Post di Sofia
1) Alessandro Turci (su Panorama di oggi 9 luglio 2018), usa un termine ormai stra-noto: “POPULISMO”; per etichettare l’ideologia dei sovranisti anti migranti che ridurrebbe a una bieca forma di egoismo sociale, sovranisti che giocano allo scaricabarile. E si legge: “è forse giunto il momento di chiedersi se il populismo, oltre alla difesa dell’olio d’oliva e al me ne frego sui vincoli di spesa pubblica, ha qualcosa in più da offrire alle sfide della società moderna” e si domanda anche quali saranno gli effetti del post-populismo.
Quando le pulsioni del popolo saranno soddisfatte - e lo Stato avrà ricevuto tramite la democrazia diretta il potere di sottomettere e punire, chiudere i porti a individui e merci - il popolo medesimo si troverà al capolinea di quest’impari dialettica. S’accorgerà, in parole povere, di aver delegato per intero potere e contrappesi, e gli resterà come sola speranza l’unico principio che credeva invece essere il nemico mortale: la ragione. Cioè l’iniziativa illuminata di una nuova leadership che torni a dare equilibrio tra tutte le componenti del patto sociale: il popolo, i suoi delegati, le sue leggi.
Turci ritiene chela differenza fondamentale tra l’ancien régime e il nuovo corso, è tutto nel rapporto tra popolo e potere. Quando il primo cede alle sirene del populismo, cioè l’illusione di aver trovato l’incarnazione della volontà popolare in un solo uomo o movimento, tutto quello che può ottenere in cambio è, per usare un vocabolario da antico regime, octroyés. Cioè concesso come grazia, proprio come i sovrani concedevano ai popoli le Costituzioni.Il populismo è lo stesso principio, solo ribaltato. Rappresenta il viatico che porta alla relativizzazione dello stato di diritto. Alla fine del tunnel populista albeggia, quindi, l’agonia delle garanzie costituzionali.
2) Le parole del giornalista si commentano da sole, anche se non sono certo una novità.
Come giustamente aveva a suo temposottolineato Quarantotto, se il popolo italiano, non certo in ragione di una minima informazione fornitagli sui veri obiettivi della riforma (appunto diretta a consentire il più "efficiente" rispetto di regole economiche sul debito e sulla spesa pubblica estranee e contrarie alla Costituzione), si pone delle domande e "resiste" - secondo quel "diritto di garanzia costituzionale" riconosciuto dallo stesso Mortati-, si grida al "populismo".
Così come Federico Caffè, protagonista della fase Costituente, già nel 1978 (in occasione dell'adesione italiana allo SME) aveva evidenziato come "il fastidio del tutto esplicito per le soluzioni non elitarie e l’artificiosa attribuzione della qualifica di “populismo” a ogni aspirazione di avanzamento sociale avvengano con la tacita acquiescenza delle forze politicamente progressiste ".
Dunque "populismo"è un termine che esprime "il fastidio per le soluzioni non elitarie".
E quali soluzioni sono più elitarie e impenetrabili alla comprensione del cittadino comune delle clausole dei trattati liberoscambisti che instaurano in €uropa e nel mondo, il capitalismo sfrenato delle multinazionali, della finanziarizzazione del potere istituzionalizzato e della competizione a scapito dell'occupazione e del welfare?
Turci disdegna le forme di democrazia esercitate dal popolo (e quindi populiste. Quando la Francia di François Mitterand, nel 1981, abolì la pena di morte, ebbe l’intuizione e il coraggio di evitare un referendum popolare. Se i francesi fossero stati chiamati a esprimersi per via referendaria, probabilmente la pena capitale non sarebbe mai stata cancellata dall’impianto penale francese, come invece avvenne per decreto.
Insomma il corpo elettorale, per definizione, non può capire cosa veramente gli conviene...E non proporgli sacrifici e sceltedolorose sarebbe da destra xenofoba (e populista).
3) Il termine “populista” - rendersi portavoce delle istanze del popolo (nel senso evidenziato da Alberto Asor Rosa, Scrittori e popolo, 1965, secondo cui “perché ci sia populismo, è necessario insomma che il popolo sia rappresentato come un modello”) - è ormai stravolto; è considerato l’arma dei partiti di governo dell’Unione Europea per tracciare una differenza ontologica tra essi e i partiti che propongono una visione diversa della società, i cosiddetti “antisistema”: “Solo noi (centristi ed europeisti) siamo governativi, gli altri sono solo alla ricerca di facili consensi”. Con questa strategia comunicativa – ormai più efficace della vecchia “reductio ad hitlerum” – i partiti “di sistema” indicano i loro oppositori come immaturi e utopisti, quando non mistificatori e ingannatori, e dunque preclusi al governo di un Paese.
4) Nicola Tranfaglia (nel suo libro Populismo: Un carattere originale nella stria d’Italia) pensa al populismo inteso come capacità di coinvolgere le masse degli umani dicendo esattamente quello che vogliono sentirsi dire e che, non dovendo attuare un programma preciso o dettato da una ideologia pregressa, dispone della flessibilità necessaria per andare, di volta in volta, incontro alle esigenze e ai desideri del SUO popolo.
E Loris Zanatta (nel proprio saggio: "Il populismo", Carocci editori, Roma, 2013) scrive: Nel "nucleo" del populismo ritroviamo in sintesi un orizzonte ideale che non solo rigetta l'ethos della democrazia di tipo liberale, ma ne fa la più robusta corrente antiliberale dell'era democratica. Poco importa, a tale proposito, che taluni leader o movimenti populisti esibiscano credenziali liberali, come nei casi dei rivoluzionari messicani, orgogliosi eredi di Benito Juàrez, dei presidenti Menem e Fujimori nell'Argentina e nel Perú degli anni novanta del Novecento, autori di politiche neoliberali, o del partito fondato nel 1994 da Berlusconi invocando nientemeno che la "rivoluzione liberale": in tutti questi casi, simili professioni ideali non hanno impedito che si imponessero logiche estranee alla democrazia liberale; ora approdando in Messico a un rigido sistema corporativo, ora riproducendo nei casi di Argentina e Perù i fenomeni patrimonialisti e clientelari tipici dei populismi, ora attentando alla separazione dei poteri e introducendo velate forme di governo plebiscitario in nome del popolo nel caso italiano di Berlusconi".
5) E solo qualche giorno fa, invece, il più romantico Enrico Pazzi, giornalista dell’Huffingtonpost, ricordando i bei tempi che furono, di quelli che credevano fortemente nella globalizzazione e che oggi si ritrovano oramai disillusi e più vecchi di 20 anni, si riferisce al presente come al “giorno contrassegnato dal populismo più becero, sostenuto dalla paura quale metro di pensiero collettivo. La paura quale fondamento ideologico dell'amore politico”. E la sua acuta ed intelligente conclusione è che “sia necessario avere comprensione per coloro che danno il proprio consenso ai partiti e movimenti populisti. Non basta l'ignoranza a spiegare i milioni di voti a favore dei populisti. C'è qualcosa di più profondo e intimo. C'è una grande solitudine al fondo delle cose. Una mancanza di comunità, che si è disgregata non oggi, ma vent'anni fa. Che ci si dica di destra o di sinistra, che si creda o meno ai vantaggi di stare in Europa…c'è da curare prima di ogni altra cosa quella grande solitudine che ci blocca in un eterno presente populista”.
Sante parole quelle di Pazzi, accidenti! Se non ci fossero quelli come lui a fare analisi tanto sofisticate!
Come faremmo a non comprendere che quello che ci blocca in questo presente populista non è la mancanza di lavoro e di prospettive, l’impossibilità di riuscire mai a comprarsi una casa, di mettere da parte dei risparmi per curarci quando saremo vecchi, non è una quotidianità fatta di immondizia che straborda in ogni angolo della città, i mezzi pubblici che non funzionano, le liste di attese alla ASL o le code al pronto soccorso di un ospedale, le strade che non asfaltano da vent’anni o lo stato di abbandono che trasuda in ogni centimetro delle nostre città…no, no…ciò che ci blocca nel populismo è proprio una GRANDE SOLITUDINE AL FONDO DELLE COSE.
6) Penso sia superfluo sottolineare il senso di mortificazione che suscitano queste opinioni in tutti quelli che non si sentono affatto un branco di pecore acefale ma uomini e donne che credono ancora nella sovranità che appartiene al popolo, nel rispetto dei diritti fondamentali costituzionali e nel fatto che la Costituzione non sia il libro dei sogni ma che debba costituire l’essenza imprescindibile di ogni programma di Governo che si ponga dignitosamente alla guida del suo Popolo.
Ma ovviamente i media fanno il loro gioco, o meglio il gioco di chi li paga, e denigrare non basta, occorre anche terrorizzare, indurre un senso di spavento e di timore.
7) Chi non ha visto ieri lo Speciale di Alessando Marenzi su Sky Tg24 sul sondaggio condotto su chi vorrebbe uscire dall’euro? Il 74% dice di no. Il servizio è stata una apoteosi di false informazioni e terrorismo psicologico, come se, peraltro, la Brexit non esistesse e non valesse come esempio (se pure con le dovute differenze visto che il regno Unito non è mai entrato nell’Euro) di come debba essere condotta una uscita, per non creare proprio quelle situazioni di emergenza e irrecuperabilità che gli espertoni espongono ad ogni più sospinto.
8) Francesco Borgonovo, giornalista de “la Verità” (nell’articolo di domenica 8 luglio “Amato si confonde e annuncia il ritorno delle leggi razziali”), riporta le parole di G.AMATO che addirittura rievoca le Leggi antiebraiche e sostiene che quando iniziative come queste (riferendosi alle politiche anti immigrazione dell’attuale Governo) si verificano, non c’è soltanto un regime con il suo carico di violenza e repressione. C’è anche un cambiamento che penetra nelle coscienze e altera il rapporto interno alle stesse. Questo accadde allora…ma è evidente che stia per accadere di nuovo. Dice in senso allarmistico…non è che ci sta cominciando ad accadere qualcosa? Se le leggi razziali sono dietro l’angolo è colpa dei populisti e dei sovranisti. “Il sovranismo che ha sempre una sua matrice razzista, rischia di danneggiare l’idea stessa di Europa e di compromettere la difesa del fondamento degli ordinamenti costituzionali nati nel solco degli orrori della Shoah: la dignità umana”.
Ecco quindi qual è il problema, che i sovranisti minacciano l’Europa e la Costituzione (ma non è chiaro Amato come intenda la Costituzione, anzi lo sappiamo e ho l’impressione che lo vedremo presto anche nelle sentenze della Corte, purtroppo) e sono razzisti.
Insomma è razzista chi critica l’immigrazione di massa o invochi il rispetto della legge italiana o si opponga all’azione delle Ong, chi vuole proteggere i confini del proprio paese.
9) A queste parole di Amato, nello stesso quotidiano di domenica, Claudio Risé (nell’articolo “Il declino delle élite affossate dal progresso”) contrappone le parole di Giuseppe Prezzolini fondatore della Voce: L’aristocrazia dei briganti: siamo con Pareto nel disprezzo per tutta quella parte di classe dominatrice paurosa, imbelle, atrofizzata per l’inerzia…suicida di paura”. Risè forse affronta il problema in modo un po' riduttivo quando parla della inerzia della paura, quella che dalla vigilia del fascismo rimane una delle principali caratteristiche delle élite malate destinate ad essere sostituite da quelle nuove e dinamiche, più motivate. Secondo Risè le vecchie élite non hanno motivazione perché la prevalenza degli interessi materiali produce su di esse un appesantimento, una intossicazione nelle motivazioni provocando una sorta di sclerosi, un rallentamento nel ricambio e nel movimento. Mentre la presenza di ideali e attenzione agli interessi collettivi fornisce ai nuovi dirigenti il coraggio di sviluppare e usare la forza, con una determinazione di cui le vecchie élite impaurite non sono più capaci.
Richiama Pareto (ma vedasi - a proposito di elitismo, Malthus e Pareto i recenti posti di Bazaar con la collaborazione di Francesco Maimone e Arturo – parte prima e parte seconda) quasi a voler evidenziare un processo storico inevitabile, ossia il succedersi delle aristocrazie, delle élite, delle minoranze che si formano, lottano e conquistano il potere, le quali a loro volta, con il procedere del tempo, si logorano e decadono per farsi sostituire da nuove minoranze dotate di quelle risorse psichiche di energia e flessibilità che le vecchie élite avevano consumato e smarrito.
Un alternarsi tra la classe di residui guidati dall‘istinto delle combinazioni (ossia la propensione al cambiamento, a innovare, a inventare o a produrre nuove iniziative), e che hanno la personalità delle volpi (individui creativi, pazienti, manipolatori, propensi a ricorrere all’astuzia e al compromesso); e la classe guidata dalla persistenza degli aggregati (l’espressione del sentimento conservatore, chi esalta la continuità, la stabilità e il mantenimento dei rapporti tradizionali) con gli impulsi propri della personalità dei leoni (propensi alla risolutezza, allo scontro e alla inflessibilità).
E nel ritenere che nella realtà non vi sarebbe mai un equilibrio tra le volpi e i leoni, ma che prevarrebbero gli uni agli altri in un processo di avvicendamento, Pareto rievoca il concetto di poliarchia di Dahl, il governo di molti, le strutture politiche dello Stato che assicurano una pluralità di interessi minoritari in perenne competizione tra loro nel quale nessuno è in grado di prevalere e divenire maggioritario. Concetto di poliarchia, a sua volta criticato da Bachrach e Baratz proprio per il fatto di non prevedere quelle forme di potere che non coincidono con le decisioni prese, ma esprimono piuttosto la selezione dell’agenda politica, in cui si stabiliscono anticipatamente i confini, le regole e la partita in gioco. Si tratta di non-decisioni che rientrano comunque nell’esercizio del potere. Le decisioni importanti vengono tenute fuori dall’élite, dall’agenda esplicita delle decisioni e dunque non vi è possibilità di concorrere alla scelta. Sostanzialmente, quindi, esisterebbe un doppio livello di potere di cui uno solo è osservabile.
10) Ora, il discorso sarebbe complesso e lungo, e dovrebbe passare necessariamente anche per le critiche di Polsby e l’Elitismo post-moderno (si veda Élite dirigenti. I gruppi di vertice nel capitalismo olonico – Armando Editori 2011 Di Luigi Gentili), e forse il tutto non si riduce propriamente alle considerazioni di Risè, ad una quasi casuale alternanza (se pure considerata storica), alla lotta tra Leoni (i politici che danno una forte importanza agli equilibri che garantiscono l’indispensabile continuazione della società umana e animale, difensori della sicurezza di tutti i cittadini), e volpi (che astutamente giocano tra le diverse combinazioni possibili, spesso per il proprio interesse personale, gli speculatori, che si diffondono nelle civiltà giunte all’apice della ricchezza, ma dirette verso sicura decadenza appunto per la scarsa attenzione al benessere e alla sicurezza collettiva).
Ma certamente gli uomini e le donne di questa fase storica, nonostante l’occultamento degli sforzi di chi sta in trincea e le mistificazioni dei media, lottano per vedere realizzata questa alternanza che è divenuta una questione di sopravvivenza. Una alternanza che laddove si realizzasse, non sarebbe certo per la becera sopraffazione dei populisti sulla precedente classe elitaria, ma sarebbe per la presa di coscienza che (come giustamente riporta Crisè) esistono personaggi come George Soros, il più grande speculatore della nostra epoca, vecchia e astutissima volpe della finanza internazionale (peraltro in ottima compagnia), che in maniera strategica e mirata specula contro i diversi interessi nazionali, e si batte per la libertà di immigrazione e assieme dei diversi “diritti” scegliendoli accuratamente tra quelli più destabilizzanti per le culture tradizionali dei diversi Paesi. Che l’Euro e l’Europa sono strumenti di potere nelle mani di queste volpi. Che non è certo il senso di una “grande solitudine al fondo delle cose” (a meno che non si faccia riferimento all’abbandono delle istituzioni asservite a dettami sovranazionali) a far desiderare alternative e soprattutto soluzioni, ma il senso di fame, il senso di angoscia per la povertà che incombe sulle nostre teste, il senso di disfacimento di istituzioni, strutture democratiche, sistemi assistenziali e costituzionalmente solidaristici portati avanti con meticolosità e metodo da ombre potenti a cui il POPOLO, finalmente, ricomincia a far sentire (forte) la sua voce.