
1. Parrebbe dunque che se l'Italia non rispettasse i livelli di deficit programmati - come obiettivi intermedi verso un pareggio di bilancio che implica un ammontare di avanzo primario che nessun paese dell'eurozona ha mai registrato, neppure la Germania- il mondo intero cascherebbe.
Al riguardo basti vedere questo grafico, da cui emerge come durante la seconda fase di recessione, indotta dalle politiche di aggiustamento dell'eurozona, quelle che "letteralmente uccidono la domanda interna", l'Italia manteneva un surplus primario di bilancio superiore a quello della Germania.

2. Mentre quest'ultima, durante la recessione ha tranquillamente trasformato il proprio surplus (anni 2009-2011) in un disavanzo primario di bilancio, di entità e durata incomparabili con quanto fatto dall'Italia. E, per di più, l'ha fatto per salvare con fondi pubblici il proprio sistema bancario, infarcito di derivati di valore tutt'ora incerto, senza dunque risolvere l'ancor pendente e colossale problema di Deutschebank (e non solo). Che rimane la banca più rischiosa del mondo, sebbene la vigilanza bancaria BCE appaia preoccupata solo degli NPL del sistema italiano.
E la Germania intervenne senza doversi porre il problema della violazione del divieto di aiuti di Stato, subentrato solo quando le sofferenze causate non dalla recessione importata dalla crisi dei sub-prime, ma proprio dall'austerità obbligata dal fiscal compact (come ammette Bankitalia), avevano investito il sistema bancario italiano sotto il subentrato regime dell'Unione bancaria.
3. Più precisamente, la Germania, attraverso i suoi vari portavoce in servizio permanente, scatena anatemi preventivi che vengono sul FQ sintetizzati dalla sgomenta ironia di Marco Palombi, partendo dalla "cappa inestiguibile che aleggerà per sempre sul vostro paese" di Daniel Gros, - in relazione alla proposta di cancellazione del debito acquistato dalla BCE, con base monetaria generata dal nulla e quindi corrispondente a una passività che De Grauwe stesso definisce come solo formale e sostanzialmente fittizia-, passando per Clement Fuest, dedito a confessare ufficialmente la monocraticità (a base teutonica) delle decisioni dell'Eurogruppo e della BCE ("le autorità Ue non possono stare pigramente a guardare se i neo-anarchici del M5S e gli euroscettici della Lega vanno avanti con le loro politiche rivoluzionarie...Se iniziano a violare le regole fiscali, la BCE, pur riluttante, dovrà agire: l'Italia dovrà introdurre controlli sui capitali e uscire dall'euro") nonché per il mitico H.W. Sinn ("Non c'è soluzione. La catastrofe sta accadendo. E questo porterà alla distruzione dell'Europa"), per finire con "dialogante"Lars Feld che pragmaticamente la fa breve, cercando una soluzione finale ("è il momento di delimitare il rischio Italia").
4. Il Corsera aveva peraltro ben precisato il pensiero attribuito al Presidente della Repubblica che aveva definito l'interesse nazionale, inviolabile e indeclinabile, proprio in relazione ai vincoli fiscali dell'eurozona così pacatamente richiamati dai tedeschi:
"Mattarella si concentrerà su un punto, dei due al centro del suo consulto (che sono, com’è ovvio, l’esistenza di maggioranza autosufficiente e la condivisione di un programma non minimalista). Ossia i vincoli europei. Da intendersi come vincoli economici, a partire dal rispetto dei conti pubblici in base ai parametri dell’eurozona, e vincoli politici, vale a dire la fedeltà ai trattati dell’Unione. Materie sulle quali il Paese non può permettersi di alimentare incertezze, restando in surplace troppo a lungo. È dunque qui che potrà ponderare le eventuali incompatibilità rispetto a quello che si definisce «interesse nazionale».
Obiettivo su cui il capo dello Stato non intende transigere. La sfida più grossa è questa.
Ci piacciano o meno le regole che reggono l’Ue, almeno fino a quando non la si riformerà, cosa ormai vicina, dato il voto continentale del 2019. Pertanto è probabile che il presidente, mentre esorterà i potenziali «soci» (chiunque alla fine siano) di un’auspicabile maggioranza a individuare una strada percorribile per rendere realizzabili le promesse della campagna elettorale, segnalerà il bisogno di un compromesso tra politica ed economia. Questione urgente. Basta riflettere sugli ultimi dati Istat, che rivedono in peggio i conti italiani del 2017, riducendo i margini di manovra del futuro governo".
5. Eppure, eppure, i parametri dell'eurozona, e in generale lo spirito cooperativo che dovrebbe contraddistinguere i rapporti economici tra gli Stati membri, perlomeno in termini di "fedeltà ai trattati", non paiono essere rispettati proprio dalla Germania.
Qualcosa che avevamo evidenziato più volte, sia in relazione alla del tutto mancata "cooperazione reflattiva", sia in relazione alla tradizione mercantilista, che risale a un irrinunciabile atteggiamento ostilmente competitivo, e esplicitamente antisolidale (come ricostruito da Halevi), accentuato e non certo attenuato dai meccanismi della moneta unica. Che costituisce sì un "punto di riferimento", ma solo per una costruzione europea dedita alla compressione della domanda interna, mediante politiche fiscali antisociali (cioè che devono comprimere occupazione, salari e welfare), che la Germania impone da una posizione di vantaggio commerciale ottenuta in violazione delle stesse previsioni dei trattati!
6. E, infatti, persino Macron (!), cogliendo questo colossale aspetto disfunzionale dell'unione monetaria, lo ha fatto presente alla Merkel, proprio negli stessi giorni in cui Mattarella è apparso ignorarlo nella definizione de "l'interesse nazionale" in base a obblighi di fedetlà ai trattati ritenti incombenti solo sull'Italia:
La Germania non deve avere "il feticcio del surplus di bilancio e di quello commerciale", perché ciò "va a spese degli altri". La bacchettata arriva dal presidente francese, Emmanuel Macron, ad Aquigrana assieme ad Angela Merkel per un vertice trilaterale con l'Ucraina. Dopo aver spronato i francesi ad essere pronti "anche a spendere meno soldi pubblici", ha esortato "analogamente" i tedeschi, a superare i loro tabù.
7. Per illuminare il concetto di "interesse nazionale" in base alla natura e al modo di intendere i trattati, senza doversi unilateralmente piegare alla prevedibilità dell'atteggiamento tedesco, in realtà, oltre alla "interpretazione autentica" di Prodi - che parlava della "morsa deflattiva in cui la Germania avvinghia l''Europa" (1990) fin dai tempi dello SME; (qui, p.5, infine) -, ci sarebbe anche la libera opinione espressa da Padoan già nel 1986 (sempre in "era" SME), riportata nell'ultimo libro di Cesaratto:
I soliti insulti contro la Germania di due no-euro sfegatati... no aspetta... è uno scritto del 1986 e gli autori sono... pic.twitter.com/tQFvmL7qsA— Vladimiro Giacché (@Comunardo) 19 maggio 2018
8. Dunque, pensare di attenersi ai parametri fiscali dell'eurozona, ignorando il surplus delle partite correnti della Germania, e l'atteggiamento anticooperativo tedesco ad esso strumentale, non rende un buon servizio alla stessa vitalità della costruzione €uropea.
Anche supponendo che i risultati elettorali avessero premiato chi a tali parametri ha cercato di adeguarsi negli ultimi 25 anni, lo stesso Padoan, conscio che la "flessibilità" prevista dalla Commissione, quanto al rispetto del fiscal compact, è ormai irrevocabilmente esaurita (qui: pp. 2-5), avrebbe proposto un atteggiamento che risulta da questa dichiarazione (siamo al 31 ottobre 2017):
"Il giudizio del governo è che l'Italia sta ancora affrontando condizioni cicliche difficili, anche se in miglioramento". Lo scrive il ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan nella lettera in risposta alla Ue. L'output gap stimato da Roma è al -2,1% del prodotto potenziale nel 2017 e a -1,2% nel 2018, mentre la Commissione nelle previsioni di primavera indica rispettivamente -0,8% e 0. Nella lettera Padoan ricorda che la Ue ha riconosciuto l'attuale metodo di calcolo dell'output gap può generare "stime implausibili per l'Italia".
9. Certo, ma poi il Country Report 2018 della Commissione per l'Italia, continua a considerare colmato l'output gap e ad invitare a rispettare la "regola del debito"(che è un rapporto col PIL) ignorando gli effettivi moltiplicatori fiscali. E quindi fingendo che l'ulteriore austerità fiscale non conduca a una depressione del PIL, cioè a un ulteriore allargamento dell'output gap. Se non addirittura a rasentare una nuova recessione, se i parametri fiscali fossero applicati rigidamente e acriticamente, come vorrebbero i tedeschi.
La disputa sulla stima dell'output gap va avanti almeno dal Def dello scorso anno (qui, pp. 15-18); ed è una disputa a cui anche un governo di sicura fede €urozonista non avrebbe potuto sottrarsi...
Nell'interesse nazionale: che, consiste, quantomeno, nell'avere la coscienza informata che i trattati e l'unione monetaria sono sia insostenibili che irriformabili.
E non nell'ignorare ostinatamente questa realtà, mentre la povertà e la precarietà del lavoro dilagano in una società prostrata da inutili sofferenze.
10. L'interesse nazionale non coincide con l'interesse tedesco, accentuato dall'attuale assetto monetario dei trattati e dalla costante e mai sanzionata (e neppure seriamente sanzionabile) loro violazione della regola del surplus commerciale(qui, p.5)...
Qualunque siano la maggioranza e il programma di un futuro governo italiano.
Persino Macron è consapevole di questo problema.
E sarebbe il caso di prenderne atto e non ignorarne l'importanza per il benessere e la crescita del popolo italiano.