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IL DEFICIT, IL DEBITO PUBBLICO...PER IL 2018 O PER IL 2019? LA "REGOLA PRODI" DELL'OBSOL€SC€NZA DEI NUOVI GOVERNANTI

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Keynes on reputation

1. Dopo aver sostenuto durante la campagna elettorale che occorreva "superare il dogma del 3% del deficit pubblico per ridurre il debito" e aver ribadito, più volte, che ciò avrebbe consigliato "meno tasse sulle imprese e più deficit per l'economia, (uno shock alla Trump)", il leader del m5s, a elezioni avvenute, inizia a fare i conti con le regole €uropee e allude a un deficit dell'1,5%, riduttivo dell'attuale che, aggiustanto sul vero impatto del salvataggio MPS (a fine 2016), si è attestato al 2,3% (o forse al 2,4...vedremo: l'assestamento dei calcoli non è finito).
Attenzione, in piena conventional wisdom(cioè quella che Keynes considerava la licenza per fare un disastro in omaggio alle teorie di qualche economista trapassato), questa misura del deficit (se riferita al 2018), dovrebbe portare, a rigor di €uropa, già nel corso dell'anno 2018 (dunque non per il prossimo esercizio con la prossima legge di stabilità), a un consolidamento fiscale di 0,7 punti di PIL (cioè dal 2,3 all'1,6).

2. Ma si dice,  questa  subentrata €uro-ortodossia sarebbe mitigata di una richiesta di flessibilità alla Commissione Ue, dato che il target di deficit per il 2019, prefisso dall'€uropa e già preannunciato nella nota di aggiornamento al Def, è allo 0,9 %; per contro, per il 2018, il target "lovuolel'€uropa" era posto all'1,6% (ma sul presupposto di un deficit 2017 al 2,1, prima, appunto, dichiarato all'1,9 e poi ritrattato, dall'Istat, al suddetto 2,3).
Nell'articolo sopra ricordato, tuttavia, parrebbe che si attribuisca (per la verità nella confusione generale delle varie dichiarazioni e analisi) a Di Maio uno "scambio" tra annualità e, si confonda l'obiettivo di deficit per il 2019 (da raggiungere coi saldi della prossima legge di stabilitò) con quello per il 2018 appunto, il più modesto, si fa per dire, 1,6%.


3. Nondimeno, anche tale correzione della imputazione annuale dei vari target di "indebitamento netto" della p.a. (come si esprime il Def) ha delle conseguenze non irrilevanti, sia in termini di manovra di correzione per il 2018, sia per il 2019: anzitutto, è in effetti vero che (una volta che si sia chiarita a se stessi la differenza tra saldo da ottenere nel 2018 e target per il 2019 da ottenere con la legge di stabilità prossima ventura), che occorrerà comunque intavolare una trattativa per ottenere una quantomai difficile "flessibilità": ma il Country Report della Commissione di febbraio 2018, non pare affatto disponibile a concederla, enfatizzando la consueta visione che, come ritiene anche Cottarelli, il debito/PIL si riduca attraverso la riduzione dell'indebitamento annuale(qui, pp..8-10),pensando che ciò non influisca sulla crescita del PIL stesso.

4. Insomma, se per il 2019, parrebbe (a ritenere correttamente identificata l'annualità di pertinenza) che il deficit debba poter essere dell'1,5%, vuol dire che:
a) si tenterà a priori (cioè non potendosi ancora realisticamente sapere quale sia il dato dell'indebitamento netto per il 2018) una tendenziale flessibilità di 0,6 punti di PIL, per il 2019, in una misura, cioè, che neppure il Renzi più agguerrito è riuscito formalmente ad ottenere per intero, relativamente ad un solo anno;

b) che, rapportando tale soglia di flessibilità per il 2019 all'esercizio in corso (ma trascurando di porsi il problema del moltiplicatore fiscale e di Haveelmo, cioè quindi seguendo la iniziale linea FMI e Commissione Ue sulla...Grecia del 2010-2011), per il 2018 si dovrebbe, approssimativamente e aprioristicamente - rispetto anche agli "imprevisti" di ogni genere: che vanno dall'andamento delle esportazioni in situazione di tensione commerciale sui dazi e di dollaro in deprezzamento continuo sull'euro, nonché in relazione a qualsiasi imprevisto "interno", primo fra tutti qualche salvataggio bancario in applicazione dell'Addendum BCE, sempre incombente -, operare una manovra correttiva aggiuntiva nel corso dell'anno, pari (a rigore) a 0,7 punti di PIL
Ciò infatti, è il calcolo che sconterebbe, senza l'applicazione di alcun realistico moltiplicatore fiscale, un deficit flessibilizzato all'1,5 per il 2019, partendo dal 2,3 del 2017 e dovendosi perciò, passare per un deficit quasi in linea a quanto programmato nel Def per il 2018 (cioè appunto all'1,6%).

5. Ma supponiamo che la Commissione si accontenti di per quest'anno di una correzione di 0,3 punti
Sempre secondo i calcoli aritmetici puri che caratterizzano la visione €uropea e che scommettono sulla sostanziale ininfluenza della riduzione del deficit fiscale sulla crescita del PIL - e sempre fingendo che questo non vari sostanzialmente rispetto alle previsioni per via di fattori esogeni-, ciò implicherebbe che, concessa la (per ora denegata) maxi-flessibilità di 0,6 punti per il 2019, la prossima legge di stabilità dovrebbe comunque comportare un volume di consolidamento fiscale di almeno 0.6 punti di PIL, risultante da una minore correzione per il 2018, con deficit a fine anno di circa 1,9  (2,3 attuali meno la correzione 2018 di 0,3) e obiettivo flessibilizzato di 1,5 per il 2019.

6. Naturalmente tutti questi numerini, all'atto pratico dei consuntivi di fine anno, sono pure fantasie, perché, appunto, non scontano né i fattori congiunturali internazionali e l'enorme vulnerabilità dell'eurozona al modello export-led only imposto dalla Germania, né un moltiplicatore realistico che registri gli effetti sul PIL e sulla occupazione (e quindi quantomeno sul gettito fiscale) della prosecuzione dell'austerità fiscale. 
A consuntivo 2018, e proprio per l'eventuale e perdurante stima errata del moltiplicatore fiscale, nonché dell'immaginario effetto di spiazzamento determinato dalle ipotetiche politiche di riduzione del debito pubblico (mai riuscite finora), il rapporto deficit/PIL e più ancora il rapporto debito/PIL potrebbero essere invece ben peggiori di quanto atteso seguendo queste politiche €uroimposte.

7. Di Maio, poi, ipotizzerebbe che questa operazione di consolidamento "soft", cioè con flessibilità (...alla francese o alla spagnola,per intendersi), sia ottenibile con due strumenti essenziali: la solita spending review e, parrebbe, la cessione di beni immobili pubblici a una società esterna(che potrebbe essere la stessa Cassa Depositi e Prestiti) che poi emetterebbe obbligazioni (garantite dagli immobili stessi) per rastrellare dal mercato i soldi del prezzo corrisposto allo Stato cedente.
Quest'ultima misura, sarebbe probabilmente bollata come una tantum e non strutturale da parte della Commissione, che sindacherebbe la sua natura di artificio contabile e non smetterebbe di chiedere misure strutturali essenzialmente incidenti sulle odiate pensioni (che tutto sono fuorché una voce passiva nel bilancio consolidato dello Stato, come ci conferma puntualmente il Prof. Pizzuti), e sulla sanità pubblica (che è già ridotta al di sotto del livello essenziale delle prestazioni anche ove inteso nel modo illimitatamente flessibile, e conflittuale tra poveri, assunto dalla Corte costituzionale).

8. Quindi, spending review e lotta agli sprechi. 
Da un sito non sospetto, rammentiamo la dinamica della spesa pubblica in Italia relativa agli ultimi 20 anni (su dati AMECO, cioè €uropeissimi).
La questione è molto semplice. Ancora più semplice di quella che ritiene Cottarelli. Nonostante la doppia recessione avutasi tra il 2008 e il 2011-2013 (quest'ultima esclusivamente derivante dalla cura €uropea del debito commerciale esterno, qui, p.3), la spesa pubblica REALE, cioè al netto della crescita meramente inflattiva, è diminuita nel periodo 2007-2017.

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Inoltre, la stessa spesa pubblica reale era aumentata in Italia meno che in qualsiasi altro Stato dell'eurozona -eccezion fatta per la Germania- anche nel decennio 1997-2007

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E, nell'ultimo decennio, soltanto la Grecia ha operato una riduzione reale della spesa in rapporto al PIL maggiore di quella italiana.
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9. Naturalmente, questo sta ad indicare che non è possibile pensare ad un ulteriore consolidamento fiscale sul lato della spesa, perché in termini strutturali, cioè sociali prima ancora che macroeconomici, ciò significa un deterioramento del territorio, urbanistico e produttivo, cioè della qualità diffusa della vita, che porterebbe alla immediata impopolarità qualsiasi governo, di fronte al minmo e scontato "imprevisto": tra pendolari sui treni che deragliano, crolli di cavalcavia, inondazioni solo perché piove, trasporti pubblici urbani ridotti in condizioni da terzo mondo, strade pubbliche "bombardate", terremotati inseguiti dal fisco e terremotati eternamente in casette compratesi coi propri soldi e finiti sotto ordinanza di demolizione per abuso edilizio, e bambini rimandati indietro al pronto soccorso...quando ancora lo si trova entro una distanza ragionevole per l'incolumità del malato.
E si potrebbe continuare praticamente all'infinito.

9.1. Perché ogni singolo cittadino, ed elettore, come s'è visto, constata nella sua personalissima esperienza questa degenerazione delle infrastrutture, delle funzioni essenziali e dei pubblici servizi, fino ad un livello di allarme che il mero richiamo alla pseudospiegazione della corruzione e degli sprechi rende sempre meno sedabile: e i dati, inesorabili e oggettivi, sulla diminuzione della spesa pubblica, in comparazione con qualsiasi altro paese civile (e sovrano) lo attestano al di là di qualsiasi fattoide propagandistico e colpevolizzatore. 
Lo Stato minimoè la conseguenza dell'adozione dell'euro, Carli, lo disse; Prodi (v. infra) se ne rende conto "politicamente"; le conseguenze materiali e sociali di ciò non sono più schermabili sotto il manto della morale colpevolizzatrice e autorazzista dei "cattivi samaritani".

10. La dinamica della spesa pubblica, d'altra parte, tende all'aumento, sia pure in termini solo nominali (e quindi, comunque, meno della già bassa inflazione), a causa di quanto aveva già evidenziato lo studio Giarda con riguardo alla fase "fiscale" inauguratasi, in particolare, nel dopo Maastricht
- invecchiamento medio della popolazione, quale effetto demografico-statistico determinato dalla denatalità, a sua volta indotta dalle politiche di vincolo €sterno (pp. 2-2-1: diminuzione costante della quota salari su PIL e del potere di acquisto della schiacciante maggioranza degli italiani, e diminuzione reale del reddito pro-capite rispetto alla fase anteriore all'imposizione del vincolo esterno); 
- conseguente peggioramento naturale (cioè statisticamente prevedibile) dello stato di salute diffuso di una popolazione più anziana, aggravato pro-ciclicamente, cioè per intervento fiscale, da condizioni di vita peggiorate urbanisticamente e lavorativamente, per tutte le fasce di età della popolazione (e di certo la prolungata e diffusa disoccupazione e precarizzazione giovanile non gioverà al futuro, ed imminente, stato di saluto dei venti-trentenni odierni); 
 

- esigenza di ricorrere, a fronte della crescita simultanea sia della disoccupazione - divenuta strutturale solo a seguito dell'incorporazione autofaga del dato all'interno dei contestati criteri di calcolo dell'output-gap applicativi del fiscal compact, contestati persino dal nostro governo, qui, pp. 15-20 - a stabilizzatori automatici di sostegno al reddito perduto, in forme sempre più elaborate: non a caso si cerca la mossa ad effetto del reddito di cittadinanza. 
Ma tutte le forme di stabilizzatore risultano controbilanciate dalla drammatica ricerca delle "coperture" in pareggio di bilancio.

11. In particolare, a fronte della costante (e a quanto pare immutabile, in nome della lotta all'inflazione...in assenza di inflazione) diminuzione della quota salari su PIL, legata a doppio filo a precarizzazione e maggior disoccupazione istituzionalizzate nel nuovo mercato del lavoro all'€uropea, costruito per il "gusto" degli investitori esteri, abbiamo:
a) non solo il fenomeno di dover provvedere alla marea dilagante di nuovi poveri che non sono solo più disoccupati ma specialmente dai working poors (qui, p.7);
b)  ma anche quello di dover scegliere con quali limitate risorse intervenire nella simultanea emergenza permanente dell'afflusso di immigrati economici...E di una quota, per la verità minima, di veri e propri rifugiati che non solo siano in astratto tali, secondo le regole delle convenzioni internazionali, ma rispetto ai quali vi sia pure una legittimità della scelta dell'Italia come approdo marittimo forzato (persino rispetto alle farraginose regole €uropee) dai distanti paesi di provenienza.

11.1. In tutta questa situazione non si vede come si potrà andare al governo e pensare che i problemi reali della comunità sociale italiana consistano nei "conti pubblici"; e se, in preda a una rinata attenzione verso i principi inderogabili della Costituzione, ma anche del buon senso, si volesse tornare ad occuparsi dei livelli minimi essenziali delle prestazioni e di politiche efficaci per risolvere il problema della disoccupazione e della de-tutela del lavoro, non si vede come non si possa non entrare in contrasto con gli obblighi €uropei.
L'alternativa è sempre quella indicata da Prodi (qui, p.1), per qualunque partito e per qualunque leader "nuovo": e l'obsolescenza subentra sempre più velocemente!
https://aramcheck.files.wordpress.com/2016/06/senza-titolo.png?w=590&h=446




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