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https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/bilancia-pagamenti/2018-bilancia-pagamenti/statistiche_BDP_20180518.pdf (ultimo "Bollettino" Bankitalia).
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https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/ALL/?uri=CELEX%3A52017DC0771
1. Fiorenzo solleva un punto interessante, sul piano delle descrizioni linguistiche che possono dare origine (o meno) a una "comunicazione" aderente all'interesse esclusivo della Nazione.
Naturalmente, tutti i processi comunicativi e mediatici, pur potendo apparire logicamente conseguenziali a certe premesse linguistico-descrittive, costituite nel caso da indicatori della realtà economica (mi riferisco anzitutto al saldo delle partite correnti con l'estero e alla posizione netta sull'estero), dipendono dalla corretta individuazione e applicazione di regole di inferenza che consentono la deduzione delle conseguenze logiche e delle parole che le esprimono.
Ma è anche vero che i presupposti-premesse del ragionamento quando consistono in concetti politico-economici, richiedono una messa a punto del significato espanso dei dati e delle loro serie storiche: si tratta cioè di affrontare un discorso che dia conto sia delle più ampie necessarie implicazioni degli indicatori prescelti, sia del perché della scelta di "quegli" indicatori, che, inevitabilmente, a loro volta sono significativamente connessi al quadro generale macroeconomico e, all'interno di questo, all'evoluzione della struttura del capitale nazionale: specificamente della tipologia e qualità delle c.d. filiere produttive.
In sintesi: quando operiamo deduttivamente nel campo delle scienze sociali, abbiamo a che fare inevitabilmente con un metalinguaggio.
Ovverosia con una sintassi composta da proposizioni significanti "molecolari" (la cui "verità" dipende dall'aderenza ai fatti delle proposizioni atomiche, secondo un'interessante teoria cognitiva, c.d. "delle descrizioni", elaborata da Bertand Russell).
2. Fatta questa premessa metodologica (mi auguro chiarificatrice), veniamo quindi al commento di Fiorenzo al precedente post:
"Chiedo scusa sia per l'OT che per la possibile scemenza che sto per scrivere, ma vorrei chiedere se la deflazione fiscale operata da Monti non sia alla base della forza contrattuale dell'Italia di oggi, che può sedersi al tavolo delle trattative vantando sia un avanzo primario che un rispettabile surplus commerciale.
E dunque se sia possibile ipotizzare che, quando Monti afferma di aver salvato l'Italia, magari si riferisca proprio a questi risultati; ottenuti certamente al prezzo di un forte aumento del rapporto debito/Pil, il quale tuttavia, in caso di uscita e ridenominazione, sarebbe un problema secondario rispetto ai vantaggi di un buon avanzo primario e di un rispettabile surplus commerciale.
p.s. se l'ho sparata troppo grossa cancella il commento ;-)".
p.s. se l'ho sparata troppo grossa cancella il commento ;-)".
3. Il "paradosso" apparente che propone Fiorenzo non è controintuitivo, tutt'altro: ha fatto bene a porsi il quesito.
Rammento che però, ponendoci sul piano della scomposizione delle proposizioni molecolari fino a rinvenire proposizioni atomiche sufficientemente attendibili (attraverso più gradi scomposizione, data la complessità del contesto, sul piano del quadro macroeconomico e delle interpretazioni stratificatesi negli anni), viene evidenziato un nodo preliminare dal punto di vista logico.
Rammento che però, ponendoci sul piano della scomposizione delle proposizioni molecolari fino a rinvenire proposizioni atomiche sufficientemente attendibili (attraverso più gradi scomposizione, data la complessità del contesto, sul piano del quadro macroeconomico e delle interpretazioni stratificatesi negli anni), viene evidenziato un nodo preliminare dal punto di vista logico.
Per chiarirlo senza fare un trattato, schematizzo e rinvio a precedenti post linkati nella spiegazione schematica che propongo.
Ed il nodo è questo: l'efficienza mostrata dall'Italia nell'aggiustamento "Draghi" (qui, p.1), perché di questo parliamo quando facciamo riferimento alla ristrutturazione avvenuta con una decisiva accelerazione con la "cura Monti" - ed è una sintesi anche questa, poiché Tremonti aveva già iniziato e altri, in diverse condizioni cicliche, prima di lui (qui, pp. 4-6 e qui più diffusamente). - avviene a costo di una riduzione tale dei consumi e degli investimenti (nel medio periodo, soprattutto questi) da innescare una deindustrializzazione.
4. Notare che questa (relativa) efficienza non dipende dall'esatto rispetto della "filosofia" dell'aggiustamento, che è imperniato sul parametro produttività-competitività, e che avrebbe richiesto una correzione verso il basso del costo del lavoro ancora più intensa.
Dipende invece dal fatto che la situazione italiana, come stock di impianti (sia pure falcidiato dall'aggiustamento), diversificazione e ampiezza delle competenze, capacità di sviluppo-ricerca-innovazione, parte pur sempre da un punto relativamente elevato, quantomeno rispetto a paesi come Grecia, Portogallo e, sostanzialmente, la stessa Spagna. O l'Irlanda, che è forse il modello di specializzazione industriale, a proprietà estera quasi totalitaria, che costituisce il punto di arrivo verso il quale ci spinge l'€uropa. Con l'aggiunta di un livello retributivo (retribuzione oraria; v. sotto) che ci spinge verso...l'est europeo e i balcani.
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Questo aspetto disfunzionale dell'aggiustamento deflattivo "puro", esclusivamente condotto sul rapporto tra importazioni e prodotto nazionale, è ben evidenziato da Kaldor, Kahn e Caffè. E più tardi praticamente da...tutti, in primisKrugman, Stiglitz e poi lo stesso De Grauwe; almeno quando non finge di non sapere cosa ci sia scritto nei trattati e non idealizza le prospettive austero-espansive in Ue-m.
5. Ora, un indebolimento strutturale per via di consolidamento deflattivo - di tipo salariale, considerandosi (nella visione ordoliberista e mercantilistaesplicitamente traposta nei trattati) s olo questo "volano" come rilevante per l'abbassamento del CLUP e considerandolo altresì come unica leva per la ripresa degli investimenti privati -, è evidentemente connotato dal simultaneo manifestarsi di due obiettivi, insiti (altrettanto strutturalmente) nei trattati e nella moneta unica:
a) la gerarchizzazione industriale selettiva(e per noi peggiorativa) determinata dai ricardiani vantaggi comparati (qui, p.2);
b) la progressiva acquisizione del controllo delle residue filiere "competitive" da parte degli investitori esteri, (cioè, di cui in larga parte abbiamo perso il controllo proprietario, ovvero in cui siamo price-taker ).
Continuare a condividere questa prospettiva, perseguita dalla "cura Monti" e proseguita nell'assunto politico della doverosità dell'incondizionata osservanza dei parametri del fiscal compact, con ogni evidenza, non è una condizione autosufficiente di forza (negoziale di fronte alle istituzioni Ue): la riconquista competitività selettiva e del surplus commerciale con l'estero, è un indicatore di vitalità, certamente superiore a quella che probabilmente si aspettavano (al varco) gli spennatori professionali dell'Ital-tacchino.
Ma, per l'appunto è l'indicatore di una vitalità paradossale; quella nel perseguire una collocazione regressiva nelle gerarchie economico-politiche interne all'eurozona e, in generale, ai mercati "globalizzati".
6. La nostra forza, cioè, è nel potenziale di cui questa vitalità, mostrata coi risultati ottenuti sugli indicatori sopra evidenziati, è un sintomo: cioè l'Italia non è la Grecia, il problema non è il debito pubblico, - e anzi, il dirlo e seguire politiche di austerità a prescindere dal ciclo economico, serve a renderlo un problema- e l'Italia deve difendere e semmai ampliare le sua capacità produttive con un adeguato livello di incentivazioni ad investimenti in settori produttivi che rimuovano le strozzature attuali (determinate dallo spiazzamento deflazionista sui servizi labor-intensive) e incentivino la "sostituzione" delle produzioni estere che, essenzialmente, un cambio eccessivamente alto ha reso un'importazione "strutturale".
7. La nostra forza "negoziale", quindi, deriva non dalla cura Monti, ma dalla dimostrazione che potremmo pure cavarcela aggiustando la struttura industriale alla pressione, free-trade e finanziaria, del modello dei trattati; ma tutto questo, preliminarmente, dipende da una precedente e diversa realtà.
E cioè l'Italia era un paese a capacità industriale (in senso lato) particolarmente ricca, diversificata ed efficiente; ed anche deturpata da politiche economiche e fiscali per noi geneticamente sbagliate rimane sempre abbastanza forte da non essere ricattabile e soggiogabile nel modo che fa comodo ai nostri competitors interni all'eurozona.
Oggi, più che mai, se vogliamo salvarci, dobbiamo rammentarcelo e rammentarlo ai nostri euro-partner. La nostra forza contrattuale quindi dipende da questo.