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OLTRE IL PUDE-3. IL FUTURO DELLO SVILUPPO, E IL LEGAME TRA INVESTIMENTO PUBBLICO, NUOVE TECNOLOGIE E OCCUPAZIONE.

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Questo importante post di Flavio fa il punto su una questione centrale ineludibile.
Il pericolo che incombe sull'Italia, è la nefasta alternativa tra:
a) prosecuzione nell'euro della distruzione sistematica del nostro sistema industriale e del nostro futuro;
b) prosecuzione senza euro delle politiche deflazioniste neo-classiche basate sulla dottrina della banca centrale indipendente, che predicano la riduzione dello Stato e della spesa pubblica per un mercato del lavoro a disoccupazione intenzionalmente tenuta ad alti livelli (con la prospettiva dela privatizzazione di sistema sanitario e pensionistico);
c) tentativo di instaurare una nuova versione, (non più europeo-centrica e direttamente "Von Hayek"), della limitazione dello Stato nel suo disegno costituzionale, in favore della "decrescita felice", come paradigma planetario guidato da abili campagne multimediali di informazione "interessata".
Questo disegno, non affatto avvertito, conduce alla strutturale dipendenza da tecnologie straniere che colonizzerebbero un territorio nazionale a cui verrebbero riservate le versioni B o C, dato l'impoverimento della ricerca e della capacità industriale nazionali, irreversibilmente declinate, e quindi incapaci di assimilare tempestivamente i nuovi orizzonti tecnologici, mediante un adeguato livello di investimenti, pubblici e privati; cioè, volti già ora all'innovazione, alla ricerca e all'applicazione in dimensioni adeguate al nostro livello demografico.

Per questo occorre vigilare: perchè la soluzione c'è già. Ed è il modello economico e sociale delineato dalla nostra Costituzione. Che non può essere messa da parte criticandone questa o quella clausola episodica in materia di istituzioni parlamentari o di meccanismi di governo. Queste clausole appaiono problematiche solo come conseguenza patologica di un sistema economico alterato e di una classe politica globalmente incapace di rendersene conto.
Le geometrie istituzionali assumono un peso esasperato solo se la sostanza degli interessi perseguiti in Costituzione (i "contenuti") scompare dal dibattito tra le forze partitiche che dovrebbero esprimere un indirizzo politico conforme alla stessa Costituzione.
Perciò vigiliamo e non facciamoci ingannare dal gioco dei 4 cantoni di una politica asfittica e incapace

Prendendo spunto dall’invito di Giovanni, che ringrazio, elaboro il commento inserito al post pubblicato ieri da 48. Cercherò di utilizzare le fonti linkate di modo da cercare di esporre concretamente quanto ho ritenuto utile sottolineare. Partiamo dal principio: gli Usa dal 2020 diventeranno i più grandi produttori di petrolio al mondo, con tutte le conseguenze del caso: divenendo esportatori netti, avranno grossa voce in capitolo sui prezzi.
E chi rimane indietro (nel senso di dipendenza dal greggio), non avrà scampo. L’articolo linkato meriterebbe di essere letto in toto, soprattutto la parte finale, dove si prefigurano possibili scenari futuri dei prezzi, andando quindi ad incidere sui costi delle imprese e sull’inflazione di tutti i paesi dipendenti da tale materia prima:
Il prezzo del petrolio, sempre secondo l'Aie, crescerà moderatamente in concomitanza con la domanda. Il greggio arriverà a circa 125 dollari al barile in termini reali (al netto dell'inflazione) nel 2035, dai circa 108 dollari registrati attualmente.
Le incognite, però restano. Del resto il petrolio ha già abituato gli investitori a violente escursioni nel prezzo. Dopo aver raggiunto il picco storico a 147 dollari al barile nel luglio del 2008 è crollato nel 2009 in area 50 dollari per poi ritornare nel 2012 intorno a quota 100 (con il Brent londinese a 108,7 dollari e il Wti di New York a 85).
La posizione di indipendenza energetica verso cui si proiettano gli Stati Uniti potrebbe cambiare gli attuali equilibri con i Paesi dell'Opec (l'Organizzazione dei produttori del petrolio fondata nel 1960 per porre un freno al predominio delle aziende anglo-americane, allora conosciute come le "sette sorelle"). Ed è questa una delle più grandi incognite che si pone sul fronte energetico negli anni a venire.
Da svariati anni, in particolare da quando gli Stati Uniti e l'Arabia Saudita hanno raggiunto un accordo dando vita alla United States-Saudi Arabian joint economic commission (Jecor) c'è una sorta di tregua.
Un compromesso nella produzione del petrolio in modo tale da regolare domanda e offerta ed evitare repentini aumenti dei prezzi. Questo anche per evitare altri embarghi, come quello annunciato il 16 ottobre del 1973 quando l'Iran e i cinque Stati del Golfo Arabo, Arabia Saudita inclusa, annunciarono un aumento del 70% del prezzo del petrolio (mossa che seguiva la guerra dello Yom Kippur, la principale festività ebraica che ricorre il 6 ottobre quando Egitto e Siria sferrarono un attacco militare contro Israele).
L'embargo, poi "limato" con un aumento del prezzo tra il 5 e il 10%, terminò il 18 marzo 1974. Pochi mesi furono però sufficienti per causare effetti dirompenti: i prezzo del petrolio dell'Arabia Saudita schizzò oltre gli 8 dollari quando all'inizio del 1970 era a 1,4. Una lezione mai dimenticata.”.  E questo è un punto su cui riflettere bene.
Molto dipenderà da quanto i big player (vedi post Oil & Finance) decideranno di incidere sui prezzi del greggio in termini di “speculazione”… e fino a quando questi legami non verranno spezzati - la disaggregazione Big Banks e multinazionali mondiali "energetiche" costituisce a mio modesto avviso passo fondamentale su questa via- rimarremo purtroppo alla mercè dei cosiddetti “mercati” cattivi ma a cui dobbiamo in qualsiasi momento sacrificare i nostri diritti ed il nostro avvenire.
Un po’ come se uscissimo dall’Euro lasciando tutto così com’è: sarebbe il disastro più completo, scaricato ancora una volta sulle spalle dei più deboli.

Secondo punto:
- gli USA punteranno ad essere quasi un price maker del greggio all'estero, mentre per il mercato interno puntano ad eliminarlo virando sull'auto verde ed il gas (via fracking), grazie ai miliardi concessi alla ricerca. Ciò che vogliamo sottolineare qui è lo stretto legame fra una banca centrale che sostiene il sistema attraverso acquisto titoli Tesoro ed un governo incentrato, con tutti i difetti intrinseci del suo operato, a portare la propria economia in qualche modo fuori dallo stallo in cui l’ipertrofia finanziaria l’ha portato a danno dell’economia reale. L’articolo del Sole chiarisce una questione cruciale, l’investimento pubblico nella ricerca, la tanto vituperata SPESA PUBBLICA che sta alla base di tale politica:

Il presidente Obama ha proposto ieri di investire il ricavato dalle concessioni petrolifere nella ricerca, al fine di svezzare l'America dalla dipendenza dal petrolio. Nel suo primo discorso post-elettorale sul controverso argomento dell'energia, Obama ha riproposto il tema dell'energia rinnovabile ... L'investimento di 2 miliardi di dollari nell'arco di 10 anni non dovrebbe infatti accrescere di un centesimo il deficit pubblico.
Parlando all'Argonne National Laboratory di Chicago, famoso per la ricerca svolta negli anni 90 sulle batterie per l'auto elettrica, il presidente ha auspicato la creazione di un fondo per la ricerca, l'Energy Security Trust, dedicato ad abbassare il costo dei veicoli alimentati da biodiesel, gas, elettricità ed altre fonti di energia a basso inquinamento. «L'obbiettivo - ha detto - è quello di eliminare del tutto il petrolio come fonte di energia per auto e camion».
L'accento questa volta è sull'abbassamento dei costi dell'energia alternativa, non sull'indipendenza dall'energia importata. Grazie all'impennata della produzione di gas metano estratto con le nuove tecnologie del fracking, l'America infatti si sta rapidamente avvicinando all'autosufficienza con una produzione interna di energia capace di coprire il fabbisogno. Ciò non la isola tuttavia dalle ampie fluttuazioni dei prezzi, che vengono determinati sul mercato mondiale. Ieri per esempio il prezzo dei futures del gas naturale è schizzato in alto del 2,6% a 3,910 dollari per milione di BTU raggiungendo il livello più alto dal novembre scorso… I repubblicani hanno criticato Obama per non avere aperto la riserva naturale Arctic National Wildlife Refuge in Alaska alle trivellazioni, per non avere autorizzato la costruzione dell'oleodotto Keystone XL dal Canada al Texas, e per avere elargito agevolazioni fiscali a società di energia alternativa come la Solyndra, fallita pochi mesi dopo aver ricevuto stanziamenti pubblici. Il settore petrolifero era riuscito inoltre a ostacolare l'istituzione di un mercato per i diritti all'inquinamento, una soluzione di mercato al problema dell'inquinamento.
Il presidente è tuttavia sotto pressione anche per soddisfare le domande degli ambientalisti... Due miliardi in 10 anni per la ricerca sono pochi, ma sono un primo passo verso il consenso bipartitico sulla politica energetica nazionale.”. Capito Obama? Certo non sarà il presidente che tutti speravamo fosse, ma almeno non agisce come i pazzi di Bruxelles e Francoforte".

Al terzo punto, intravediamo in concreto altri campi in cui negli USA si punta pesantemente. Anche qui sono gli investimenti pubblici a trainare la ricerca in campi strategici per l’avvenire: Lockheed Martin, il colosso della Difesa americana (quella dei cacciabombardieri F-35 per capirci), trova il modo di trasformare acqua salata in acqua dolce grazie al grafene:
Il sistema (nato probabilmente dalla ricerca per usi militari, cioè per consentire alle truppe di disporre ovunque di acqua pulita) è costituito da filtri caratterizzati da membrane sottili di carbonio dotate di fori regolari delle dimensioni di un nanometro, un miliardesimo di metro. Una dimensione sufficientemente a far passare l'acqua ma abbastanza ridotta da poter bloccare le molecole di sale dell'acqua marina.
Secondo i tecnici di Lockheed Martin utilizzando fogli di grafene così sottili occorre molta meno energia per spingere l'acqua di mare attraverso il filtro con la forza necessaria per separare il sale dall'acqua. L'impiego di questa nuova tecnologia avrebbe un impatto notevole in molti Paesi in via di sviluppo costretti oggi a ricorrere a grandi stazioni di pompaggio che assorbono molta energia producendo acqua desalinizzata ma a costi poco competitivi.
Il nuovo filtro "è 500 volte più sottile di quello migliore oggi sul mercato e mille volte più resistente" ha dichiarato John Stetson, l'ingegnere che lavora dal 2007 a questo progetto... "L'energia richiesta e la pressione necessaria per filtrare il sale è di circa 100 volte inferiore" rispetto agli standard attuali…
Entro il 2040, la disponibilità di acqua dolce non terrà il passo con la domanda in assenza di una gestione più efficace delle risorse idriche" si legge nel rapporto - e i problemi idrici ostacoleranno la capacità di produrre cibo e generare energia elettrica. Nel 2012 le Nazioni Unite hanno valutato in circa 780 milioni le persone nel mondo che non hanno accesso all'acqua potabile e i progressi tecnologici nel settore della desalinizzazione a basso costo rappresenteranno in molte aree la differenza tra sviluppo e sottosviluppo.
Lockheed Martin non è l'unica grande azienda hi-tech a lavorare a progetti di questo tipo ma è probabilmente quella che ha compiuto i maggiori progressi. Jeffrey Grossman, professore associato presso il Massachusetts Institute of Technology e autore di ricerche sulle membrane di grafene per la filtrazione, ha confermato che realizzare membrane con fori di dimensioni nanometriche rappresenta un grande passo avanti in termini di efficienza di dissalazione grazie alla "possibilità di aumentare di 100 volte la permeabilità della membrana". Lockheed conta di avere pronto entro la fine dell'anno un prototipo di filtro applicabile alle stazioni di pompaggio al posto di quelli tradizionali e cerca partner per produrre e commercializzare nei prossimi 12/24 mesi il nuovo prodotto chiamato Perforene.”.

Infine: dove sono collocate le tre aziende più grandi produttrici di grafene al mondo?Negli USA. Dove si usa il grafene?
Nissan Motors, per esempio, ha sviluppato un dispositivo che permetterebbe di immagazzinare grandi quantità di idrogeno da sfruttare come carburante in automobili con celle a combustibile. Come? Il principio è semplice: costruire contenitori a base di grafene, la cui bassissima permeabilità permetterebbe di confinare in modo efficace l'idrogeno, risolvendo quindi uno dei principali problemi che assillano i progettisti di automobili ibride, quelle cioè non alimentate esclusivamente con carburanti fossili. La Princeton University e il Department of Energy, tra gli altri, hanno esaminato un altro campo di applicazione interessante: i materiali compositi, in cui il grafene sarebbe il comprimario, portando in dote le sue straordinarie proprietà meccaniche da unire alle caratteristiche di altri materiali. Una prospettiva interessante soprattutto per l'industria aerospaziale e aeronautica.
Un'altra caratteristica del grafene, la grandissima trasparenza, promette bene per impieghi nella tecnologia del fotovoltaico e per applicazioni più popolari come i touch screen, dove può sostituire il composto a base di indio attualmente usato, che ha il problema di essere fragile e costoso. Altro esempio: Graphene Energy, spin off dell'Università del Texas ad Austin, sta compiendo ricerche nel campo degli accumulatori di carica, ovvero di dispositivi che permettono di immagazzinare grandi quantità di energia in modo molto più efficiente rispetto alle prestazioni permesse dalle tecnologie attuali. In altre parole, il grafene promette pile con capacità mai viste.”.

Guardando loro e noi – e non me ne vogliate perché io amo il mio paese e non lo credo secondo a nessuno –  non posso notare come in fatto di investimenti pubblici per la ricerca noi siamo indietro anni luce dai tanto bistrattati “cugini” americani.
Avranno di certo tutti i difetti di questo mondo, ma non possiamo dire che, nel loro specifico interesse, non abbiano il coraggio di prendere in mano le redini del proprio destino ogni qualvolta la storia lo richieda. E non è questione di nazionalismo o quant’altro. Più che di un popolo coeso, gli Stati Uniti  nel bene e nel male riescono quando serve a coagulare la propria classe dirigente attorno ad un obiettivo comune di lungo termine. A differenza della classe dirigente italiana, che in questi anni non ha avuto remore nello “svendersi” al migliore offerente in cambio del proprio tornaconto personale. Il popolo italiano avrà di certo la sue colpe, ma trent’anni di moderazione salariale e di informazione pilotata non si cancellano in un “amen”… sta alla classe dirigente democraticamente eletta mettere in primo piano l’interesse nazionale. Negli Stati Uniti sembrano farlo… qui da noi?

Rispondendo in conclusione a Federico, che in un suo commento chiedeva lumi sulla ricerca in Italia: direi che la ricerca, come sempre è stata e come sempre sarà, è la base del futuro. Una nazione che si rispetti dovrebbe tutelare i propri cervelli, dare loro quindi la possibilità di crescere e lavorare in patria per lo sviluppo e la crescita tecnologico-economica della propria nazione. L’Italia in questa UEM non avrà mai il peso specifico che le dovrebbe competere, vuoi per piaggeria, per mancanza di amor proprio, per inadeguatezza (della propria classe dirigente); devo quindi purtroppo concordare con 48 su una visione pessimistica del futuro prossimo venturo.

Il privato fa ricerca, non lo mettiamo in dubbio, ma la spina dorsale di quella buona che si fa in Italia nasce nell’Università (con tutti i difetti che essa porta con sè) pubblica… così come il “privato” non è più efficiente del “pubblico”: qui numerosi studi sono stati postati a riguardo sulla non veridicità dell’assunto.
Ci vuole una spinta decisiva, ci vuole quindi l’unica via che in questo momento ha la concreta possibilità di dare respiro ad una economia intera sull’orlo del collasso: l’investimento pubblico.
Ciò che serve all’Italia è un piano nazionale di ricostruzione economica, energetica, monetaria.
Mettiamo il caso che si possa, attraverso politica fiscale e monetaria che agiscano nuovamente di concerto, risparmiare ad esempio 30miliardi l’anno di interessi. Cosa ci potremmo fare? Cosa potremmo finanziare? Quali ambiti di ricerca potremmo sostenere? A quanti ricercatori potremmo dare lavoro? Di quanto potrebbe crescerebbe il PIL? Quante tasse si raccoglierebbero con una economia che riparte? E, ultimo ma non meno importante, quanto capitale umano potremmo finalmente mettere in campo per riappropriarci di quel qualcosa che i tecnocrati della BCE ci stanno togliendo… il futuro!

Spesa pubblica non è solo spreco. Basta con questa stupida diceria che a destra e a sinistra si va ripetendo da troppo tempo. Guardiamo all’Italia degli anni d’oro!! Quanta spesa pubblica c’era nelle aziende di Stato che ci portarono ad essere ai primi posti nel mondo industriale? Quanta spesa pubblica c’era per la ricostruzione delle aree colpite dai disastri naturali che via via si sono succeduti sul suolo patrio negli anni della Repubblica? Quanta spesa pubblica per vedere nascere all’interno delle nostre scuole economisti come Pasinetti, Garegnani o tutti i ricercatori o studiosi che attualmente tengono alto l’onore della nostra nazione nel mondo?
Spesa pubblica è ricerca, è innovazione, è scuola, sono ospedali, sono infrastrutture  fisiche e virtuali, sono aiuti ai più bisognosi, sono incentivi e sgravi per chi non ce la fa. Chi la combatte a priori, dicendo che essa è solo spreco, non è nostro compagno di viaggio. 48 ha quantificato in 4 miliardi i risparmi derivanti dai VERI tagli sui costi alla politica, Lorenzo Carnimeo diceva giustamente in un suo commento che i risparmi sugli stipendi della “Gasta” sono nell’ordine dello zero virgola qualcosa rispetto al totale della spesa pubblica stessa…
Allora carissimi, di che cosa si sta parlando in questo momento all’interno dell’agone politico? Di fuffa… purtroppo. Parliamoci chiaro: la Costituzione di chiara enunciazione keynesiana o la si abbraccia tutta o la si rigetta tutta.
E’ così: non si può prenderne una parte, dimenticandone un’altra quando fa più o meno comodo. O tutto, o niente.
Nel primo caso, si metta in primo piano il lavoro, ed in questa situazione l’unico datore di lavoro di ultima istanza è lo Stato affiancato ad una Banca Centrale “dipendente”.
Altrimenti, se l’unica soluzione è il taglio della spesa pubblica quale male assoluto e l’eliminazione dello Stato quale regolatore di un mercato intrinsecamente portato al fallimento, meglio dichiarare da subito decaduta la Costituzione repubblicana a vantaggio della pseudo-regolamentazione europea (che, attenzione, non è diretta espressione del popolo ma enunciazione calata dall’alto) poiché una politica da perseguire in tal senso va in netto contrasto con quanto nella Costituzione Repubblicana è contenuto. Punto.
Esagero, ma sarebbe meglio da subito gettare la maschera: dopo 30anni di teatrini, anche il popolo bue inizia a stancarsi della solita medicina che il padrone ha interesse a somministrargli.




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