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LO STATOBRUTTO E GLI SPRECHI, LA CONSIP E LE GARE DI APPALTO: UN DÉJÀ VU SENZA FINE.
Post di Sofia
1. Non è una novità che gli SPRECHI e la CORRUZIONE siano i più potenti cavalli di battaglia per vendere giornali e libri, per incollare gli spettatori davanti ai talk show, per condizionare l’elettorato in tempi di campagne elettorali (e non). Così come non è una novità che le notizie siano spesso riportate in maniera incompleta e fuorviante al solo scopo di condizionare mediaticamente la massa dei cittadini che non avranno mai il tempo e la pazienza di andare a verificare le fonti (laddove i giornali si degnassero di riportarle) e, spesso, di trarne le corrette conclusioni. Così che di fronte ad un territorio che si sgretola, ai servizi sempre meno efficienti (o meglio esistenti), ai tagli di ogni forma di welfare, è inevitabile che questi pensino che il pareggio di bilancio sia giusto per evitare gli sprechi e che sarebbe meglio essere governati da qualcun altro perché siamo una pletora di incapaci.
Allora, per dimostrare come questo bombardamento mediatico sia davvero incessante e lesivo e che occorre mantenere sempre un alto livello di attenzione per non lasciarsi assuefare da rappresentzioni distorte della realtà, basta prendersi l’articolo pubblicato a pag. 6 de “IL MESSAGGERO” di domenica 1 luglio.
2. Significativo è già solo il titolo (“MINISTERI, SANITA’ ED ENTI LOCALI-CHI VINCE LA GARA DEGLI SPRECHI”).
Riassumendo i contenuti dell’articolo:
a) l’allarme sarebbe stato lanciato qualche giorno fa dalla Corte dei Conti (senza che venga riportata alcuna fonte) secondo la quale sarebbe ancora troppo alta, anzi più che prevalente la quota di acquisti di beni e servizi pubblici fatta al di fuori delle procedure Consip.
b) dei 47,4 miliardi di spesa complessiva soltanto 9,6 miliardi sono passati attraverso il sistema della centrale unica per gli acquisti (con riferimento all’anno 2017), ossia solo il 20%.
c) In tempi di disperata caccia alle “coperture” per far quadrare il bilancio e di spending review, quindi, l’attuale Governo avrebbe ampi margini di miglioramento, soprattutto ora che con la fine della politica monetaria accomodante della BCE e della volontà di non aumentare le tasse, non voi sarebbero alternative a tagliare gli sprechi.
d) Ad aggirare le norme che prevedono di transitare per le gare Consip sarebbero soprattutto le Amministrazioni centrali (su 8,8 miliardi di acquisti, solo 1,7 sono passati per Consip) rispetto a comuni e regioni.
e) Il risparmio che si otterrebbe dall’uso massiccio di Consip sarebbe evidente (si sarebbe avuto un risparmio del 58% sui server, del 49% sulla telefonia, del 40% per le stampanti, del 10% sull’energia).
f) Questo avverrebbe perché la normativa che negli ultimi anni ha previsto l’obbligatorietà delle gare Consip, non avrebbe previsto per contro, delle sanzioni per chi non rispetta le regole (che quindi sarebbe sufficiente introdurre).
a) l’allarme sarebbe stato lanciato qualche giorno fa dalla Corte dei Conti (senza che venga riportata alcuna fonte) secondo la quale sarebbe ancora troppo alta, anzi più che prevalente la quota di acquisti di beni e servizi pubblici fatta al di fuori delle procedure Consip.
b) dei 47,4 miliardi di spesa complessiva soltanto 9,6 miliardi sono passati attraverso il sistema della centrale unica per gli acquisti (con riferimento all’anno 2017), ossia solo il 20%.
c) In tempi di disperata caccia alle “coperture” per far quadrare il bilancio e di spending review, quindi, l’attuale Governo avrebbe ampi margini di miglioramento, soprattutto ora che con la fine della politica monetaria accomodante della BCE e della volontà di non aumentare le tasse, non voi sarebbero alternative a tagliare gli sprechi.
d) Ad aggirare le norme che prevedono di transitare per le gare Consip sarebbero soprattutto le Amministrazioni centrali (su 8,8 miliardi di acquisti, solo 1,7 sono passati per Consip) rispetto a comuni e regioni.
e) Il risparmio che si otterrebbe dall’uso massiccio di Consip sarebbe evidente (si sarebbe avuto un risparmio del 58% sui server, del 49% sulla telefonia, del 40% per le stampanti, del 10% sull’energia).
f) Questo avverrebbe perché la normativa che negli ultimi anni ha previsto l’obbligatorietà delle gare Consip, non avrebbe previsto per contro, delle sanzioni per chi non rispetta le regole (che quindi sarebbe sufficiente introdurre).
3. Sulla questione CONSIP, in verità, abbiamo già avuto modo di scrivere e il tema dovrebbe essere abbastanza chiaro (vedere quie qui). Sostanzialmente si era evidenziato (ben conoscendo il funzionamento delle procedure di appalto e della relativa disciplina) come la concentrazione degli acquisti in mano ad una unica centrale non è affatto la soluzione al problema che tutti pensano (o di cui cercano di convincerci). Il risparmio, in verità, è solo apparente; ma soprattutto la centralizzazione determina effetti di cui non è facile rendersi immediatamente conto. Concentrare gli acquisti in un’unica centrale di committenza - con conseguenze sui più elevati requisiti di partecipazione che ne derivano in base alla disciplina "europea" (acuendo l'esclusione di settori sempre più ampi di piccole e medie imprese, contrariamente a quanto riporta l’articolo si citato) - significa determinare una struttura naturalmente oligopolistica dell'offerta a cui si rivolgono le gare centralizzate, con conseguente inevitabile incorporazione delle rendite oligopolistiche nelle tariffe e nei prezzi ed in ogni tipo di corrispettivo. A questo fenomeno è del tutto omologo quello altrettanto agevolato dalla struttura oligopolistica dell'offerta, per cui si abbassano (leggermente) i prezzi, ma si forniscono beni di qualità e durevolezza minori, che incorporano la rendita, cioè il sovrapprezzo rispetto a quello risultante dal costo marginale. L'amministrazione, cioè, apparentemente sembra risparmiare, ma in realtà diviene potenziale acquirente di beni (e servizi) di scarsa o minor qualità rispetto al passato, a prezzi di cui non può dimostrarsi nè la convenienza obiettiva rispetto al prezzo di mercato, nè la significativa convenienza "relativa", cioè rispetto agli acquisti precedenti.
4. Tornando, però, all’articolo di giornale su riassunto, occorre riportare innanzitutto la fonte (non citata da “Il Messaggero”) da cui sono stati estrapolati in maniera strumentale alcuni dei passaggi su esposti, ossia il “Giudizio di parificazione sul rendiconto generale dello Stato per l'esercizio finanziario 2017” (reperibile qui) del 26 giugno 2018 (si veda in particolare la “Introduzione del Presidente Angelo Buscema”.
La lettura del documento offre l’occasione per evidenziare, ancora una volta, la contraddittorietà degli assunti del giudice contabile e la mancanza dei necessari collegamenti tra i dati economici ed i fenomeni storici riportati nella relazione. Se ne riporta, sinteticamente, qualche significativo esempio.
Tenendo ben presente che la relazione si riferisce all’anno 2017, questa fa riferimento da un lato alla “ripresa della crescita economica” - dove l’hanno vista non si sa – e al “migliore quadro occupazionale” – assolutamente smentito dai dati dell’ISTAT; dall’altro alla circostanza che tali presunti positivi dati non ridurrebbero lo scostamento dell’Italia rispetto ai maggiori Paesi dell’Area dell’euro dovuto a ritardi strutturali del nostro sistema in termini di produttività e di tasso di accumulazione (intesso come accrescimento dello stock di capitale, cioè della dotazione di beni capitali -impianti, macchinari ecc.- ottenuta mediante investimenti).
(tutti i grafici sono estratti dal sito delDipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica)
E poi ancora, se poco prima si ammette l’incisiva mancanza di investimenti, dall’altra - come se non vi fosse alcun nesso - si ammette la sussistenza del differenziale negativo di crescita del Pil e come conseguenza della mancata crescita del Pil il fatto che questo penalizzerebbe gli sforzi compiuti con gli interventi di contenimento della spesa pubblica (e, in generale, di riequilibrio dei bilanci) e ne ridimensionerebbe l’efficacia in rapporto al prodotto (così invertendo i termini del problema e soprattutto negando gli effetti e la stessa esistenza del moltiplicatore).
E ancora, sempre in maniera contraddittoria, prendono atto dell’insuccesso dei tentativi di rilancio degli investimenti pubblici e della precarietà dell’assetto di un sistema fiscale che, in un decennio di urgenze e di emergenze, sarebbe stato sottoposto a stress continui che ne avrebbero offuscato i principi ispiratori. Così che, la soluzione delle soluzioni, sarebbe che, nella gestione della finanza pubblica, sia urgente una maggiore efficienza nella gestione delle risorse perché interventi di ulteriore compressione della spesa si tradurrebbero in un progressivo scadimento della qualità dei servizi resi alla collettività.
5. Altro dato interessante che si trae dalla relazione, su cui ci si sofferma in ragione del fatto che è stato riportato spesso dai media negli ultimi giorni, è la preoccupazione espressa per gli esiti della definizione agevolata dei ruoli prevista dal DL n. 193 del 2016. A fronte di un ammontare lordo complessivo dei crediti “rottamati” di 31,3 miliardi, l’introito atteso per effetto della “rottamazione” ammonta a 17,8 miliardi. Di tale importo sono stati riscossi nei termini solo 6,5 miliardi, comprensivi degli interessi per pagamento rateale.
A tale somma introitata deve aggiungersi la parte rateizzata ancora da riscuotere, pari a 1,7 miliardi comprensivi di interessi. Pertanto, dei 17,8 miliardi previsti a seguito delle istanze di definizione pervenute, 9,6 miliardi non sono stati riscossi e costituiscono versamenti omessi.
Quello che inquieta, però, è che da questi dati la Corte dei Conti trae come conclusione che (“per una parte di queste posizioni debitorie”) “l’istanza di rottamazione ha avuto essenzialmente finalità dilatorie rispetto all’espletamento delle procedure esecutive”, senza che sia neppure considerata l’ipotesi che la mancanza di investimenti, le politiche dei tagli per rispettare le esigenze di equilibrio di bilancio, i tagli ai servizi, l’aumento della disoccupazione, possano determinare situazioni di mancanza di risparmio, di incapienza economica, insufficienza di risorse per far fronte ai propri debiti.
6. Comunque, tornando agli aspetti posti in evidenza nell’articolo menzionato, la Corte dei Conti specifica che da alcuni anni l’indebitamento netto del conto delle Amministrazioni pubbliche (39,7 miliardi nel 2017) è per intero imputabile alle amministrazioni centrali - e, quindi, allo Stato - poiché i conti delle Amministrazioni locali e quelli degli Enti di previdenza presentano un saldo attivo, che nel 2017 è risultato, rispettivamente, di 677 milioni e di 2,3 miliardi, a fronte di un disavanzo delle Amministrazioni centrali di 42,7 miliardi.
Dovrebbero essere dati non sorprendenti se non si ignorano gli stringenti oneri di riequilibrio del disavanzo imposti a questi enti (che pure la Corte dei Conti è costretta a sottolineare, nonostante i conseguenti effetti delle manovre di rientro sui servizi ai cittadini); in ogni caso il giornalista si guarda bene dal sottolineare questo positivo dato (se così lo vogliamo definire un taglio della spesa degli enti locali di un ulteriore 0,7%), ma concentra la propria attenzione solo sullo Statobruttoinefficiente.
I dati di Rendiconto registrano un aumento complessivo della spesa per l’acquisto di beni e servizi effettuata sia attraverso il Programma di acquisti centralizzati, sia con strumenti che operano al di fuori di esso di quasi 4 miliardi con un incremento del 26 per cento rispetto al 2016. Si conferma nell’anno la netta prevalenza (65,2 per cento) degli acquisti al di fuori delle procedure Consip.
Ma, attenzione, il giornalista non riporta il paragrafo di chiusura di questa prima parte della relazione, dove la Corte dei Conti non critica gli acquisti effettuati fuori Consip come il quotidiano vorrebbe far credere, ma invece non manca di specificare: Le difficoltà incontrate in questi anni, specie in relazione all’esperienza del “Facility management” porta a ritenere indispensabile che i soggetti cui è affidata la regia dei processi di acquisto affrontino e risolvano le criticità evidenziate dalle Amministrazioni. A tal fine è probabilmente necessario operare una profonda revisione del modello incentrato sulla fornitura unica di prestazioni molto eterogenee tra loro ed indirizzarsi verso procedure di gara specifiche; se non prevedere, sulla base del modello adottato per acquisti pubblici in altri paesi europei, l’istituzione di più centrali di acquisto specializzate per tipologie di prodotto e/o su base territoriale.
Insomma la Corte dei Conti non può certo criticare il sistema di approvvigionamento Consip nei termini in cui è stato fatto sul blog, ma neppure può mancare di riportare le criticità che da anni le amministrazioni stanno riscontrando (e di cui sono stata testimone diretta anche per motivi di lavoro).
7. D’altra parte, il sistema degli acquisti è molto complesso e non sorprende che le notizie siano riportate in maniera inesatta.
Ad esempio molti acquisti non sono effettuati tramite Consip per stessa disposizione di legge. L’articolo 1, comma 510, della legge 298/2015 stabilisce che: “Le amministrazioni pubbliche obbligate ad approvvigionarsi attraverso le convenzioni di cui all’articolo 26 della legge 23 dicembre 1999, n. 488, stipulate da Consip SpA, ovvero dalle centrali di committenza regionali, possono procedere ad acquisti autonomi esclusivamente a seguito di apposita autorizzazione specificamente motivata resa dall’organo di vertice amministrativo e trasmessa al competente ufficio della Corte dei conti, qualora il bene o il servizio oggetto di convenzione non sia idoneo al soddisfacimento dello specifico fabbisogno dell’amministrazione per mancanza di caratteristiche essenziali”.
Quindi si può acquistare fuori dalle convenzioni Consip solo se il bene non è offerto da Consip oppure se il prezzo di vendita è superiore a quello di mercato, o il bene offerto da Consip non risponde alle esigenze dell’amministrazione (in base a motivazioni che debbono essere dettagliatamente specificate) così che le amministrazioni locali o centrali possono provvedere all’acquisto tramite autonome gare di appalto (si badi bene, non certo con acquisti diretti, e quindi con sistemi che comunque garantiscono la concorrenza tra operatori economici e l’acquisto da parte del miglior offerente).
Come se non bastasse vi è anche altra norma che non si può ignorare e che si deve necessariamente applicare laddove nelle more della procedura di gara intervenisse una convenzione Consip o di altra centrale di committenza regionale migliorativa delle condizioni contrattuali previste dalla gara avviata in via autonoma.
L’articolo 1, comma 13, del d.l. 95/2012, convertito in legge 135/2012, dispone che “Le amministrazioni pubbliche che abbiano validamente stipulato un autonomo contratto di fornitura o di servizi hanno diritto di recedere in qualsiasi tempo dal contratto, previa formale comunicazione all’appaltatore con preavviso non inferiore a quindici giorni e previo pagamento delle prestazioni già eseguite oltre al decimo delle prestazioni non ancora eseguite, nel caso in cui, tenuto conto anche dell’importo dovuto per le prestazioni non ancora eseguite, i parametri delle convenzioni stipulate da Consip S.p.A. ai sensi dell’articolo 26, comma 1, della legge 23 dicembre 1999, n. 488 successivamente alla stipula del predetto contratto siano migliorativi rispetto a quelli del contratto stipulato e l’appaltatore non acconsenta ad una modifica, delle condizioni economiche tale da rispettare il limite di cui all’articolo 26, comma 3, della legge 23 dicembre 1999, n. 488. Ogni patto contrario alla presente disposizione è nullo".
Insomma, al di là della complessità dell’argomento, difficilmente sintetizzabile in maniera rozza come fanno spesso i giornalisti, il mancato acquisto tramite Consip può dipendere da ragioni molteplici (alcune anche dipendenti dalla stessa Consip e non dalla mancanza di sanzioni che, invece, ci sono eccome!) tutte monitorate, comunque, proprio dalla Corte dei Corti che, infatti, non si è affatto espressa nei termini negativi con cui ha fatto Il Messaggero, ma esattamente in senso contrario.