoria della sua "rivoluzione", per le "parentele" nazionali e internazionali (piuttosto risalenti ma mai dome..), e per paradigmi generali (qui, p.7.1.) ma anche per soluzioni pratiche, e anche molto istituzionalizzate.

3. Il libro non l'ho letto; ma dalla recensione di Somma, in più passaggi, vengono evidenziate delle insufficienze nella piena comprensione dei trattati (fin da quello del 1957) e più ancora della stessa Costituzione, nonché nelle conclusioni che ne vengono tratte. Cito solo, a titolo esemplificativo, questo passaggio
se davvero l’appartenenza all’Europa unita ha fatto scempio della Carta fondamentale, allora la soluzione non può essere quella abbozzata da Perotti: “un’inversione di tendenza” da ottenere con “la stessa tensione ideale, la stessa consapevolezza, la stessa assunzione di responsabilità che animò le donne e gli uomini della Resistenza”.
Attendere (fatalisticamente?) un'inversione di tendenza, è l'altra faccia della medaglia di una..."antica incomprensione". Un problema ampiamente diffuso a livello culturale.

4. Questo è solo uno dei passaggi criticati da Somma nella recensione. 
Se individuazione e valutazione delle premesse (valutazione in termini storici e giuridico-sociali, da compiere inevitabilmente nello svolgere questo tema) e dunque conseguenti conclusioni sono divergenti, vuol dire che l'autore ha esposto e valutato cose piuttosto diverse da quelle contenute in "Euro e(o?) democrazia costituzionale" e ne "La Costituzione nella palude". 
Rammentiamo, ove mai ce ne fosse bisogno, che la violazione, perdurante e sempre più estesa dei principi inderogabili del nostro ordinamento costituzionale, secondo Calamandrei (qui, p.3), equivale alla automatica distruzione della Costituzione stessa; il che, se realizzato al di fuori di un processo Costituente assimilabile a quello che alla Costituzione aveva dato vita, è un atto eversivo (di durata e "continuato" in base ai fatti nuovi che lo aggravano in esecuzione di un unico, evidente, disegno).

5. Ne discende che, specialmente allorquando la violazione di quei principi sostanziali, non soggetti neppure a revisione costituzionale, assuma le vesti di una realtà ordinamentale (qui, p.3) non solo incompatibile ma esplicitamente avversata dai nostri Costituenti, uscire da questi trattati non può essere una mera scelta politica tra più soluzioni liberamente adottabili dai nostri organi di indirizzo politico, quanto piuttosto costituisce un comportamento dovuto in base a un fondamentale obbligo giuridico
Per gli organi di governo, anzi, l'obbligo giuridico supremo e primario: rispettare la sovranità popolare delineata nell'art.1 Cost., prendere le distanze mediante opera di "desistenza attiva" dall'azione di chi li ha preceduti e "non credeva nelle Costituzioni", e por fine senza indugio a questa situazione di sospensione de facto della legalità costituzionale.

6. Perciò, non è di mio interesse scientifico-intellettuale (e tantomeno psicologico-personalistico), essere stato o meno citato nel libro in questione. 
Come non lo è, di mio interesse, avere il riconoscimento di essere stato il primo in Italia, - ma non a caso in Italia- a riprendere il tema della grave e manifesta violazione della Costituzione da parte dei trattati europei. 
Quello che importa è, per la vita di milioni di italiani piombati programmaticamente nella miseria dall'applicazione e dal progressivo ampliamento della de-sovranizzazione democratica causata direttamente dai trattati, che tale fondamentale obbligo giuridico sia, meglio prima che poi, assolto da un plesso governo-parlamento che superi lo stato di eccezione permanente e rivendichi quella piena legalità costituzionale che gli organi di garanzia, per una ragione o per l'altra, non sono stati più in grado di assicurare.

7. Ho cennato all'irrilevanza dell'aver detto "qualcosa"per primo, a fronte della posta in gioco.
Di fronte al fatto che i trattati siano esecutivi di una progressione in aggravamento che era già tutta ab origine prevista, e quindi esecutiva di un unitario disegno, (originarietà dell'effetto perseguito e unitarietà del disegno che pure sono ancor oggi un punto scabroso che si tende ad oscurare), una vera primogenitura della genetica incostituzionalità dei trattati, per chi volesse studiare le fonti storico-giuridiche con l'ambizione della completezza e della libertà dell'indagine da qualsiasi pre-comprensione ermeneutica, spetterebe senza dubbio a Lelio Basso, di cui vi riporto (grazie a Francesco) questa chirurgica radiografia della illegittimità costituzionale del trattato del 1957:
…Com’è noto, il Trattato di Roma del 25 marzo 1957 che ha istituito la CEE dispone all’art. 189 che il Consiglio … e la Commissione …“stabiliscono regolamenti e direttive, prendono decisioni e formulano raccomandazioni o pareri. Il regolamento (...) è obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli Stati membri. La direttiva vincola lo Stato membro cui è rivolta per quanto riguarda il risultato da raggiungere, salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma e ai mezzi... La decisione è obbligatoria in tutti i suoi elementi per i destinatari da essa designati. Le raccomandazioni e i pareri non sono vincolanti”.

Emerge chiaramente da questo testo che quest’articolo attribuisce un’efficacia normativa obbligatoria ai regolamenti, che devono essere immediatamente applicati dai singoli Stati, e alle decisioni, sottraendole completamente alla “competenza degli organi nazionali” , che è prevista solo in merito alle forme e ai mezzi di attuazione delle direttive. In altre parole Consiglio e commissione, in base a quest’articolo, possono dettare norme giuridiche obbligatorie per i cittadini di ciascuno Stato, e quindi anche dell’Italia, senza che gli organi legislativi del paese siano neppure consultati. Come si vede, quest’articolo sottrae al Parlamento quella che è una delle sue più gelose funzioni, la funzione legislativa, in una sfera immensa di attività che comprende praticamente tutta l’attività economica … ivi compreso…il campo fiscale. Non vi è pertanto dubbio che siamo qui in presenza di UNA RADICALE MODIFICAZIONE DELLA NOSTRA COSTITUZIONE, che riserva espressamente ed esclusivamente ad un organo eletto dal popolo, il Parlamento, la potestà di fare leggi, cioè di dettare norme obbligatorie per tutti.

L’inconciliabilità di questa norma con la costituzione fu avvertita dall’opposizione fin dal momento della firma del Trattato, tanto che, in sede di ratifica parlamentare, sollevammo l’eccezione che un Trattato di questa natura…SOVVERTIVA IL NOSTRO ORDINAMENTO COSTITUZIONALE…La maggioranza fu di avviso contrario, e l’argomento principale fu che la nostra costituzione stessa prevede all’articolo 11 che l’Italia “consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni”.

Ma si può ritenere che questa norma generale autorizzi una disposizione come quella ricordata dell’articolo 189?…a mio parere, non solo i princìpi del nostro ordinamento ma il più semplice buon senso devono indurci a dire di no per una serie di ragioni:

a) innanzi tutto le limitazioni di sovranità sono consentite solo ai fini di assicurare la pace e la giustizia fra le Nazioni, e sì riferiscono quindi a organismi tipo ONU, tribunali internazionali e simili, ma non ad un organismo, la Comunità, il cui fine precisato dall’art. 2 del Trattato, è quello “DI PROMUOVERE UNO SVILUPPO ARMONIOSO DELLE ATTIVITÀ ECONOMICHE”;
b) in secondo luogo altro è una “limitazione” di sovranità (come può essere la rinuncia alla guerra, la limitazione del diritto di armarsi e anche l’accettazione di controlli reciproci al riguardo, e simili) e altro è invece il trasferimento della propria sovranità ad organi esterni, come il consiglio o la commissione, la quale ultima, come previsto dall’art. 157, avrebbe potuto non comprendere neppure un italiano
(ndQ: e sull'art.11 rammenterei ancora le profetiche precisazioni di Meuccio Ruini); 
 c) in terzo luogo va osservato che la parola “sovranità” ha un duplice significato: uno riguarda la personalità internazionale dello Stato e significa il diritto di ciascuno Stato alla piena indipendenza nei confronti di ciascun altro; il secondo riguarda invece il modo come ciascuno Stato esercitanel proprio interno il potere sovrano…

Ora pare a me che la “limitazione” di cui parla l’art. 11 si riferisce ai rapporti fra Stati, ma non può intaccare il principio fondamentale della nostra costituzione, secondo cui (art. 1) l’Italia è una repubblica democratica e “la sovranità appartiene al popolo che la esercita” . Attribuire poteri legislativi, senza il concorso e anche contro la volontà del Parlamento italiano, a un consiglio composto da un rappresentante di ciascun governo, o addirittura a una commissione nominata collegialmente dai governi membri, SIGNIFICA SPOGLIARE IL POPOLO DELL’ESERCIZIO DELLA SOVRANITÀ in materia di estrema importanza e, quindi, sovvertire l’ordinamento costituzionale italiano.

Dell’esistenza di questo grave problema l’opposizione è stata cosciente: chi scrive…ha personalmente sostenuto una lunga battaglia in seno alla commissione degli esteri della Camera fino al 1969, ma governo e maggioranza si sono sempre mostrati sordi.

Ora attendiamo la decisione della Corte, ma se anch’essa si pronunciasse in senso contrario a quanto qui sostenuto, il problema sarebbe risolto solo sul piano formale. Si tratta infatti di vedere se un popolo, che vuol essere democratico, può essere governato da norme, che invadono campi sempre più vasti, e che sfuggono a qualsiasi decisione preventiva o controllo successivo di organi elettivi, cioè al controllo della rappresentanza dei cittadini interessati
” [L. BASSO, È incostituzionale l’adesione al MEC ?, Corriere della Sera, 27 maggio 1973].

8. Non mi dilungo oltre: per chi non fosse un assiduo lettore, i links inseriti nel testo sono più che sufficienti per iniziare comunque un percorso...

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